“Semplicemente arriva qualcosa che prima non c’è / come una guerra torna la primavera.” Con le sue esplosioni di fiori e starnuti, con le fanfare cantate dagli uccelli che come eserciti riconquistano il cielo, con il Sole che colpisce di vita la terra, così come Dimartino che torna a suonare dal vivo con il suo nuovo album. Un paese ci vuole (Picicca – 2015), uscito da poco e già riconosciuto da pubblico e critica come un piccolo capolavoro. Piccola (grande) bellezza, appunto: quella dei paesi, dei borghi, delle comunità minime, dei mille campanili. Di questo narra Antonio Di Martino nel suo ultimo disco, definibile come un concept album sul senso delle cose perdute che ancora ci circondano, e di questo al Locomotiv di Bologna, terza data del tour, insieme a Giusto Correnti alla batteria ed Angelo Trabace alle tastiere, l’autore siciliano ci racconta in una sera di inizio Maggio.
Come una guerra la primavera, singolo di presentazione dell’album, è il brano di apertura che il pubblico pare già conoscere a memoria. Il disco però è uscito da poco e saggiamente Dimartino inserisce tra i primi posti della scaletta un tris di brani dal precedente Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile: Ormai siamo troppo giovani, Venga il tuo regno, Cartoline da Amsterdam. L’atmosfera si scalda, i suoni sono splendidi, pieni di colore e ritmo.
Ogni volta che mi trovo ad assistere ad un live di Dimartino, ciò che mi stupisce maggiormente è proprio la bellezza dei suoni e la capacità delle melodie di insinuarsi e conquistare tutti. Esempio cangiante è il nuovo brano Da cielo a cielo: inizio lento e delicato, un lieve crescendo di intensità, un ritornello che cattura.
Dimartino sorride e parla al pubblico tra un brano e l’altro; si percepisce la gioia dell’autore nel presentare i propri nuovi brani, frutto di ispirazione e fatica. “Come una guerra la primavera” è anche questo momento di precario equilibrio tra entusiasmo e timore, di fronte ad un pubblico che non si può sapere se pretenderà solo i vecchi brani da cantare a squarciagola o si lascerà coinvolgere dalle nuove proposte. Una scommessa che vive nei sorrisi e nella voglia di presentare i brani, quasi uno per uno, introducendoli con un piccola frase, fino al “Grazie” che segue gli applausi.
Niente da dichiarare è un brano che fluttua e si innalza sospeso tra un tappeto di tastiere ed i colpi della batteria: i suoni riempiono ogni spazio, la voce di Dimartino si muove con disinvoltura e perfezione (ebbene sì, Dimartino è uno dei pochi nuovi cantautori italiani veramente capace di cantare, e questo fa la differenza).
Dal primo album Cara maestra abbiamo perso: Cambio idea. L’inconfondibile tema di pianoforte accompagna il canto prima dell’esplosione saltellante. Chissà cosa deve essere vedere da quel palco tutti quei sorrisi del pubblico? Chissà cosa si prova? Forse ci si sente protetti, al riparo, come tra Le montagne. Il brano, tra i più belli dell’ultimo album, stupisce per l’eleganza cordiale con il quale si muove nell’aria, anche grazie alle percussioni e le seconde voci di Giusto Correnti.
L’atmosfera si fa leggermente più cupa con La foresta: un percorso labirintico ed avventuroso, strumentale, che ci conduce ad una breve pausa con una registrazione tratta da Amarcord di Fellini.
Il live riprende con Case stregate, delicatissima e dondolante, romantica e struggente ballata d’altri tempi. subito dopo, per qualche minuto il Locomotiv si trasforma in una balera per accogliere la poesia danzante de I calendari, brano che su disco vanta la partecipazione di un grande nome della canzone italiana come quello di Cristina Donà.
Dimartino si alterna continuamente al basso ed alla chitarra, e pare davvero incredibile che soli tre musicisti riescano a realizzare un live così perfetto e ricco, a dimostrazione della bravura e professionalità dei tre.
Io non parlo mai poi Maledetto autunno (tra il gioioso delirio del pubblico), ad anticipare la bellissima L’isola che c’è. Quest’ultima è una favola senza tempo, di incontri, amori e viaggi mentali, brividi e incanti quotidiani che possiamo collocare in ogni paese della nostra penisola.
Viaggi e passioni, dolori e scoperte ne La vita nuova. Storie di noi ventenni-trentenni-quarantenni, sempre più simili, sempre più alla ricerca della felicità, ovunque si possa trovarla, anche a migliaia di chilometri: “Torna Vincenzo torna / dal nord Europa / con la ragazza bionda, / parla di grandi navi / e di discoteche / come cattedrali, / mostra il suo nuovo accento / come un monumento / alla vita nuova“. Il tema viene ripreso anche in Parto, brano tratto invece dal primo album di Dimartino, in un silenzio irreale, “parto, e vaffanculo al Natale“.
Amore sociale, cantata da tutto il pubblico in coro, ci accompagna alla seconda pausa del concerto che riprende dopo pochissimo con Ho sparato a Vinicio Capossela. Non ho più voglia di imparare splende nelle note di piano suonate da Angelo Trabace. La fine del concerto viene affidata a due brani amatissimi da pubblico: Cercasi anima e Non siamo gli alberi.
Tanti, tanti, tanti applausi per la band di Dimartino. Tanta empatia, tanta bravura, dal palco. Visibilmente emozionato Antonio saluta il pubblico, mentre lascia il palco con i fidati Angelo e Giusto.
Il palco agghindato con lucine come in una festa di paese, si spegne, il locale si svuota in un attimo perchè fuori il clima è molto più confortevole che all’interno. Qualcuno poi rientra per un saluto alla band, un autografo sul cd appena comprato ed una foto. A noi basta una stretta di mano, due parole, e notare nel volto di Antonio un sorriso grato ed imbarazzato.
Quella di Dimartino è una delle più belle realtà di cantautorato italiano, quello vero, che resiste alla “bolla dei nuovi cantautori” di un paio di anni fa. La sua è l’unica realtà che cresce di qualità in ogni album; una tra le poche che si sta conquistando un posto tra i grandi. Una delle poche che sa davvero cantare di noi, con la semplicità del pop e la verità profonda che la poesia sa raccontare meglio della realtà.
Gallery fotografica di Emanuele Gessi