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La mancanza di rispetto per la vita e le sue conseguenze: intervista a Bologna Violenta

Polistrumentista che ha collaborato con gli artisti più disparati (da Ligabue a Il teatro degli Orrori), artefice di uno dei progetti più innovativi e dissacranti del panorama musicale italiano, produttore: in due parole, Nicola Manzan, mente e braccio di Bologna Violenta, one man band che si esibisce a colpi di grind-core. Il 24 febbraio 2014 ha pubblicato il suo quarto lavoro in studio, Uno Bianca: un concept sui crimini della omonima banda armata, un gruppo composto da cinque poliziotti ed un civile, attivo a Bologna e dintorni dal 1987 al 1994 e che ha compiuto più di cento colpi, uccidendo ventiquattro persone e ferendone più di cento.
Abbiamo incontrato il musicista per scoprire da dove è nata l’idea di puntare nuovamente l’attenzione sulle vicende dei fratelli Savi ed i loro delitti, per farci raccontare direttamente dall’autore un album che ha scatenato da subito polemiche.

Una delle pagine di cronaca nera più sanguinose della storia italiana. Perché hai sentito l’esigenza di puntare i riflettori proprio sui fratelli Savi e i loro crimini?
Il mio intento era principalmente quello di raccontare una storia drammatica della città di Bologna. Nel mio immaginario questa città mi è sempre apparsa come un’isola felice, ma andando un po’ più a fondo nella sua storia mi sono reso conto che è stata teatro di molte storie oscure e di azioni criminali che hanno segnato indelebilmente la storia dell’Italia. La storia della banda della Uno Bianca si è svolta in Emilia ed in particolare a Bologna, quindi mi sembrava giusto ricordare una storia che l’ha colpita in maniera così pesante e che sembra non essere conosciuta dai più giovani.

Il disco doveva ancora uscire e già dalle pagine di un noto quotidiano nasceva la polemica, a mio avviso montata da chi non conosce affatto il tuo progetto e, soprattutto, non ha neanche ascoltato l’album altrimenti avrebbe capito subito il lavoro approfondito che c’è dietro. Qual è stata la tua reazione quando hai letto quel famoso articolo?
Devo dire di essere rimasto molto deluso dopo aver letto i vari articoli che sono usciti. Era palese che chi mi aveva contattato non aveva ascoltato il disco nonostante glielo avessi inviato via e-mail durante la conversazione al telefono. Ho l’impressione che ci fosse inizialmente l’idea che avessi fatto un disco a favore della banda e che, trovatosi di fronte ad un concept totalmente diverso, il giornalista abbia comunque deciso di attaccare in qualche modo il progetto.

Hai voluto chiudere l’album con un omaggio al padre dei fratelli Savi, morto suicida perché non resse alla vergogna causata da quello che avevano fatto i suoi figli. Un omaggio reso struggente dal tuo violino. Un modo per mostrare anche il lato umano di tutta questa vicenda?
La storia del padre dei Savi è molto controversa, ma la cosa che tenevo a sottolineare è proprio il fatto che le conseguenze delle azioni criminali di un singolo individuo vanno a colpire anche la vita di chi gli è vicino. Al di là dall’esprimere giudizi sull’accaduto, mi interessava proprio andare a toccare il lato umano della vicenda, in cui troppe famiglie sono state distrutte, e questo da entrambe le parti.

Non sei il primo artista che decide di toccare temi così difficili da trattare e, in un certo senso, riaprire ferite mai del tutto rimarginate (mi vengono in mente gli Amor Fou che qualche anno fa hanno dedicato un brano a De Pedis). Che tipo di approccio hai usato quando hai deciso di mettere in musica i delitti della banda della Uno Bianca?
La mia idea era semplicemente quella di creare una sorta di colonna sonora dei fatti che sono accaduti.
La storia della banda è molto complessa, va a toccare molti aspetti della nostra società, dalla politica alla cultura, fino ai rapporti stato-mafia e servizi segreti. Io non sono un sociologo o un politico, a me quello che interessava era raccontare attraverso la musica. La cosa importante da ricordare di questa storia è che la mancanza di rispetto per la vita porta alle più drammatiche conseguenze. Ho cercato di fare un racconto distaccato, senza scadere nel pietismo tipico delle trasmissione pomeridiane che si possono vedere in televisione.

Hai avuto modo di parlare con qualche parente delle vittime della banda della Uno Bianca dopo aver fatto loro ascoltare il disco? Se sì, qual è stata la loro reazione?
Ho mandato il disco in mp3 alla presidentessa dell’Associazione delle Vittime e ad alcuni parenti che si erano fatti vivi quando erano usciti i primi comunicati stampa. Alcuni si sono dichiarati entusiasti, altri non hanno commentato, probabilmente non è proprio il tipo di musica che sono soliti ascoltare. La cosa che interessava a loro era che avessi fatto un qualcosa che portasse rispetto alla memoria dei loro cari.

Di recente ci siamo occupati dell’album Onironauta dei Kaleidoscopic, disco che ti vede tra i collaboratori in veste di musicista, ma soprattutto di produttore. Che tipo di approccio ha Nicola Manzan con la musica di altri?
La mia idea di base è che non devo stravolgere la musica di chi mi propone un lavoro, ma piuttosto di esaltarne le peculiarità cercando di creare qualcosa che possa avere la mia impronta, ma che sia in armonia con tutto il resto, come se avessi partecipato alla stesura del pezzo fin dal principio.
Poi dipende anche dal tipo di intervento che mi viene richiesto, nel senso che se devo produrre un gruppo faccio un lavoro approfondito anche a livello di arrangiamento e cura delle varie parti, se devo registrare dei violini il mio intervento si ferma lì. Certo è che trovo molto stimolante lavorare con gruppi che si affidano totalmente a me, come nel caso dei Kaleidoscopic, e sentire che il risultato non suona come un mio disco, ma come il miglior disco possibile per quella band in un quel momento.

Ho letto di questa tua collaborazione con i Menace, progetto di Mitch Harris, chitarrista dei Napalm Death. Come è nata questa collaborazione?
Ho sempre amato i Napalm Death e sono per me stati fonte di ispirazione non solo musicale, ma anche di approccio al music business in generale. Ho sempre desiderato poter fare qualcosa con qualcuno di loro e quando ho avuto la possibilità di aprire un loro concerto al The Cage di Livorno, mi sono presentato a Mitch dicendogli che se avesse mai avuto bisogno di un violinista per un suo disco, sarei stato ben lieto di aiutarlo. Da lì mi ha raccontato di questo progetto chiamato Menace che vedeva inizialmente coinvolti anche Max Cavalera (Soulfly, Sepultura) e Brann Dailor (Mastodon) e mi ha detto che avrebbe voluto metterci delle orchestre con aperture epiche e che quindi mi avrebbe ricontattato. Abbiamo lavorato a distanza su una ventina di pezzi ed il disco è ora in vendita in tutto il mondo grazie alla francese Season Of Mist che ha creduto fermamente al progetto fin dall’inizio. Nel disco ci sono anche altri musicisti importanti, come Shane Embury (Napalm Death), Derek Roddy (Hate Eternal, Nile) e Fred Leclerq (Dragonforce) ed è stato prodotto da Russ Russell che ha messo insieme centinaia di tracce che sono arrivate da varie parti del mondo. E’ stato un lavoro stimolante, Mitch è una persona fuori dal comune e ci siamo trovati subito molto bene a lavorare insieme. Speriamo entrambi che sia solo l’inizio di una proficua collaborazione.

Soprattutto negli ultimi anni abbiamo assistito ad un Festival di Sanremo che ha visto avvicendarsi sul palco anche band del cosiddetto “panorama alternativo italiano” (Afterhours, Marta sui tubi, Marlene Kuntz, Perturbazione, giusto per citarne alcuni). E se chiedessero a Bologna Violenta di gareggiare all’Ariston o a te di presentarti come direttore d’orchestra (quest’anno è capitato a Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours) come reagiresti?
Innanzitutto non credo che chiederebbero a BOLOGNA VIOLENTA di esibirsi a Sanremo. Se così fosse significherebbe che le coordinate musicali del progetto si sono perse e che è diventato qualcosa di completamente alieno a quello che era all’inizio (e penso che questo mi farebbe preoccupare). Se mi invitassero per dirigere l’orchestra ci andrei senza problemi, non vedo perché non dovrei farlo. Alla fine è un’esperienza importante se fai il musicista, è un modo per metterti alla prova e fare qualcosa di completamente diverso in un ambiente completamente alieno. Sarebbe una bella sfida, non c’è che dire.

23 dicembre 1990 – Bologna: assalto campo Rom – video

Playlist – streaming Spotify

Abbiamo chiesto a Nicola Manzan di selezionare per noi cinque brani di artisti che lui consiglia, che hanno influenzato la sua musica. Ecco qua una piccola playlist che vi traghetterà nel mondo di Bologna Violenta, avvicinando al suo modo di fare musica chi ancora non la conoscesse.

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