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Third – Portishead

La pietra filosofale dei Portishead ha i colori cupi delle maree d’inverno. Dopo circa dieci anni tornano. Usano il trip hop e lo trasfigurano. Aprono il cuore di un genere per infondergli le asprezze dell’industrial, la delicatezza dei chiaroscuri folk-jazz-oriented, il mistero delle parole che emergono dagli abissi delle visioni e dei disagi.
Il fascino. La complessità del minimalismo. La sperimentazione estrema che si scioglie nel cantato dolce e malinconico di Beth Gibbons, spirito d’aria e ritrosia La seduzione in controluce. L’eleganza e l’arroganza della consapevolezza della decadenza. Undici fessure in cui nascondersi e ritrovarsi, a stento. Come persi in una notte senza cardini. Una scia di implosioni, di sorde compressioni e aperture di tradimenti che addomesticano il disagio di un ascolto provato dalle linee oscure di una composizione che osa sfidare le tenebre dell’anima con la rivalsa delle divagazioni astratte e delle progressioni strette ai lati.
Silence è angoscia scaraventata nell’ipnosi onirica dell’inevitabile: “Empty in our hearts / Crying out in silence / Did you know when you lost? / Did you know when I wanted? / Did you know what I lost? / Do you know what I wanted?”. Hunter sussurra l’amarezza dei vuoti: “I stand on the edge of a broken sky”. Nylon Smile è una richiesta che osa oltre il suono smarrendo le parole nello spazio del bisogno: “I can’t see nothing good / and nothing is so bad / I never had a chance / to explain exactly what I meant”. The Rip è il punto di Bellezza e Fragilità, di Forza e Caduta; una pioggia leggera di immagini soffiate su valli di inquietudini e desideri di salvezza; l’acustico e l’elettronica che baciano la poesia (non è un caso che i Radiohead abbiano riversato sulle lame della loro Arte un monile così raro dando vita ad una cover di commovente intensità)… “Through the glory of life / I will scatter on the floor / Disappointed and sore / And in my thoughts I have bled / For the riddles I’ve been fed / Another lie moves over / Wild, white horses / They will take me away / And the tenderness I feel / Will send the dark underneath / Will I follow?”. Plastic prova la morsa claustrofobica delle rivelazioni annegate: “I could try / But don’t know what you hear / ‘Cause in my heart / You were so clear”. Deep Water è solo un respiro di pausa acustica tra le raffiche folli e carnose di We Carry On e Machine Gun, in cui lo scenario post Umanitas della drum machine vive squarci di levità nel cantato sublime che disegna lacrime di rassegnazione: “If only I could see / You turn myself to me / Recognise the poison in my heart / There is no other place / No one else I face / The remedy, to agree, is how I feel”. Small è il ricordo del confine tirato nel gioco del riparo, del negarsi e del volersi nel riverbero delle ossessioni: “If I remember the night that we met / Tasted a wine that I’ll never forget / Opened the doorway and saw through the light / Motions of movement and I felt delight”. Magic Doors gioca con l’armonia e accarezza le verità taciute ma non nascoste: “I can’t deny what I’ve become / I’m just emotionally undone / I can’t deny I can with someone else / When I have tried to find the words / To describe this sense absurd / Try to resist my thoughts but I can’t lie”.
Threads è la chiosa. L’ultima pagina voltata sul bordo del passato.
Un album spettrale e perfetto come il cerchio delle lune dei contrari, criptico e inevitabile come i sipari che cadono lenti sul buio del trovarsi: “Better if I could find the words to say / Whenever I take a choice it turns away”.

Credits

Label: Mercury/Island – 2008

Line-up: Beth Gibbons (voce) – Adrian Utley (chitarra, basso, tastiera) – Geoff Barrow (programmazione, tastiere, batteria, chitarra)

Tracklist:

  1. Silence
  2. Hunter
  3. Nylon Smile
  4. The Rip
  5. Plastic
  6. We Carry On
  7. Deep Water
  8. Machine Gun
  9. Small
  10. Magic Doors
  11. Threads

Links:Sito Ufficiale,MySpace

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