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Cittadini del mondo: intervista agli M+A

Gli M+A sono Michele Ducci e Alessandro Degli Angioli. Romagnoli di nascita, cittadini del mondo, musicisti giovani e moderni dalle menti aperte in cerca di stimoli sempre nuovi. Ci impressionarono con il primo album Things.Yes (fortuna per loro, non fummo solo noi ad accorgercene), e da qualche tempo sono tornati a stupirci con il nuovo lavoro, These Days. Tramite la rete, come spesso accade, abbiamo incrociato nuovamente i nostri pensieri e il loro punto di vista. Ne è venuta fuori questa intervista che dice molto sul duo e sulla sua attualissima musica.

Che effetto fa a due ragazzi romagnoli vedere i propri volti negli store giapponesi? E sulle riviste inglesi?
In realtà non lo so. Certo, è gratificante, ma abbiamo lavorato molto su questa cosa, quindi l’effetto combacia con la sua metabolizzazione. Se ci fossimo svegliati di colpo e avessimo visto una nostra foto negli store giapponesi o in riviste inglesi saremmo rimasti a bocca aperta, ma avendo Londra come base operativa e una sorta di affiliazione con un’etichetta giapponese – il Giappone è monumentale in generale, non solo con noi – un po’ ce l’aspettavamo.

Il vostro ultimo è un disco fondamentalmente pop, nel senso che si appiglia a tantissimi riferimenti e li rimescola insieme, tutti molto attuali, tutti molto accattivanti (quasi ammiccanti). È frutto di una ricerca specifica o, al contrario, non avete posto limiti ad incorporare nel lavoro tutto ciò che i vostri gusti personali vi consigliavano?
È tutte e due le cose: da un lato c’è stata una ricerca specifica, nel senso che abbiamo delimitato uno spazio, facendo una sorta di archivio, con dischi da ascoltare e dischi già ascoltati, giri di accordi di certi brani, strutture, eccetera; dall’altro lato, quello meno controllabile, tutte le combinazioni e gli incastri che provavamo a fare ci sbatacchiavano qua e là, costringendoci a riformulare certe cose, quindi, alla fine, anything goes!

Ascoltando These days si ha l’impressione che voi siate dei fenomenali “arredatori musicali”. Con questo album non vi schierate in una nicchia di genere, non ne inventate un altro, ma prendendo qua e là arredate con gusto e colori azzeccati l’aria che sta intorno a chi vi ascolta. Lo trovo un approccio molto moderno, in linea con “questi giorni”, questi tempi in cui quasi nulla viene inventato ma al massimo viene migliorato, integrato, reso più bello e funzionale. È così anche nell’arte: installazioni temporanee, street art, quasi nulla rimane a lungo, ma affascina nel presente. Non ci pensate al futuro? A restare?
Lo prendiamo come un complimento, per noi lo è davvero. L’arredo è anche uno studio degli spazi e in realtà These Days non è altro che questo, una misura degli spazi. Non c’era, diciamo, nessun punto della linea da dover raggiungere per trovare qualcosa che ci rappresentasse al cento per cento. È stata più una cosa biografica: fare musica per capire quello che ascoltiamo e ascoltare musica per capire quello che facciamo, è questo l’intreccio che sta dietro These Days. Volevamo fissare alcune cose e basta, perciò abbiamo pensato più alla biografia che al tempo: è stato uno studio e ci siamo divertiti, punto. E sì, al futuro ogni tanto ci pensiamo, ma non in maniera agiografica. Questo disco in fondo non è altro che un esercizio di pazienza.

Subito è scattata la gara ai riferimenti: Beck, Daft Punk e chi più ne ha più ne metta. È una cosa che vi piace o vi infastidisce? Pensate possa andare a discapito dell’immagine della vostra personalità o può essere valore aggiunto?
È una cosa normale, dipende solo dal movente: se lo fai come mossa di marketing – come, ahimè, è stato fatto – è semplicemente stupido.

Rispetto a Thing.yes il nuovo album è estremamente più ricco. Tanti strumenti, una batteria, voci differenti. Prima curiosità: tutte le voci che si sentono sono in realtà solo quella di Michele trattata con diversi filtri? E gli strumenti?
Sì, le voci che si sentono sono solo mie, pitchate, per le parti rap, e normali per il resto. Poi abbiamo alternato strumenti acustici – pianoforte, wurlitzer, batteria (suonata da Marco Frattini) – a cose digitali o campionate.

Se Thing.yes era incentrato su colori ed atmosfere fredde, These days ha scoperto il calore vero. È così nei suoni, così come nella voce di impronta black. Cosa vi ha portato a questo?
Eravamo abbastanza sazi di quelle atmosfere e abbiamo cercato altre dimensioni, altri colori. Anche questa non è stata una scelta premeditata, ha spiazzato anche noi, quando due anni fa in macchina invece di ascoltare James Blake e i suoi amichetti inglesi facevamo delle gran maratone di Joao Gilberto o George Duke. Chiaramente adesso anche loro sono entrambi nel cestino.

Nella dimensione live sarete sempre solo in due o vi affiancheranno altri musicisti?
Abbiamo preparato due spettacoli, in uno siamo solo noi due, nell’altro ci accompagna la batteria di Marco Frattini. Diciamo che la scelta in questo caso andrà in base alla comodità.

La grafica e l’immagine degli M+A sono sempre stati non solo dettagli ma essenza del vostro progetto. Anche per These days siete riusciti a curarli? Perché quelle piume colorate in copertina? Cosa altro fa parte del vostro progetto al di là della musica?
Molte volte il mio immaginario grafico tende a rappresentare proprio quello che mi manca e che non ho. Non sono influenzato da quello che ho attorno, ma da quello che non ho. Con i miei lavori tendo a creare atmosfere che non ho mai realmente respirato e forse questo è un modo indiretto per averle. L’artwork così solare e colorato dell’album l’ho realizzato proprio quest’inverno mentre ero a Bergen e in quel periodo le giornate non avevano mai più di due, tre ore di luce, e fuori pioveva e nevica ininterrottamente tutto il giorno.
A volte con la musica non si riesce a dire tutto, o meglio, a volte è più facile trasmettere certe cose con altri media, grafiche, magliette, poster. Riuscire a creare un immaginario in cui le persone si riconoscono è fondamentale tanto quanto fare musica. Come insegna la storia della musica pop o rock, l’abilità di un musicista non sta solo nel fare musica ma anche nel modo in cui la propone al pubblico. Ci sono ancora persone che si sentono infastidite da questo concetto. Noi siamo dell’idea che sia l’abc di questo campo.

Quale sarà il brano che per primo avrà un videoclip? Potete darci qualche anticipazione?
Il brano sarà Down the west side. È stato girato da Francesco Calabrese a Los Angeles.

Cito un estratto della nostra precedente chiacchierata fatta l’anno scorso.
Una volta vedevo delle parentesi “(M+A)”… ora non ci sono più. Dove sono finite? … M+A: Ad un certo punto uno deve smettere di mettersi tra parentesi, soprattutto se ha intenzione di conquistare il mondo.
A quanto pare l’ambizione ora inizia ad offrire il risultato. Quanto realmente siete ambiziosi e competitivi? Gli italiani sono generalmente molto fatalisti…
Hai presente i finti umili tormentati dai sensi di colpa? Quelli sempre in sordina, che vorrebbero essere solidali, pacati e virtuosi, ma che in realtà taglierebbero teste pur di poter dire che sanno usare il pollice opponibile meglio di altri? Ecco, noi siamo nell’altra trincea, quella dei finti ambiziosi. L’ambizione fa parte del pacchetto in queste cose, è un trucco del mestiere, ma appunto sappiamo che è un trucco, per cui ce la viviamo sempre in maniera molto ironica. Gli M+A sono davvero una cosa molto autoreferenziale, un lungo carteggio, che ha più a che fare con le nostre vite, quella mia e di Alessandro, che con gli store giapponesi. Ma finché le cose stanno insieme pancia mia fatti capanna.

When – M+A

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