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La fine fu solo l’inizio: Elvis ovvero il Re!

Ci sono date che non si dimenticano. In ambito storico alcune date hanno cambiato il nostro vivere o, comunque, la nostra percezione del mondo. Senza risalire alla data dello scoppio della seconda guerra mondiale, possiamo benissimo dire che, dall’11 settembre, il nostro modo di porci nei confronti di alcune realtà è cambiato radicalmente. Anche in ambito musicale ci sono date che non si dimenticano. C’è chi ancora ricorda quel sabato mattina (io lo ricordo come fosse ieri) quando la radio annunciò il ritrovamento di un corpo in una villa di Seattle. Chi, come me, ha ancora in testa quell’11 gennaio del ’99 quando ci salutò la voce della nostra coscienza, quel genovese che ancora mi fa piangere e arrabbiare, ancora mi fa pensare e sorridere. C’è chi ricorda la data di uscita del White Album dei Beatles e chi ricorda il giorno del concerto dei Led Zeppelin in Italia. E poi c’è una data che nessuno ricorda. Il 16 Agosto 1977. Che successe quel giorno? Successe che morì il Re. Se avete capito di chi sto parlando, magari qualcuno di voi riderà. Eppure se ora ascoltate quella musica che vi scuote e vi fa “rotolore”, se suonate una chitarra, se vi muovete su scale blues, se abbiamo avuto i Rolling Stones e Springsteen, se abbiamo avuto i Beatles e i Sex Pistols, i Doors e i Nine Inch Nails, insomma se abbiamo avuto il rock nelle sue mille sfaccettature, così come lo conosciamo adesso, lo dobbiamo a Elvis.

Quel giorno di agosto di trentun’anni fa se ne andò un pioniere, forse il solo e unico pioniere che abbiamo avuto nella musica rock, perché diciamolo, cambiare il corso di una strada non è difficile come crearne una.
E’ vero, Elvis Aaron Presley aveva dei maestri e quei maestri erano i vecchi bluesman di colore, è vero anche che non aveva quella gran voce che vogliono farci credere ora che è diventato Storia e Mito, ed è anche vero che con la chitarra non aveva né la grinta di Hendrix né il tocco di Page ma ciò non toglie che è stato il primo.
Si dice “only the brave” ed è quello che ha rappresentato. Un temerario che, per merito o per fortuna, è riuscito a staccarsi dai cliché che volevano i bianchi non adatti e decisamente “troppo superiori” per suonare la musica delle Scimmie Nere, come si diceva al tempo. Un uomo che ha fatto sì che la figura dell’artista prendesse il sopravvento sul suo vivere quotidiano, che divenisse l’immagine che si voleva che fosse, un uomo che alla fine si è ridotto all’ombra sformata di se stesso, ad un tossicomane che doveva suonare a Las Vegas, eppure un uomo che ha aperto le Vie Dei Canti a più di una generazione. Un santo del Rock o la sua prima vittima? Forse entrambe le cose.
I suoi difetti erano immensi, i suoi vizi erano di proporzioni ciclopiche, forse più che un Re era un accattone e un ladro di idee. Insomma era un uomo normale trasformato in un dio della musica dal quel mercato musicale che stava iniziando a capire l’importanza delle galline dalle proverbiali uova d’oro.
Quando se n’è andato il suo rock and roll era già morto da tempo. La musica non era più quella che suonava nel lontano ’55. La Summer of Love era arrivata e finita ma aveva posto delle basi, i Beatles stavano esalando i loro ultimi rantoli ma erano “più famosi di Gesù Cristo”, il punk iniziava a morire di un lento suicidio ma le sue spore erano ormai nell’aria., eppure già allora lui, Elvis, era semplicemente The King.
Se non avete mai ascoltato un suo disco vi consiglio vivamente di farlo.
Potrete capire da dove arriva quell’assolo che vi fa impazzire, quelle movenze che vi fanno eccitare, quel sussurrare che vi fa sospirare. Potrete anche sorridere per la genuinità e l’ingenuità di alcune sue cose. Ma erano anni dove si diceva che i bianchi erano bianchi e i neri… chi? Non ci sono neri in America, solo bianchi. Quella cosa che passa la radio è roba per animali, non per i nostri figlioli ben educati e timorati di dio.
Dave Marsh disse che era “eterno e insostituibile, corrotto e corruttibile, meraviglioso e orribile, prigioniero e liberato. E infine ciondolante e libero, finalmente, libero”.
Ma la cosa migliore penso l’abbia detta Bruce Springsteen in una bellissima intervista che rilasciò qualche anno fa sui suoi miti e le sue influenze: “Ci sono stati un mucchio di tempi duri. Ci sono stati mestieranti. Ci sono stati sfidanti. Ma c’è solo un Re”.
Come dargli torto?

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