C’è sempre un’altra faccia della luna che noi non conosciamo. C’è sempre una magia inspiegabile nella Madre Terra che ci ospita nell’universo. Ci sarà sempre qualcuno che non consuma la musica come un fazzoletto di carta usa e getta. Ci sarà sempre qualcuno che si ricorda quale esperienza unica sia la fruizione di un disco, quale mondo sappia svelarsi all’ascolto. Ci sarà sempre qualcuno che riuscirà a far trascendere i limiti fisici dell’uomo, a trasmigrarlo in un’altra dimensione attraverso la musica. Nella seconda metà del ‘900 sono riusciti nell’impresa i Pink Floyd, l’unica band ad avvicinare il mondo della musica classica a quello della musica leggera. Il loro modo di esplorare le capacità extrasensoriali di strumenti come la chitarra, la batteria, il basso e le tastiere è stato cosi originale e avanguardistico da lasciare al mondo una musica che ha valicato i confini di genere, da quello psichedelico a quello progressive. Le atmosfere floydiane sono sempre state basate sulle dilatazioni oniriche delle tastiere di Richard Wright, sugli accenti ritmici di batteria di Nick Mason e sugli assoli spazio-temporali di David Gimour. L’incisività del basso di Roger Waters non è mai stato un elemento altamente caratterizzante del suono floydiano, piuttosto la sua personalità ha contributo in maniera determinante alla mitologia lirica della band. Quindi quest’ultimo capitolo dei Pink Floyd può essere considerato a livello di suono ancora e senza dubbio un’opera floydiana a tutti gli effetti. Con Things Left Unsaid entrano subito in gioco le atmosfere uniche del synth di Richard Wright e la chitarra Ebow di David Gilmour che ti proiettano in un’orbita ai confini del sistema solare, in un punto imprecisato dell’universo, dove la nostra esistenza è già un lampo di luce di memoria. It’s What We Do è sicuramente figlia delle intuizioni di The Division Bell e di A Momentary Lapse of Reason, in essa si distilla un assolo carico di pathos alla Shine on you Crazy Diamond, per intenderci. Non si può restare insensibili davanti a cotanta profondità sonora. Il viaggio di questo satellite interstellare continua inseguendo ipnotiche rotte come Sum, dove Nick Mason entra con un drumming impetuoso come quello presente nell’indimenticabile Time ed il fantasma di Richard Wright incrementa la forza analogica del suo synth. In Skyn si entra in un vortice sonico degno delle sperimentazioni ardite di Atom Heart Mother, per poi approdare sulla stella più melodica Anisina, ricordando Us and Them in chiave jazzy grazie al sax di Gilad Atzmon. Quindi Richard Wright realizza il punto più esplicito di contatto tra musica classica e rock: The Lost Art of Conversation. Continuano le atmosfere dei Pink Floyd anni ottanta con la sequenza da On Noodle Street, Night Light e Allons-Y (1) e (2) tra suggestioni di Sorrow e Another Brick in the wall (Part 1). Nel mezzo il sontuoso organo di Autumn’68, altro bellissimo ricordo di Richard Wright. In Talkin’ Hawkin ritorna il concetto dell’incomunicabilità espresso in Keep Talking e ritornano le parole dell’astrofisico Stephen Hawking. Calling è una sorta di requiem spaziale che potrebbe venire in mente a Vangelis o Mike Oldfield. L’arpeggio di un’acustica echeggia tra gli accenti di batteria di Mason in Eyes to Pearls, amplificando il mood oscuro di Calling. In Surfacing si ritrova la luce, un’apertura quasi alla Run like hell che conduce a quelle stesse campane di High Hopes che qui legano al brano cantato Louder than Words, i cui versi sono il testamento lirico dei Pink Floyd. Il messaggio è tanto semplice quando intenso: l’eterno fluire della vita è indipendente dal nostro controllo, l’umana esistenza è finita, solo la musica, i battiti dei nostri cuori saranno più profondi delle parole. I Pink floyd non suoneranno mai più insieme ma la loro musica continuerà ad essere ascoltata da generazioni future in un fiume senza fine che si chiama vita. The endless river non è un’operazione commerciale che vuole fare leva sulla nostalgia, ma è l’ultimo atto d’amore e di amicizia di David Gilmour e Nick Mason verso il compagno di mille avventure Richard Wright, in nome di quel progetto artistico Pink Floyd che hanno difeso insieme contro l’egocentrismo esistenziale di Roger Waters. The endless river contiene i pezzi nascosti del puzzle The Divsion bell che credevamo completo ed invece fortunatamente non lo era.
Credits
Label: Parlophone – 2014
Line-up: David Gilmour (voce solista; chitarre solista, ritmica e acustica; basso) – Nick Mason (batteria, percussioni) – Richard Wright (tastiere, piano; voce).
Tracklist:
1. Things Left Unsaid
2. It’s What We Do
3. Ebb and Flow
4. Sum
5. Skins
6. Unsung
7. Anisina
8. The Lost Art of Conversation
9. On Noodle Street
10.Night Light
11.Allons-y (1)
12.Autumn’68
13.Allons-y (2)
14.Talkin’ Hawkin
15.Calling
16.Eyes to Pearls
17.Surfacing
18.Louder Than Word
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