Pochi giorni fa vi abbiamo presentato Corteccia, il nuovo video di Alia. Per farci spiegare meglio come è nato il video e anche per farci raccontare qualcosa dei suoi progetti futuri, abbiamo chiacchierato un po’ con il cantautore bergamasco. Due chiacchiere tra musica e poesia.
Corteccia, brano che anticipa l’uscita del tuo nuovo disco prevista per il prossimo ottobre. Si tratta di un video estremamente intimo, privato in cui racconti attraverso immagini e parole moltissimo di te, del tuo passato, delle tue radici. Hai fatto, a mio avviso, una scelta molto coraggiosa. Vuoi raccontarci come è nato il video?
Coraggiosa? Non so. Me l’hanno già detto. Io personalmente penso ci voglia più coraggio ad alzarsi la mattina ed andare in ufficio indossando, all’occorrenza, le numerose maschere che la vita di relazione ci impone. La peggiore: quella dell’impermeabilità.
L’idea di utilizzare i filmati di famiglia è venuta subito, non appena ho pensato di proporlo come anteprima. Ora, infatti, non riesco più a concepire Corteccia senza pensare al filmato. Più difficile è stato montare il video con le immagini di repertorio dei Pride. C’era un forte rischio di uscire da quel senso di levità che il brano e le immagini familiari suggeriscono.
È così commovente il legame profondissimo con la tua famiglia. Le radici son qualcosa di molto importante per te. Un punto di partenza e un rifugio. Come ha reagito la tua famiglia al video?
La mia famiglia più stretta ha apprezzato molto, si è commossa. Conosceva benissimo i filmati ma evidentemente l’associazione col brano ha potenziato il carico emotivo delle immagini. Anche il seguito di zii e cugini, per i quali il coming out non era stato ancora ufficializzato, mi sta scrivendo e ringraziando anche perché all’interno del filmato ci sono degli affetti che purtroppo non ci sono più. L’obiettivo primario del video però è sempre restato quello di dare un senso universale ad un privato comune. Lo stesso intento che ha anche il brano.
Lo scorrere delle immagini richiama alla mente il video di qualcuno oltreoceano: John Wayne Gacy Jr di Sufjan Stevens. Non si può fare a meno di chiamarlo in causa…
Non conosco molto Sufjan Stevens ma ho visto il video e ti do ragione sulle affinità anche se Corteccia si è più ispirato alla scena finale del film Philadelphia e alla canzone omonima di Neil Young.
Non ti chiedo anticipazioni sul nuovo disco… ma se hai voglia di dirci qualcosa ne saremmo felici!
Il titolo del disco sarà Asteroidi.
Sarà un disco che arriva “da” lontano e che mi auguro arrivi lontano. È un viaggio nostalgico dal punto di vista sia lirico che sonoro al quale oltre a me e Giuliano Dottori hanno partecipato, con preziosi contributi, Cesare Malfatti (La Crus) e Raffaella Destefano (Madreblu).
Ti posso chiedere però qualcosa? Quali saranno le differenze, se ci saranno, tra i brani dell’ep Aria e quelli del nuovo disco?
Rispetto ad Aria c’è stato molto più rigore nella definizione del paesaggio sonoro. Ho chiesto a Giuliano di focalizzarsi su pochi ma riconoscibilissimi suoni. Una voglia di minimalismo che vuole essere un banco di prova per le canzoni stesse. Vale a dire: se la canzone c’è deve reggersi su pochissimi elementi.
Dal punto di vista lirico invece ho cercato di toccare diverse tematiche spostando spesso la prospettiva e giocando molto sulla dualità maschile/femminile. Ne è risultato un disco più vario e molto più cantabile rispetto ad Aria.
Anche per l’album, come è accaduto per l’ep che ha segnato il tuo esordio, ti sei avvalso della produzione di Giuliano Dottori. Ormai la vostra è una collaborazione collaudata. Che cosa vuol dire questo rapporto per il tuo disco?
Significa innanzitutto partire da un rapporto di confidenza collaudato quindi senza conflittualità. Certo, questo disco è stata un’esperienza forte per me perché si tratta del mio primo full length, ma anche per Giuliano che ha dovuto “scontrarsi” con delle mie esigenze specifiche che sono molto lontane dai suoi mondi musicali, per esempio un uso massivo di tastiere e synth oppure una vocalità che gioca molto col falsetto.
Se la tua famiglia rappresenta la tua radice affettiva, quali sono le tue radici culturali? Nelle tue canzoni emerge una grande passione per la poesia? Ci racconti qualcosa su questo?
All’età di 10 anni la mia famiglia si è spostata da Bergamo in un paesino di poche anime in Brianza. Per me, che fino ad allora ero abituato alle moltitudini di bambini che abitavano i cortili dei palazzi, è stato un trauma che ho superato con molta fatica e che ha determinato molto le mie scelte nelle letture. Dai 10 ai 18 anni ho letto tantissimo. Credo di aver fatto solo quello. Sabato e domenica compresi. Ho cominciato con Agatha Christie ma subito dopo mi sono appassionato ai romanzi e racconti di formazione di matrice tedesca: Peter Camenzind, Demian, Il giuoco delle perle di vetro (Hesse), Tonio Kröger, Disordine e dolore precoce, La montagna incantata, I Buddenbrocks (Mann), e poi Kafka, Robert Walser, Rilke, Musil.
Ho scritto la tesina di terza media dopo aver avuto una “visione” in sogno di Hans Castorp che mi aiutava con i collegamenti interdisciplinari!
La poesia è stata una scoperta di una quindicina di anni fa. Di quando ho cominciato ad avere sfiducia nella letteratura contemporanea, del suo voler imporre a tutti i costi scenari non interessanti per il mio sguardo. Mi piace il rigore compositivo della poesia, mi piace la sua capacità di creare degli immaginari non solo con le parole bensì anche attraverso gli elementi prosodici del ritmo, delle pause, dell’intonazione. In una poesia ci sono molte più parole di quanto sia possibile leggerne effettivamente. I miei autori preferiti sono Paul Celan, su tutti, e poi Clemente Rebora, Esenin, Mandelstam. Gente felice insomma…
Attualmente oltre alla poesia mi sono appassionato alle biografie. Mi piacciono molto quelle dei santi.
Hai di recente suonato al Venezia Pride. Che esperienza è stata?
È stata un’esperienza molto forte perché ho cantato due pezzi non propriamente da festa: Corteccia che già conoscete e Conchiglia in cui canto al femminile la solitudine di una donna di mezza età. Mi è piaciuta molto l’idea di proporre un pezzo sul coming out e uno transgender. 10 minuti di performance sono stati sufficienti per mandare un messaggio preciso. È stato bello trovare a fine esibizione persone nel backstage che volevano sapere chi fossi.
Quali sono i progetti futuri di Alia?
Io e Miky Marrocco (Controluce, Yuri Beretta) ci stiamo concentrando per strutturare il live a venire. Inoltre ho ricominciato a scrivere non però necessariamente in funzione di un altro disco.
In questo periodo chiudiamo le interviste di LostHighways chiedendo di indicarci una sorta di playlist di 5 brani. Nel tuo caso ti domando i 5 brani che ti hanno influenzato nel sound del nuovo disco…
Mi piacerebbe che nel disco venissero riconosciute tracce di questi brani o meglio dei dischi in cui essi sono contenuti. Sarebbe già un bel risultato: Let’s go out tonight – The Blue Nile; Am I right? – Erasure; More than I can bear – Matt Bianco; I fled – Gang of Four; Buonumore – Denovo.
Corteccia – video