Questa sera il Zona Roveri di Bologna ospita un evento speciale. Il clima è quello sereno e cordiale di una ritrovo tra amici di lunga data perchè tra i fan degli Anathema e la stessa band il rapporto sembra essere proprio quello. I fratelli Cavanagh tornano in città a distanza di tre anni per una data tra le pochissime italiane (Salerno, Bologna e Torino) di questo tour concepito per portare al pubblico versioni estremamente intime dei brani della band inglese.
Il sipario degli Anathema si apre dopo le belle esibizioni di due band italiane. I Sinheresy si presentano anch’essi in una dimensione acustica: il caratteristico metal sinfonico della band veneta si scioglie nei suoni più morbidi svelando i toni caldi e lievi della voce della brava cantante e chitarrista Cecilia Petrini e quelli invece più ruvidi ed abrasivi di Stefano Sain. Con due tastiere, percussioni ed un terzetto classico composto da violino, violoncello e flauto traverso, i Sinheresy si muovono tra epic e folk trasportando il pubblico nei paesaggi tipici delle fiabe gotiche. Ci provano anche in italiano con un loro brano ma non mi pare sia una buona strada da percorrere.
Rapido cambio di palco e salgono L’alba di Morrigan. Sempre in dimensione acustica, in tre con due chitarre, un basso e una bella voce dolente. I brani di stampo metal, complice la graffiante voce di Hugo Ballisai, suonano come lente ballate avvicinando il risultato ad un incrocio con il grunge più sofferto e sconfitto; tra i brani proposti anche una cover dei Manowar.
Calano le luci ed il sipario, chiuso qualche minuto per il cambio di palco, si apre definitivamente per l’ingresso degli Anathema in formazione ridottissima. Danny Cavanagh alla chitarra, Vincent Cavanagh alla voce ed alla chitarra, Lee Douglas seconda voce e cori. Si inizia con le note magiche e l’irresistibile crescendo di Thin Air. Untouchable (part I e II) incalza ancor di più il pubblico che da questo momento mai smetterà di cantare per tutto il concerto. Dreaming Light, Flying, Lost control, Destiny: brani vecchi e recenti trovano una forma nuova, intensa, scarna e quindi più diretta. Le voci di Vincent e Lee si avvolgono, si corteggiano, si tirano e poi si mollano come in una danza; la chitarra di Danny riesce ad essere ritmica, solista ed anche percussione (non senza qualche inciampo di natura tecnica).
Danny stupisce anche per altri due motivi: simpatia nella ricerca di dialogo con il pubblico, e la bellezza della voce dimostrata nella la sua esibizione solista con High hopes dei Pink Floyd.
In questo concerto, come già detto, il clima è quasi informale: la band sul palco appare a proprio agio, e nonostante qualche problema tecnico i fratelli Cavangh e Lee Douglas (fondamentale il suo apporto) sono rilassati ed empatici verso il pubblico che li osserva con misurata adorazione. L’atmosfera creatasi ed il tipo di live si presta bene anche ad un altro paio di cover: With of without you dei U2 e Another brick in the wall dei loro cari Pink Floyd.
Il live finisce proprio su queste note e gli applausi prolungati del pubblico appagato da tanta semplicità ed al contempo innata bravura. Abituati a alla scena musicale italiana, spesso artefatta e regolata da stupidi cliché, si rimane fortemente colpiti dalla naturalezza che gli Anathema hanno portato sul palco, dalla qualità musicale, dalla finezza del risultato e dalla impavida capacità di spingersi tanto verso il pop senza mai rimanere invischiati nella banalità.
Da band come queste c’è tanto da imparare. Oltre alla naturalezza e alla bellezza dell’esibizione nel suo complesso, il canto: quanto è bello ogni tanto andare ad un concerto e sentire del bel canto, sentire che la voce viene utilizzata con la stessa proprietà con la quale si suonano gli strumenti. Senza particolari virtuosismi, con semplicità, ma dannatamente bene. Con quella perfezione tale che le parole sembrano volare. Fino a sentirsi nel vento con loro.
(Gallery di Emanuele Gessi)
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