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Rock a dimensione europea: Carpisa Neapolis Festival (NA) 17-23-24/07/08

Il Carpisa Neapolis Festival ha sempre alternato nei dodici anni di esistenza edizioni altisonanti ad altre in sordina, cercando di accostare i piccoli e grandi nomi della scena rock mondiale, dal mainstream all’indie con l’unico obiettivo di svegliare e far ritrovare le coscienze rock presenti a Napoli e non solo. L’edizione del 2008 già dal programma, basato sui due grandi ritorni deii R.E.M. e dei Massive Attack (presenti nell’edizione 2003), ha messo in evidenza l’esigenza di riscatto rispetto alla passata edizione che aveva coraggiosamente scommesso sul meglio dell’indie mondiale per bilanciare l’immensa partecipazione di Battiato e che purtroppo non aveva incontrato i favori di un massiccio pubblico e soprattutto era stata tormentata da infiniti problemi tecnici. Quest’anno la musica è stata diversa.

L’atmosfera che si è respirata durante tutte le giornate del festival è stata di stampo europeo. Un’organizzazione impeccabile che ha saputo affrontare anche i soliti imprevisti causati da qualche solito noto, come Morgan che forse ha scambiato un palco rock per quello televisivo. La scelta di posizionare un grande ed unico palco al centro della Mostra d’Oltermare si è rivelata vincente. Ha dato un senso a tutte le aree stand presenti alla manifestazione e quindi ossigeno a tutti quei festival minori che ruotano in Campania portando lo stesso verbo rock: dal Farc!Sentire ai due Festival del Sannio, Six Day Sonic Madness e lo Stone Free Festival, all’Atellana. Gli orari dei concerti sono stati tutti rispettati con una precisione che è doveroso definire “europea”. Un esempio su tutti è stata la giornata del 23 luglio: i tre gruppi, R.E.M. – The Editors – These New Puritans, si sono susseguiti terminando lo spettacolo alle 23. Gli Editors sono stati la sorpresa per chi non li conosceva e una grande conferma live per chi ha amato i loro due lavori The back room e An end has start. Gli Editors sono un arcobaleno di suoni che spaziano dai colori del post-punk alla Interpol alle derive rock-pop dei primi U2. L’impeto live di brani come Smokers outside the hospital, An end has a start e The weight of the world è incredibile… è sembrato di avere una seconda chance nella vita: quella di vedere un gruppo con l’attitudine dei Joy Division. Non si può resistere alle cavalcate di The racing rats… è vita pulsante che ti senti dentro… è il rock! Hanno una maturità live da gruppo mondiale. Veramente impressionanti. Aperture verso spazi sonori che sanno liberare l’anima e spingerla dal senso del buio al profumo del riscatto, come un bisogno, un’esigenza, un imperativo incontrollato e involontario. Una band fiera, compatta, impeccabile, austera ma diretta.
Quindi il grande ritorno dei R.E.M. Uno schermo di frammenti, di immagini rubate dal palco a ricordare che le canzoni che saranno suonate sono pezzi di tempo, pezzi di nostra microstoria. Attingere nel mare di successi dei R.E.M. è come pescare un anello in una scatola di gioie nella camera di tua madre… non si sbaglia mai. L’esordio è con Living well is the best revenge (Accelerate), è il simbolo di una band che ha attraversato l’oceano del tempo restando ancorata sempre all’ integrità originaria di college rock band, nel senso più underground e naturale di scrivere canzoni rock. I rimbalzi nel tempo sono incredibili, salti emozionali che saziano il cuore che non è mai stanco di battere, da brani come Ignoreland, Drive a Coyahoga, passando per Orange Crush. Quindi c’è spazio per i frammenti più intensi e solidi di Accelerate: la bellissima canzone denuncia Houston che in quell’incipit “If the storm doesn’t kill me/ the government will” esprime un concetto applicabile a qualsiasi governo; la gag del falso attacco di Supernatural Superserious; la fulminea e prorompente I’m Gonna Dj e la preferita di Stipe Hollow Man. Tutto questo potrebbe bastare ed invece il concerto prosegue con avvicendamenti dal basso all’organo di Mills in brani come Electrolite (terzo singolo di quel capolavoro dei REM che è New Adventures In Hi-Fi) e con un susseguirsi senza sosta delle canzoni che appartengono a noi tutti: da Losing My Religion, The One I Love, Let Me In, The Great Beyond). Il finale è di Stipe che dichiara un completo innamoramento per Napoli e non è un atto di piacioneria visto che ricorda le strade, il cibo e anche l’isola di Capri (ricordi del 2003 legati a Patti Smith) . I R.E.M. lasciano il palco con la bellissima Man on the moon che ricorda a tutti i presenti di aver assistito all’epifania di un pezzo di storia del rock. Per due ore le parole e le note hanno disegnato traiettorie infinite di ricordi lontanissimi e vicini. La parola R.E.M. ha coniugato il sogno e il suo suono, la forma del silenzio e del suo raccontare, il gioco del sapere e del custodire. Per due ore ogni mano ha stretto tutto ciò che la Musica permette di poter volere.
Il 24 luglio il Neapolis ha sancito invece la maturità di un grande gruppo italiano: I Baustelle. Rispetto a tour precedenti gli innesti nella veste live di nuovi componenti quali Ettore Bianconi (tastiere) e Nicola Manzan (violino, chitarra, tastiere) hanno fornito robustezza e consapevolezza dei propri mezzi ai pilastri storici dei Baustelle. Si parte con la parte strumentale di Andarsene cosi’ e si viaggia da Antropophaus a Colombo, passando per Charlie fa surf e Alfredo. Rachele prende il microfono e ruba la scena a Bianconi con i brani L’aeroplano e La vita va. Quindi performance live con accenti più rock che pop di brani da Malavita: I provinciali, La guerra è finita, Sergio, Il corvo Joe ed Un romantico a Milano. Si conclude con Baudelaire e Andarsene così celebrando la band rivelazione dell’anno che ha eguagliato sul palco l’equilibrio di Amen. Ironia, sarcasmo, eleganza, attitudine di mente e corpo. Ritmi serrati e tenuta che sfiora la forza e la leggerezza, nel medesimo scorrere come una contraddizione che conquista.
Ordinati, seri, puliti e soprattutto eleganti: sono gli Elio e le storie tese, presenti in gran forma al Neapolis festival. Avrebbero dovuto chiudere la XII edizione del Neapolis, ma a causa dei ritardi dei Bluvertigo sono stati costretti ad anticipare la loro esibizione. Già, perché quando dal palco viene annunciato che Morgan è bloccato in autostrada (chissà quale e dove) si rompe l’atmosfera serena che inondava gli animi dei presenti. Elio e le storie tese elegantemente e velocemente si sono presentati dinanzi ad un pubblico che a quel punto aveva bisogno di qualcuno capace di restituire allegria e vitalità distrutte a causa di “ingorghi”. L’esibizione comincia con Plafone (Studentessi), dalle tinte prog-rock. A cantare la parte di Antonella Ruggiero è Paola Folli che, pur non raggiungendo la vetta di personalità dell’ex Matia Bazar, dimostra una tecnica e un’esecuzione straordinarie. Gli Elii durante il concerto continuano ad eseguire brani del nuovo album come Ignudi fra i nudisti, Gargaroz, Supermassiccio, inframezzati da vecchie glorie come Mio cuggino, Uomini col borsello, Disco music, Amico uligano, Tapparella. Mangoni come al solito si cambia d’abito spesso e sale sul palco per proporre uno spettacolo esilarante. Come sempre la band si diverte e fa divertire. Il pubblico è totalmente catturato.
Chiudere il Neapolis tocca ai Bluvertigo, ma l’ultima delusione per il pubblico che ha aspettato la loro esibizione oltre la mezzanotte è dietro l’angolo. Sul palco si presentano i quattro componenti, Morgan con abito completamente bianco sembra volersi distinguere. L’unico dettaglio che il pubblico riesce ad intuire è che su quel palco non c’è complicità, compattezza. Morgan non è nelle forma migliore. Aprono con Sono come sono, poi Altre forme di vita (le parole vengono dimenticate addirittura), Odio, La Crisi. Morgan, forse influenzato anche dal successo televisivo, costringe la band a stargli dietro e quindi ognuno fa a modo suo: sembrava quasi difficile riconoscere i pezzi. Lo spettacolo dura poco, perché dopo quasi un’ora il batterista lascia il palco seguito dal resto della band. Il pubblico si aspetta il bis, ma in realtà il concerto è finito. La XII edizione del Neapolis si è conclusa. Il finale è amaro. Il rispetto nei confronti della musica, degli organizzatori di eventi e del pubblico dovrebbe essere sempre prioritario. Un’edizione che ha totalizzato 25.000 presenze ha comunque vinto, su tutto.
Forte il piacere di aver vissuto pomeriggi e serate da ricordare, da ancorare al sapore di un cielo dipinto con tutte le sfumature più tenere e dolci che il sole e la luna hanno potuto inventare, quasi amandosi. Occasioni del genere regalano la possibilità di condividere, emozionarsi, commuoversi e gioire… persi e ritrovati negli abbracci che si aspetta di dare e ricevere… mentre la musica compie il suo rito arcano. (Si ringrazia Giulio Di Donna – Hungry Promotion; in collaborazione con Rosa D’Ettore, Candido Romano, Amalia Dell’Osso; Lost Gallery).

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