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Come una dolce, antica poesia: intervista a Claudio Domestico (Gnut)

Oggi, 22 aprile, esce il terzo disco di Gnut ovvero Claudio Domestico. Un disco importante. Di quelli che non hanno bisogno di alcuna strategia per raggiungerti. Brillano di un talento così inattaccabile che non puoi fare altro che sorprendertene e lasciarti conquistare. Prenditi quello che meriti (presentato il 19 aprile in anteprima unplugged alla Fonoteca di Napoli in occasione del Record Store Day) è un lavoro perfetto baciato dalla poesia, nei testi, nelle linee melodiche. Schiude una voce che è un dono naturale, delicata, morbida eppure polverosa, si tira dietro tutte le storie, tutti i nomi, tutte le strade, tutte le albe e i silenzi che Domestico ha incontrato. Una voce che è un carico di vita vissuta, e lo senti. Perciò ti incanta. Domestico è un cantautore, il folk è la sua strada e il blues è una vecchia musa che lo accompagna fedele. Un cantautore, già. Ma non vi aspettate nulla che lo accomuni a qualche scena odierna. Lui ha un mondo a parte da raccontare. Mescola il movimento e le radici. Tutti i luoghi e Napoli. L’italiano e il dialetto. Claudio ha qualcosa di antico nell’attitudine. Qualcosa di meraviglisamente unico. (Foto di Alessandra Finelli)

Voglio iniziare questa chiacchierata con te citando i versi della canzone che ha segnato il titolo del tuo terzo lavoro in studio: “Prenditi quello che meriti /E dona a chi merita la tua poesia” (Quello che meriti).  Raccontami questo monito, raccontami questo invito a vivere nel modo più puro che si possa…
Per come la vedo io le soddisfazioni più grandi sono strettamente legate alla creazione e al  raggiungimento di un determinato traguardo. Questo vale un po’ per tutti i tipi di essere umano. La differenza sta nel riuscire a costruire la vita sulla qualità dei giorni (quindi vivere bene qui e ora per stare ancora bene domani). Riuscirci significa eliminare  la distinzione tra raccolto e semina, tra quello che dai e quello che prendi, perché entrambe le cose alimentano il tuo essere vivo.
Il merito di cui parlo è qualcosa di vicino al Karma, una strada per cercare di essere felici, un modo per stare in pace con se stessi e con gli altri.

Continuo a concentrare l’attenzione sul testo di Quello che meriti. Che non lo sapremo mai a cosa servirà /Tutto questo dolore che ci accompagna /Forse a sentire più forte il profumo del mare”. Parlami di questa visione diversa del dolore. Non è più un suo racconto, è un suo superamento…
È la consapevolezza che affrontare il dolore e viverlo intensamente ti insegna (se hai voglia di imparare e sei hai voglia di rialzarti) che puoi vivere con la stessa emotività  anche gli aspetti meravigliosi che la vita ci conserva. Se non è un suo superamento è una buona distrazione.

Trovo che ci sia un’immensa dolcezza in Prenditi quello che meriti, mi sbaglio?
Trovi? Io volevo sembrare più cattivo! Ci stanno un sacco di cose in questo disco, sono confuso, però mi fa piacere che ci senti qualcosa di dolce.

Poesia. Una parola che ricorre, penso anche a Non è tardi, il singolo lanciato qualche settimana fa. E la poesia chiama in causa proprio la dolcezza di cui parlavamo. È una scorta per vivere, no?
La poesia (quella delle piccole ma grandi cose) è l’unico modo per guardarsi intorno e dentro e sorridere e stare bene. Non sempre è facile trovarla ma cercarla farebbe bene a tutti.

Vorrei che mi raccontassi tre canzoni, in particolare: Fiume lento, Estate In Dadgad, Universi. Credo che abbiano una potenza lirica davvero importante…
Fiume lento è un pezzo che mi ha sorpreso, prima di iniziare a registrare non l’avevo capito e lo sto ancora studiando. Parla di desiderio e dipendenza.
Estate in dadgad parla dei ricordi lontanissimi di viaggi verso il mare, l’atmosfera del pezzo è un po’ cupa a causa dell’accordatura aperta della chitarra ma il testo lo sento molto sereno.
Universi dice: “cosa resterà alla fine di microscopiche esistenze che contengono universi?”, parla  del piccolissimo e del grandissimo, del vicinissimo e lontanissimo, di noi che non sappiamo niente.

Il profumo del mare, Claudio. Mi piace parlarne, perché ci vedo dentro Napoli e una dichiarazione d’amore più ampia, che respira in tutto il disco e raggiunge l’apice nella sua chiosa  con Passione. Raccontami queste radici che ti stringono forte, ma non ti bloccano.
Ho scoperto tardi la forza delle mie radici e ci sto entrando molto lentamente, innamorandomi di canzoni fino a sentirle mie e scoprendo con molta calma un repertorio che è tra i più meravigliosi al mondo.
Suonare all’estero mi ha fatto capire quanto sia importante il luogo e la cultura a cui appartieni, mi sono reso conto di essere un madrelingua e un potenziale esportatore della canzone napoletana e mi piacerebbe molto confrontarmi con altre canzoni della mia tradizione.
Amo Napoli e il napoletano è la mia lingua, e amo L’Italia e la lingua italiana.

Le radici sono così esplicite in Solo una carezza. Con una canzone hai rievocato la Napoli raccontata da autori come Di Giacomo…
Quando mio padre mi ha raccontato la storia di sua nonna io stavo appunto leggendo un libro sulla vita dei più importanti autori della canzone napoletana del 900. La storia di questa mia bisnonna coincideva come periodo storico con quelle che stavo leggendo nel libro e quindi per me scrivere quel pezzo è stato un po’ come tornare indietro nel tempo. Non ero più nella mia stanza ma nel Salone Margherita alla Galleria Principe Umberto I a guardare le ballerine di can can.

Queste radici diventano anche occasione per una cover di altissimo livello. Parlo di Passione di Libero Bovio con cui hai scelto di chiudere il disco. La melodia, il testo formano un connubio di intenso struggimento. Come mai questa scelta e che legame ha con gli altri brani?
Penso che sia legata a me e quindi di conseguenza a tutte le altre canzoni del disco.
Ho scelto di registrare Passione perché quel testo e quella melodia  raccontavano perfettamente il mio stato d’animo prima di partire per la lavorazione del disco.
È strano soffrire per amore e rileggere le proprie emozioni espresse da qualcuno in una canzone scritta ottant’anni prima.
Questa cosa mi ha fatto stare bene e mi ha fatto sentire meno solo e forse quest’aspetto è quello che amo di più delle canzoni.

Se ti associo a Pino Daniele e a Massimo Trosi… che mi dici?
Che sono cresciuto ascoltando i dischi di Pino Daniele e guardando i film di Massimo Troisi.
La loro forza è quella di aver raccontato e rappresentato  attraverso la loro arte la parte più bella della nostra città e del nostro popolo.
A loro puoi associare tutte le cose che ti piacciono di Napoli, quindi anche me… ma è merito loro non merito mio.

Parlavo di radici che non ti bloccano, infatti questo disco è anche un’ode al viaggio. Il viaggio ti ha portato alla contaminazione. Una contaminazione che ha i nomi e i cognomi dei tuoi compagni d’avventura… Dimmi degli arrangiamenti di questo disco e della direzione che hai voluto dargli insieme ai musicisti che hai coinvolto…
È  il primo disco che arrangio e produco da solo.
Venivo da due dischi miei, due produzioni artistiche, un paio di colonne sonore a svariati progetti paralleli.
Avevo le idee chiarissime su cosa volevo e su come raggiungerlo.
Ho coinvolto alcuni tra i musicisti che stimo di più in Italia e mi sono divertito tantissimo con loro a vestire le canzoni affidando le mie idee  al  loro enorme talento.

Nick Drake, la musica africana, il blues che popolano il tuo singolarissimo folk…
Sono tutte passioni fortissime che ho e che mi vengono a trovare ogni volta che suono la chitarra, che canto o che lavoro ad un disco.

Parlami de L’arte della felicità, il film di animazione di Alessandro Rak che ha conquistato il Festival del Cinema di Venezia.
L’arte della felicità è un film bellissimo ed io sono orgoglioso di aver partecipato con un piccolo contributo ad una cosa così importante.
Consiglio a tutti di vederlo. Alessandro Rak è un talento e un patrimonio per la nostra città, auguro a lui e a tutto lo staff che lo segue tutto il bene e tanta felicità.

Il dolore ci rende migliori?
Anche.

Se ti chiedessi di fare una playlist di cinque brani, tu quali sceglieresti?
From the morning (Nick Drake): ascoltare questo pezzo mi fa vedere i colori più intensi, i profumi più forti, le donne più belle e gli amici più veri; Sometime i feel like a motherless child: non ho capito chi sia l’autore di questo brano ma mi sta facendo impazzire, è un vecchio gospel che ho scoperto grazie al mio amico Stefano Piro e me ne sono innamorato perdutamente; Passione fatta da Murolo è casa; Terra mia di Pino Daniele: è la voce di un fratello più grande che mi ha insegnato un sacco di cose; Hallelujah: mi piace sia l’originale di Leonard Cohen che quella di Jeff Buckley,la ricerca dell’armonia perfetta sulla quale liberare una delle melodia più belle di sempre.

Non è tardi – Streaming

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