Incontrarsi dopo un soundcheck, passeggiare per Bologna, fermarsi in Piazza Verdi “seduti come due bravi studenti”. Tra cani che ululano e qualche scena di umano ed urbano disagio esistenziale, abbiamo chiacchierato con Giuliano riguardo L’arte della guerra – Vol.1 e tutto ciò che ruota intorno a questo disco. È il nostro modo di amare e condividere la musica, sperando di incuriosire, stimolare, far innamorare anche chi ci legge. (In collaborazione con Amalia Dell’Osso)
Il disco inizia con Quando tornerai a casa: un ritorno, un’accoglienza ambigua. Nella parte centrale il brano assume suoni imponenti, quasi tetri, poi nel finale si apre come una rivelazione. Trovo che questo sia uno dei brani più complessi del disco. Non voglio chiederti il suo significato, ma puoi offrirmi un indizio, una chiave di lettura?
Credo che sia tuttora il mio brano preferito. È un racconto molto fluido, poi come produzione è un brano molto internazionale nei suoni, e mi è piaciuto tanto il lavoro di trattamento della voce e delle chitarre. Per quanto riguarda il testo, paradossalmente è più una canzone sulla casa che su una persona in particolare. Penso che ognuno di noi abbia un luogo che sente suo, che ogni volta gli fa vivere un ritorno a certi ricordi. Mi piaceva quindi l’idea dei riti, come una ricorrenza speciale da rivivere in questo luogo.
Ci sono state delle anteprime, ma il primo vero singolo è Estate #1107. Non si tratta dell’unico brano con splendide melodie pop ed un ritornello efficace (penso a Il mondo dalla nostra parte, per esempio), perchè è stato scelto proprio Estate #1107?
Quando ti dedichi ad un disco, già scrivendolo ti rendi un po’ conto della presa che può avere una canzone rispetto ad altre. Poi alla fine lo fai ascoltare agli amici, agli addetti ai lavori, al fonico ecc… e lì si capisce se quella sensazione viene confermata o meno. In questo disco i brani forti sono tre: Le vite degli altri, brano che è già stato lanciato l’anno scorso, e che forse come ritornello ha un gancio anche migliore (infatti non ho ben capito perchè non sia molto arrivato… sai che poi ci sono delle regole strane, tutta un’alchimia). Poi c’è Estate #1107, ovviamente, ed appunto Il mondo dalla nostra parte che sarà il prossimo singolo. Quando si è dovuto decidere quale dei due far uscire per primo c’è stato un po’ di dibattito, ma visti i tempi che erano un po’ slittati, ci è sembrato meglio Estate.
Possiamo dire che Estate #1107 racchiude un po’ l’intero senso del disco?
Sì, forse sì. C’è molto di quanto trattato nel disco, pur essendoci anche molte altre componenti nelle varie canzoni. Probabilmente si sposta anche troppa attenzione sul “senso dell’attesa”. Fa sorridere che, leggendo comunicati stampa di altri dischi, come quello di Vasco Brondi, di Dente, Baustelle l’anno scorso, ti accorgi che le tematiche sono sempre le stesse. È come se, vuoi per l’età o perchè fai il cantautore, sempre lì si finisca per arrivare. I Baustelle avevano fatto Fantasma, io l’ep Fantasmi, Dente anche lui con un disco sullo scorrere del tempo, poi vado a leggere di Vasco che ha fatto un disco proiettato nel futuro e pure io mi accorgo che per la prima volta ho guardato avanti e non solo al passato.
Questo è un disco che rappresenta una svolta per te. L’Arte della Guerra Vol.1 è come una fotografia: rende immortale un momento, lo celebra, eppure lo spinge in avanti. Cosa è cambiato nel tuo modo di vedere? Qual è stata la scintilla?
Secondo me, è semplicemente il fatto che sono passati degli anni. Nel comunicato ho ripreso un piccolo racconto mio, che avevo scritto nel blog in terza persona. Mi sono riferito all’estate di tre anni fa: in quel periodo mi sono ritrovato a fare determinate riflessioni che non avevo mai fatto prima. Che poi sono quelle cose che… fa quasi tenerezza dirle: c’è chi lo vive prima, chi dopo, ma io in quel momento ho incominciato a pensare a cose come: “se mi ammalo? che faccio?”. Ragionamenti, se si può dire, da adulto, o almeno ragionamenti un po’ meno da ragazzo. E questo mi ha fatto pensare per la prima volta che certi miei pensieri ed esperienze possono essere realmente condivisi, non solo narrati e cantati. Ci può essere un vero moto empatico. Se ora io dico: “aspetteremo ancora un’altra estate”, lo sto dicendo a tutti per davvero, non parlo solo di me.
La quarta traccia è strumentale. L’hai intitolata La nave, inserendola tra due parentesi. Cosa rappresenta quel passaggio? Quale ruolo ha nell’album?
Le parentesi non so nemmeno perchè le ho messe! Il brano invece nasce da un motivo tecnico. Il mondo dalla nostra parte è stato un brano al quale abbiamo lavorato molto: prima una versione più Arcade Fire con dei “pedaloni”, poi una più asciutta vagamente Coldplay, poi le abbiamo mischiate, abbiamo cambiato tonalità ed alla fine ci è rimasto uno spezzone più Bon Iver. Quest’ultimo mi piaceva molto ed abbiamo deciso di inserirlo.
I conflitti, sociali, personali, interiori sono presenti in tutti i brani. Il conflitto è visto come qualcosa di fondamentale nella vita, nel bene e nel male. La guerra, un’arte da imparare addirittura da bambini. Me ne parli? C’è soluzione a questa guerra?
Bisogna accettarla. Per mia inclinazione personale io sono sempre stato allergico ad affrontare conflitti: mi piace stare bene, vivere con gli altri esperienze positive, raramente mi arrabbio, non cerco la guerra. Poi la maturità, forse, è quella che ti porta a renderti conto che il conflitto c’è e non puoi farne a meno. Ne viviamo in continuazione, prima di tutto personali, interiori, con se stessi. Da qui viene il discorso sul libro L’arte della guerra: per me dal punto di vista bellico è assolutamente poco interessante, ma invece ho trovato molto interessante la parte che riguarda la conoscenza di sé. Contiene una serie di motti taoisti/zen, molti trattano la serena accettazione degli eventi ed i modi per risolvere i conflitti, spesso senza combattere. Una massima molto bella dice: “è molto facile combattere il nemico forte”, perchè il generale bravo è quello che combatte il debole senza cadere nell’inganno di sottovalutarlo.
Cosa ci resta de Le vite degli altri dopo averle guardate, un po’ di nascosto, dalla finestra?
Questa è una cosa che faccio sempre, tuttora, per strada, dal treno, in bicicletta… Milano poi è una città che invoglia a farlo, essendo più chiusa, più nascosta di altre. Non so cosa resta… ma io continuo a farlo.
Canti “la velocità è un trucco”. Cosa ti fa pensare che lo sia?
La velocità si ricollega al discorso iniziale del senso dell’attesa. Siamo ormai abituati a pensare che la velocità, nella fruizione e nella condivisione, sia la chiave delle relazioni umane. Invece mi sono convinto che la velocità non sia sempre un bene. È un trucco che noi ci raccontiamo. Certe cose funzionano molto meglio se svolte più lentamente, con il tempo di assimilarle. Mi riferisco anche ai dischi, per esempio.
Per i dischi, sia in entrata che in uscita c’è tanta frenesia…
Assolutamente sì.
Occhi dentro agli occhi è un brano molto particolare. “Ogni ricordo è un rasoio”. Ricordo, rimpianto, alibi, passato: sono tutti temi ricorrenti nei tuoi brani. Sembrano sfumare nella lunga coda sostenuta da cori. Com’è nata questa parte del brano?
È stata l’ultima cosa inserita nel disco. Il pezzo mancava di qualcosa. Io, Marco e Mauro siamo stati molto ispirati da Patrick Watson che ha una voce in punta di piedi ed una musica molto leggera che in qualche modo anche io cerco e trovo talvolta. Lui spesso ha dei pezzi strumentali e ci piaceva l’idea di inserirne. Avevamo l’esigenza di sbizzarrirci musicalmente, in particolare in un brano che ha un testo molto tosto.
Rispetto ai precedenti, quest’album è musicalmente più corale. Batteria, basso, pianoforte e chitarra sono posti quasi sullo stesso piano, e si muovono in modo organico. Sansone e Ferrara, tuoi compagni di viaggio, cosa hanno portato al lavoro?
Sì, altra cosa importante che riguarda il disco è proprio questa: ho voluto porre le basi per iniziare un lavoro differente rispetto al passato. Gli artisti che mi piacciono hanno una visione da collettivo musicale, così anche io ho voluto fare in questo modo. Sono andato dai ragazzi ed ho proposto questo tipo di lavoro. Poi c’è anche Francesco Campanozzi con noi: sul palco si è reso necessario per via dei vari arrangiamenti. A conti fatti, il disco l’ho prodotto io, ma sono quasi sempre stati tutti presenti in studio. Ciò che ci è mancato, e che probabilmente faremo con il Vol.2, è registrare più brani live in studio.
In questi ultimi tempi ti sei avvicinato anche molto al pianoforte. La chitarra resta comunque il tuo strumento principale per esprimerti?
Il brano L’arte della guerra lo suona Alice (Baccalini, ndr), una mia collega di scuola. Lei è bravissima, un talento di quelli incredibili: giovanissima ma già diplomata da anni. Quel brano, insieme a I fiori muoiono quando ci rattrista perderli, sono i soli registrati live, con poi delle sovraincisioni. Sono stati registrati live voce e pianoforte nel primo, chitarra e voce nel secondo. Tornando alla domanda: il pianoforte l’ho suonato tanto in Occhi dentro agli occhi, un pezzo complesso. La chitarra rimane il mio strumento, ma ho notato che il pianoforte è come se aprisse un cassetto diverso nel cervello, questo mi affascina.
Cosa è cambiato nella scrittura dei testi?
Non è cambiato molto. C’è solo un po’ più di mestiere. E questa è una parola con una valenza positiva! Significa saper lavorare. Ed infatti ho provato molto a lavorare sulle metriche, oppure asciugando i testi, limando tanto.
Spesso si chiede agli autori più giovani quali siano i loro idoli musicali di riferimento, ma trovo che chiederlo ad un artista maturo sia molto più interessante. Quali sono le musiche che ti hanno più ispirato nella realizzazione de L’arte della guerra Vol.1? Hai già citato Bon Iver…
Sì, sicuramente lui. Posso dirti cosa ho ascoltato di più negli ultimi anni… i Grizzly Bear mi sono piaciuti tanto, Leonard Cohen l’ho scoperto da poco, per il sound anche i Local Natives, Jonathan Wilson, Patrick Watson. Mi piace cercare quel particolare tocco, tra il folk americano ed una venatura di psichedelia. Ci sono dischi magnifici del passato, che però senti che sono datati; altri invece ripropongono quell’immaginario sonoro, ma attualizzato. Poi guarda… anche di recente leggevo delle belle interviste di altri musicisti “del nostro giro”… sorrido un po’ quando vedo che in queste interviste vengono spesso citati dei gruppi sconosciuti. C’è un po’ questa cosa di fare a gara con il giornalista, no? Così pensavo tra me e me che nelle interviste non ho mai la chicca… mi manca il gruppo che ha fatto due demo negli anni ’90! Io cito sempre certi nomi: Bob Dylan, Neil Young…
Per quanto riguarda la canzone in italiano, al di là di De Gregori che è sicuramente un mio grande riferimento o De Andrè che ho scoperto in questi ultimi cinque-sei anni, tra gli attuali posso dire che mi piacciono Dimartino, Colapesce che scrive delle bellissime canzoni, alcuni della cosiddetta scuola romana come Sinigaglia, Gazzè, Silvestri. Battisti e Gaetano continuano invece a non piacermi…
Puoi elencarci cinque brani per una playlist da proporre ai nostri lettori? Italiani, stranieri… così, d’impeto, quelli che ti vengono in mente ora…
Ci provo: Buonanotte fiorellino di De Gregori, Guinevere di Crosby, Stills & Nash, My My, Hey Hey (Out of the Blue) di Neil Young, Anna begins dei Counting Crows, Dormono sulla collina di De Andrè.
Certi dischi hanno un significato particolarmente profondo. Accade quando raccontano la verità sulla vita. Diventano materia universalmente condivisibile. Tu ci sei riuscito… te ne rendi pienamente conto?
Per il fatto di aver trattato dei temi più universali rispetto al passato… sì, lo riconosco. Sulle verità è tutto così relativo… vada come vada, sono comunque convinto che questo sia un disco importante. Mi sto accorgendo che piace molto agli uomini, ma le donne sono un po’ più in difficoltà. Lo leggo nelle recensioni, lo percepisco nei commenti. È come se questo disco parlasse molto ad una fascia di pubblico ben precisa… è solo una sensazione, non so se è vero. Forse questo senso di “verità” arriva a chi ha già fatto una serie di riflessioni.
A L’arte della guerra Vol.1 seguirà un Vol.2. Cosa aggiungerà? Vivrà degli stessi sentimenti? Ne scoprirà di nuovi?
Tematicamente non sarà molto diverso dal Vol.1: ci saranno pezzi dove si concentrerà ancora di più il senso del fluire, dell’attesa, del futuro. Musicalmente sarà invece un po’ diverso. Il Vol.1 contiene tanta musica e poche parole, il secondo sarà un disco di canzoni. Mi viene in mente Mick Jagger che in un’intervista diceva appunto che i dischi si dividono in due categorie: i dischi-dischi, e i dischi-canzoni, ed è una cosa molto vera! Il Vol.1 fa parte della prima categoria, con le sue pause fluisce bene nell’insieme. Il Vol.2 sarà sempre di otto pezzi, ma più diretto, senza fronzoli. Almeno vorrei, poi chissà. Così come vorrei che uscisse l’anno prossimo, vedremo!