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Proviamo a fare della buona musica: intervista a Dimartino

Antonio Dimartino è tornato con un EP, Non vengo più mamma: sei brani che segnano una svolta nelle sonorità a cui ci aveva abituato il cantautore siciliano. Permane una forte connotazione nei testi tra l’onirico, il fiabesco e il malinconico, ma le sonorità hanno subito una decisa sferzata verso l’elettronica. Scelta che non ha snaturato la musica di Dimartino, ma gli ha donato un’accezione più personale, distaccandola dai modelli preesistenti. L’abbiamo incontrato per farci raccontare un po’ questo nuovo corso della sua carriera musicale. L’artista si esibirà venerdì 4 ottobre al Locomotiv di Bologna per l’anteprima di Salotto Muzika, rassegna per la quale LostHighways farà da media partner: .

Ti abbiamo incontrato un anno fa circa in occasione dell’uscita del tuo album Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile. Cosa è cambiato in Antonio Dimartino durante questo periodo?
Se è cambiato qualcosa dentro di me non me ne sono accorto, o forse sì, ma me ne accorgerò quando mi fermerò fra un paio di mesi.

Ascoltando l’EP Non vengo più mamma, la prima cosa che salta all’orecchio è questa virata verso suoni più elettronici: ci vuoi spiegare questa scelta?
Volevo misurarmi con altri linguaggi, vestire le canzoni con altri suoni, negli ultimi anni mi ha interessato moltissimo la scena elettronica europea.

Non vengo più mamma è arricchito dalle tavole-disegno di Igor Scalisi Palminter: parlaci un po’ di questa collaborazione. È nata prima l’idea del disco o quella delle illustrazioni?
È nata prima l’idea di fare un EP. Avevo un paio di pezzi conservati da anni e una canzone di Simona Norato:
Come fanno le stelle. Mi piaceva l’idea di registrare un vinile e ho pensato alla storia di Claudio e Maria, i protagonisti. Ne ho parlato a Igor che ha iniziato a dipingere olio su carta le tavole della storia aggiungendo particolari che hanno creato sfumature alla mia storia ed è nato Non vengo più mamma.

Un riferimento alla musica di Tenco nel titolo del tuo primo album e adesso a Paoli, che ritroviamo nel tuo nuovo EP con una citazione de Il cielo in una stanza. La tua musica sembra pescare a piene mani dalla tradizione cantautorale, tanto che in molti ti accostano a Lucio Dalla. Secondo te, qual è l’eredità più importante che ci hanno lasciato i cantautori che fanno parte della tradizione della musica italiana?
È banale come risposta, ma l’eredità più grande sono proprio le canzoni. Io credo che ci siano canzoni italiane veramente universali, cioè che non sono legate al periodo in cui sono state scritte, ma che potrebbero essere scritte fra trent’anni.

Ho avuto il piacere di vederti suonare dal vivo lo scorso anno. Cosa pensi della situazione live in Italia? Quanto è difficile per un artista come te trovare spazi dove potersi esibire?
Facile non è di sicuro. Ogni tanto incontro band alla loro prima demo che mi chiedono cosa fare per suonare in giro. Non so dare una risposta. Per loro il circuito dei locali è veramente chiuso e questo è un problema, perché in giro, soprattutto tra i ventenni, c’è tanta buona musica che andrebbe valorizzata.

Viviamo un momento storico di crisi, purtroppo non solo economica. Quale pensi possa essere il ruolo che la musica e l’arte in generale dovrebbero giocare nel cercare di risvegliare la società?
In Italia andrebbe fatto un lungo lavoro, a partire dalle politiche sociali: incentivare l’insegnamento della musica nelle scuole, educare il pubblico all’ascolto di musiche diverse, però siamo molto lontani purtroppo.

Venerdì 4 ottobre suonerai al Locomotiv di Bologna per l’anteprima di Salotto Muzika, rassegna per la quale LostHighways farà da mediapartner. Vogliamo chiudere quest’intervista chiedendoti cinque buoni motivi per invogliare chi ancora non conosce la musica di Dimartino a essere presente al tuo live.
Sembrerò un po’ pessimista, ma cinque sono troppi! Proviamo a fare della buona musica, questo penso che basti a portare della gente a un concerto.

 

No autobus – video

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