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Indagine su un gruppo al di sopra di ogni sospetto: intervista a M. Martellotta e T. Colliva (Calibro35)

Chi non ricorda Er Monnezza, il commissario Mark Terzi, il commissario Betti? Sono personaggi entrati nell’immaginario collettivo di chi negli anni 70 si godeva i famosi film poliziotteschi all’italiana. Erano film d’azione, a cavallo tra il poliziesco, il noir, l’horror e lo splatter. I protagonisti erano tutti poliziotti senza macchia, sprezzanti del pericolo. Questi film erano anche un po’ uno specchio dell’Italia degli anni di piombo, dei rapimenti, delle stragi, della violenza per le strade. Ma sicuramente non li ricorderemo così bene se non avessero avuto delle colonne sonore capaci di regalare patos sottolineandone i momenti salienti. Veri e propri geni come Morricone, Bacalov hanno creato pezzi che ancora oggi rievocano al primo ascolto  immagini d’inseguimenti spettacolari, di sparatorie sanguinarie. Devono pensarla così anche i Calibro35, un collettivo che ha realizzato  un album avvincente in cui sono stati rivisitati alcuni brani classici tratti da queste colonne sonore. LostHighways non poteva farsi scappare l’occasione per porre qualche domanda a Massimo Martellotta e Tommaso Colliva per farsi spalancare le porte sul quel mondo che li ha ispirati.

Come sono nati i Calibro35? Cosa vi ha spinto ad unirvi in questo progetto?
Massimo:I Calibro35 nascono per rendere omaggio agli anni d’oro delle colonne sonore italiane, presentando il proprio approccio fatto di rigore, rumore ed improvvisazione. La cosa che ci ha spinto ad unirci in questo progetto è stata la constatazione molto semplice che una delle cose di cui tutti siamo orgogliosi come italiani è il patrimonio cinematografico che va dagli anni ‘50 ai ’70, comprese le colonne sonore. Abbiamo quindi pensato e deciso che sarebbe stato interessante riprendere in mano un repertorio così importante ed unico nel panorama mondiale. E’ un’idea che era nell’aria da molto tempo un po’ ovunque, ma stranamente nessuno l’aveva fatto prima, o almeno non con questo tipo di attitudine fra il filologico e l’innovazione. E allora lo abbiamo fatto noi.

Ultimamente sia la tv che la musica stanno riscoprendo i famosi film poliziotteschi, quelli che negli anni 70 dividevano l’Italia in due: il pubblico li osannava mentre la critica li ha bollati come trash. Cosa avevano di così speciale, tanto da spingervi a ripescarne le colonne sonore?
Tommaso: La produzione cinematografica in Italia tra gli anni ’60 e ’70 è stata smisurata. Basti pensare che è stimata l’esistenza di circa quattrocento “Spaghetti Western” e più di duecento polizieschi. Questo per dire che in un settore così fertile è probabile che si creino le condizioni per la nascita di pellicole significative, se non di veri e propri capolavori, così come è naturale che esistano film di minore spessore. È però veramente sorprendente che anche film di dubbio livello riescano ad esprimere un’estetica molto precisa, a comunicare immediatamente un mondo definito. Vedi un’Alfa Giulia, una bottiglia di J&B, un commissario biondo coi baffoni e ti ritrovi immediatamente catapultato in una nebbiosa giornata della Milano degli anni ’70. Lo stesso si può dire delle colonne sonore; la commistione di funk, jazz e rock utilizzata dai compositori è una miscela esplosiva.

Gente come Morricone, Bacalov sono veri e propri artisti che si sono messi a servizio del cinema. Le loro musiche erano studiate in base ai film, nascevano insieme a loro, tanto che spesso alcune scene venivano cambiate per adattarle alle loro composizioni. Oggi questa magia si è un po’ persa, spesso si preferisce scegliere pezzi già editi. Cosa ne pensate? A mio parere si è perso quel valore aggiunto che aveva il cinema italiano rispetto a quello d’oltreoceano.
Massimo: Anche prima succedeva che inserissero nella colonna qualche pezzo già edito o famoso, semplicemente perché piaceva al regista o per sfruttarne le doti di appeal commerciale. Come L’Appuntamento della Vanoni ad esempio, che non a caso abbiamo inserito nel disco come unico cantato e bonus track. E in realtà il fatto di fare musica ad hoc per i film succedeva prima e succede tuttora in molti casi fortunatamente, sia all’estero che in Italia. E’ il carattere stesso della scrittura, che con Morricone raggiunge la massima espressione di integrazione fra musica colta, popolare, contemporanea e concreta, ad aver sicuramente marchiato a fuoco la cifra stilistica della Colonna Sonora Italiana propriamente detta. La cultura della colonna sonora negli States arriva probabilmente come evoluzione del be-bop. Spesso erano adattamenti strumentali di brani magari nati come pezzi per i musical, con il grande Gershwin in testa, e i film stessi molte volte riproponevano in chiave cinematografica quel tipo di estetica che abbiamo imparato a riconoscere come fortemente americana, legata molto all’intrattenimento per l’intrattenimento, grandioso, da boom economico. In Italia da De Sica in poi invece il vero, il sudore, il nudo e crudo e in seguito la deriva fino all’eccesso caricaturale, passò dal non essere professionale all’essere interessante, ad essere “diverso”. E questo attraeva il pubblico di tutto il mondo, americani in testa, abituati ad un puritanesimo dilagante. Anche solo per dare una sbirciatina di nascosto alla goccia di sangue o alle cosce della Magnani. L’atteggiamento “oltraggioso” e di sperimentazione si è per forza di cose manifestato anche nella musica. Che da lì in poi è evoluta cercando un linguaggio sempre più personale fino a trovarlo, e diventare il riferimento di genere per il mondo intero. La grossa differenza con allora è che la contaminazione fra i due poli, se così vogliamo chiamarli, non era facile ed immediata come oggi e le meravigliose e numerosissime differenze erano ciò che chiamavamo cultura. Dal canto mio rimango comunque ottimista sulla possibilità di fare musica “all’italiana” anche in futuro. Come Calibro35 non avremmo senso altrimenti, e io ho appena preso l’incarico per una colonna e spero di riuscire a farlo come si deve.

La vostra forza sta nell’improvvisazione e credo che questo influisca molto sulla vostra dimensione live. Cosa succede quando i Calibro35 salgono sul palco? La gente come reagisce a questo tuffo negli anni 70?
Massimo: Ti invitiamo ufficialmente al prossimo concerto. Così potrai smentire tutto ciò che sto per inventarmi per fare colpo. Scherzo, il nostro unico dubbio all’inizio era che un repertorio interamente strumentale potesse essere meno attraente o divertente per il pubblico che un paio di tette e una bella voce. Ed invece è andata molto bene da subito. Probabilmente con delle tette andrebbe anche meglio, ma anche senza i concerti divertono molto noi e la gente. Abbiamo tutti un po’ di esperienza, e sappiamo quanto sia difficile a fine serata vendere i dischi al banchetto nonostante un buon concerto, ma con i Calibro siamo stupiti dalla quantità di gente che li compra. E’ un ottimo segnale, sicuramente. E anche vedere gente entrare calva ed uscire con i capelli lunghi e i basettoni ci incoraggia molto.

Collaborate tutti con realtà consolidate del panorama italiano e internazionale. Come hanno influito queste esperienze sul progetto Calibro35 e viceversa? Ad esempio so che il titolo del nuovo album degli Afterhours è anche un po’ “figlio” dei Calibro35…
Massimo: è parecchio figlio di Tommaso.
Tommaso: La prima sessione di registrazione con i Calibro è avvenuta un paio di settimane prima che entrassimo in studio con gli Afterhours e ho mixato il nostro disco subito dopo aver ultimato I Milanesi Ammazzano Il Sabato, quindi si può a buon titolo dire che sono in qualche modo gemelli. Parte della strumentazione utilizzata è poi comune: l’organo tiger, lo stylophone, alcuni amplificatori da chitarra. Per quanto riguarda il titolo è stato un caso fortuito a suggerirlo, come spesso accade. Nel periodo di ideazione delle canzoni degli After ero anche alla ricerca di pezzi papabili per il disco dei Calibro e viaggiavo con la borsa piena di cd e dvd da cui prendere spunto. Uno di questi era proprio La Morte Risale a Ieri Sera, pellicola tratta dal romanzo di Scerbanenco I Milanesi Ammazzano Al Sabato, e mi è venuto naturale suggerire il titolo a Manuel, che poi lo ha storpiato in I Milanesi Ammazzano il Sabato.

Le colonne sonore sono un punto d’unione tra musica e cinema. Cosa ne pensate della contaminazione tra varie arti, in questo caso quella visiva e quella sonora?
Tommaso: Lavorare con musica e immagini è sempre molto accattivante poiché l’influenza reciproca che due sensi come vista e udito hanno sulla nostra percezione complessiva è incredibile. Chiunque abbia lavorato con audio e video può confermare che se prendi una musica qualsiasi e un video qualsiasi e li metti insieme ci saranno sicuramente dei punti di sync interessanti. La sfida è creare però un tutt’uno che valorizzi entrambi gli aspetti definendo ruoli principali e secondari. Per il nostro live con proiezioni, ad esempio, abbiamo riflettuto molto sul ruolo che le immagini avrebbero dovuto avere; non volevamo che il video rubasse attenzione a quello che è il punto focale dello spettacolo ovvero un concerto di musica suonata e improvvisata dal vivo. Per questo motivo il montaggio è eseguito in tempo reale, affinché sia il video ad adattarsi alla musica e non viceversa, lasciando i musicisti liberi di improvvisare, allungare, restringere, divertirsi.

Gioco della torre: chi salvereste tra i musicisti italiani e chi invece finirebbe di sotto?
Massimo: Sulla torre c’è solo un posto in più e a me basta Morricone, ed è così immenso che francamente non c’è spazio sufficiente… gli altri dove li metto? Ma probabilmente non reggerei per dieci secondi lo sguardo e il carisma di quell’uomo e giù mi ci butterei io di corsa.
Tommaso: Sulla torre Tomas Milian negli anni ’70, giù dalla torre Tomas Milian per molte cose fatte negli anni ’80… ma sbagliamo tutti.

Credete che il vostro album avrà un seguito o rimarrà un episodio isolato?
Massimo: abbiamo già pronti 3 pezzi del nuovo disco da prima che uscisse questo. Con i Calibro bisognerà stare attenti a non essere troppo prolifici. Il problema è che siamo contro la vasectomia creativa.
Tommaso: Teoricamente Calibro è il progetto giusto con cui prescindere dalle logiche e dalle tempistiche di produzione discografica, quindi si cercherà di farlo. Sembra scontato dirlo ma è un momento molto creativo e con molti stimoli per noi e cerchiamo di stare dietro a tutto e capire cosa ci va di fare di più.

Molti artisti, più o meno famosi, si affidano al web per la distribuzione dei loro album. In parte l’avete fatto anche voi, regalando il brano L’appuntamento dalle pagine del sito di Radio Deejay. Pensate che la rete possa ridare linfa vitale alla scena musicale, vista la crisi del mercato discografico?
Massimo: La crisi grossa è delle case discografiche, perché sono drasticamente cambiate le modalità del mercato nel giro di pochissimi anni e non hanno avuto la prontezza di rimettersi in gioco ed investire in maniera diversa il loro tempo ed il denaro. Ogni giorno che passa il mercato continua a cambiare velocissimamente e molte case discografiche continuano ad avere gli stessi metodi di 5 o 10 anni fa, raccontandosi per un sacco di tempo quanta crisi ci sia, e cercando di capire come raschiare il fondo del barile pubblicando inutili greatest hits da liquidità per il tempo che gli rimane. Si sta tornando al contatto personale, al passaparola, e ai concerti. Il problema è anche che oltre ad avere cambiato modalità, il mercato diventa sempre più piccolo. In Italia è inesistente. Soprattutto rispetto alla quantità di gente che fa musica, che invece aumenta in maniera mostruosa: è tantissima! E parlo del giro “indipendente” soprattutto. I conti non mi tornano mica, si vendono sempre meno dischi ma ne escono sempre di più. Comunque la rete sicuramente dà la possibilità di accedere in maniera più facile e diretta sia ad un bacino di pubblico potenzialmente interessato che a una struttura che possa darti una mano a farti conoscere, ma di fatto il lavoro che prima era degli uffici stampa interni alle case discografiche è tutto in mano all’artista e si rischia spesso di perdersi nel mare dell’accessibilità totale. E’ tutto alla portata di tutti, ma spesso la strada da percorrere è difficile da individuare.

Concludiamo con una sfida: datemi cinque buone ragioni per ascoltare i Calibro35.
1 il funk, 2 il rock, 3 i film, 4 Ennio Morricone, 5 perché se dopo averci ascoltato sei ancora calvo e senza basette ti ridiamo i soldi indietro!

Preludio (da Milano Calibro 9) – Preview

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