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Il rumore del mondo al collasso: intervista ai Drunken Butterfly

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In questa estate di calura, tuffi, tormentoni estivi, cocktail e festival musicali, abbiamo anche trovato il tempo (fortunatamente) di metterci a sedere al tavolino di un bar con una birra e con la voglia di parlare, ma soprattutto ascoltare.
Abbiamo incontrato Lorenzo Castiglioni dei Drunken Butterfly, band di origine marchigiana che il 25 Settembre darà alla luce il sesto album intitolato Codec_015 (Black Fading). Un’intervista particolare, senza vere e proprie domande preparate: solo alcuni punti da trattare in libertà al fine di conoscere in modo vero e spontaneo il lavoro ad un progetto interessante e ricco di passione.

IL TEMPO

Com’è nato Codec?
Con Epsilon venivamo dall’esperienza di sonorizzazione del film (L’ultima risata). Finita questa esperienza, ci siamo presi un tempo lunghissimo di un anno di sala prove nel quale abbiamo esclusivamente lavorato ad Epsilon. L’attività live era stata del tutto sospesa. Con Codec_015, invece, c’è stato in mezzo un tour di cinquanta date, ci siamo ritagliati del tempo nei periodi con meno concerti iniziando a buttare giù delle idee e registrando parecchi appunti. Alcune cose abbozzate sono rimaste ferme anche per più di un mese. Pur rimanendo quindi sullo stesso approccio, per cui in entrambi i dischi si è partiti da una base ritmica, la tempistica della composizione per Codec_015 è stata molto differente.

Il lavoro in studio come si è svolto?
C’è stata la volontà di affidarci ad un produttore ed andare in uno studio professionale. La scelta alla fine è andata verso Cristiano Santini ed il suo Morphing Studio. Per la nostra età ed il nostro percorso, lui rientra assolutamente tra i nostri riferimenti artistici. Quando abbiamo iniziato a suonare c’erano i Marlene Kuntz, gli Afterhours, i CSI, e i Disciplinatha di Cristiano. Questi ultimi rappresentavano al meglio l’idea di gruppo come piace a noi: un progetto completo, non solo “un gruppo che fa musica”, ma un insieme di aspetti ben definiti in modo organico. Tralaltro io non sapevo che Cristiano avesse uno studio qui a Bologna, quindi appena l’ho saputo ho portato i provini e subito abbiamo riscontrato una sintonia di pensiero, a livello artistico ma non solo. Sembrava che ci conoscessimo da una vita: grande affinità anche sulla visione della società, della musica in Italia. Abbiamo fissato il periodo di febbraio per il lavoro in studio, che poi abbiamo sforato fino a metà marzo.
In questo lavoro ci siamo accorti di aver seguito un filo con Epsilon, ma in Codec_015 abbiamo estremizzato tutto quanto, sia musicalmente che nei testi: tutto è molto diretto.

Una volta finite le registrazioni, quante volte viene riascoltato il lavoro finito?
In realtà poco. Alla fine non ce la fai più, e noi non abbiamo voluto entrare nelle questioni del mixaggio. Avendo trovato in Cristiano una persona capace che aveva compreso la nostra idea, abbiamo deciso di affidarci. Quando lui aveva quasi ultimato una traccia ce la inviava: non abbiamo dovuto aggiustare quasi nulla. Finito questo periodo, si è passati al master; Cristiano era disponibile ma anche lui come noi aveva già lavorato con Giovanni Ferliga (Aucan) che è proprio specializzato in questa lavorazione: Jo si è occupato del master di Codec_015. Una tra le cose che mi ha fatto più piacere è aver ricevuto i complimenti di Jo proprio per il lavoro che avevamo fatto in studio.

I TEMI

Cosa c’è dentro i testi di Codec_015?
Tutti i testi sono scarnificati, poco spazio per le metafore o interpretazioni. In Genova parliamo degli scontri del G8, L’America è un attacco diretto ad un sistema ormai diffuso nel mondo, Il Belpaese è una nostra visione di ciò che è oggi l’Italia (in una rivisitazione di un testo di Pasolini). Oggi come oggi se fai qualcosa a livello artistico, a nostro parere ci deve essere un richiamo forte al mondo reale attuale. Se questo non c’è, si tratta di pop. Se fosse un film, sarebbe un cinepanettone.
Noi non ci proclamiamo paladini di chissà quale verità: la nostra ottica offre una fotografia di ciò che vediamo. Di fronte a noi il pubblico non rimane impassibile… o ci evita perchè non si riconosce in questa visione, oppure ci apprezza sentendo suo ciò che realizziamo. Credo che sia normale: non facciamo le canzonette.

Anche musicalmente siete molto diretti e potenti: questo cosa comporta?
Diventa difficile il passaggio in radio. Più volte siamo stati vicini a Radio Rai, ma non siamo mai riusciti ad approdare proprio perchè risultiamo troppo disturbanti per quel mezzo. Questo vale anche per i locali che non fissano le date. Tutto questo ci ha ovviamente limitato, ma il compromesso non fa parte del nostro progetto. Lo si capisce anche dalla nostra scelta di sonorizzare un film muto dei primi del ‘900… in Italia lo hanno fatto Giardini di Mirò e Massimo Volume quando già avevano un nome; noi lo abbiamo fatto quando ci conoscevano ancora in pochi.

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L’INTORNO

Da dove viene questo vostro approccio critico a 360°?
Da una totale sfiducia verso tutto e tutti. Questa cosa può purtroppo suonare presuntuosa, ma io davvero ho sfiducia. Esagerando, si potrebbe dire che è quasi una forma di razzismo verso chi si piega a certe cose. L’Italia ormai è un prodotto del capitalismo occidentale: contano solo l’apparenza, la televisione, quello che viene proposto. La gente non sceglie. Ovviamente la soluzione non è fare gli eremiti; so che in qualche modo Peppa Pig arriverà a mia figlia, ma sto già cercando di lavorare affinchè sia lei magari a scegliere di non aver bisogno di Peppa Pig! In tutto questo non vedo nulla di eroico, anzi, non ci vedo proprio futuro. Forse è anche una scelta egoistica: cerco di curare il mio orticello (la mia vita, i miei cari) nel modo migliore possibile senza fare male a nessuno, ma più di questo non posso fare. Questo è pessimismo vero, è brutto, ma è la mia realtà. In qualche modo invidio chi crede ancora in qualcosa, ma come diceva Monicelli “la speranza è una trappola”. Tutto questo, inevitabilmente, si esprime nei testi e nella musica dei Drunken Butterfly.

Quindi, anche in ambiente artistico, non pensi che si possa aver ancora un effetto positivo di contaminazione?
Ci credo poco ormai. Credo più nei ricorsi storici. Esagerando, penso all’impero romano: arrivato al suo culmine di potere, opulenza e grandezza… è crollato. Così sarà per la nostra società dalla quale dipende anche ovviamente il riflesso artistico. Ci sarà un collasso che riporterà ad un punto zero.

Come hai detto prima, in un brano parlate del G8 di Genova: dopo quattordici anni perchè parlarne ancora?
Volevamo un testo esplicito su questo tema. I fatti di Genova sono i più eclatanti per evidenziare l’atteggiamento, ancora attuale, delle forze dell’ordine. Io credo che, in questo modo e con i nostri brani, facciamo molta più politica noi di quelli che vanno al Primo Maggio a cantare Bella Ciao.

Qual è il vostro sguardo sul vicinato della musica indipendente italiana?
Mi fa arrabbiare il fatto che band che ho amato e che hanno un ricco seguito ormai non riescano a venire fuori con qualcosa di davvero nuovo e forte da dire. Si fanno tour e riedizioni per campare: è triste. Non riesco a pensare che alcuni suonino la chitarra da trent’anni e niente altro: possibile non venga la voglia di entrare in un negozio di strumenti e provare altro? Studiare, imparare, crescere, costruire. Per noi questo è stato sempre spontaneo. Da quando ho iniziato, non credo di aver mai usato la stessa attrezzatura da un disco all’altro successivo. Questa roba costa, certo, ma la curiosità dovrebbe essere più forte. Sennò diventa come lavorare in fabbrica, routine, e poi per forza non viene fuori qualcosa di nuovo!

Con Codec_015 c’è stato un cambio di etichetta: cosa avete cercato?
Sì, da Irma a Black Fading, l’etichetta fondata dallo stesso Cristiano Santini. Quindi si può dire che quasi tutto il lavoro è avvenuto intorno alla Front of House, la struttura che racchiude il Morphing Studio, l’etichetta ed anche la sala concerti Zona Roveri. Cristiano è il presidente dell’associazione che racchiude tutto questo. Quella è una struttura davvero grande, organizzatissima e di qualità. C’è addirittura una sala prove molto ampia utilizzata dalle band per testare i live prima dei tour.
Non è un segreto il fatto che noi avessimo contattato anche l’etichetta La Tempesta, ma in quel periodo erano davvero molto impegnati con altre produzioni quindi non sarebbero riusciti a seguirci adeguatamente.
Con Irma invece siamo rimasti in buoni rapporti; semplicemente parlandoci abbiamo capito che, per scelte organizzative interne ad Irma, non avremmo trovato quello che stavamo cercando noi da un’etichetta per questo nostro album.

IL SUONO

In Codec cosa è stato introdotto e come si è lavorato sui suoni?
Abbiamo inserito diversi strumenti nuovi, nuovi synth, ma anche quando sono state utilizzate le stesse macchine si è fatta una ricerca su nuove sonorità da usare. La differenza più evidente si ha comunque nella batteria, ed è tutta una questione di studio. La qualità e la quantità dei microfoni utilizzati ha fatto la differenza insieme alla competenza di chi ci ha seguito.
Sulla spinta data da Cristiano, anche la voce ora è molto più nitida e pulita, proprio per rendere chiaro e diretto il messaggio contenuto nei brani. E’ stato fatto un lavoro minuzioso: per microfonare chitarra e basso ci abbiamo messo giornate intere!

Dell’esperienza di un produttore quanto poi una band riesce a farne qualcosa di proprio caratteristico al di là del disco?
E’ una scelta della band di pompare tutto sul disco oppure trovare un equilibrio con la dimensione live. Vedi per esempio i dischi prodotti da Rick Rubin: il lavoro in studio è maniacale e il live risulta sempre nettamente minore. Significa aver avuto a disposizione un artificio talmente grosso che poi non è riproducibile. Diverso è il lavoro di Nigel Godrich con i Radiohead: loro riescono a risultare delle macchine pazzesche sia su disco che dal vivo.
Per questo nel tour di Epsilon abbiamo voluto sempre la presenza di un fonico, perchè dal vivo può essere davvero difficile. I locali hanno tutti caratteristiche ed attrezzature diverse, e senza un minimo di garanzie tecniche non potevamo presentare il live.

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I PERCHE’

Avete sempre curato l’immagine in modo molto particolare. Perchè?
Per dare continuità ad Epsilon anche per Codec_015 abbiamo contattato Nicola Alessandrini, un artista di Macerata. Inoltre abbiamo contattato un’artista di Reggio Emilia che realizza un interessante progetto chiamato Dinamo Innesco Rivoluzione. Si tratta di lavori molto provocatori e l’autore ci ha concesso in uso un’immagine molto significativa con la dicitura “L’artista quando è innocuo, è anche inutile”. L’abbiamo inserita nell’ultima pagina del booklet. Per i Drunken Butterfly l’immagine è un ulteriore mezzo per affermare anche questo concetto.

Cosa spinge a fare un disco ora?
Fondamentalmente è uno stimolo personale. Lo dimostra anche il fatto che ne abbiamo fatti tanti senza poter dire di aver raggiunto una condizione di successo (o economica) di grande rilievo. E’ quasi una necessità fisica, un po’ come per uno che sente il bisogno di andare in palestra e non può fare a meno di curare un aspetto del proprio corpo: è una necessità.
Oltre a questo ci sono altri stimoli molto interessanti: girare l’Italia, conoscere luoghi e persone. Anche il fatto di potermi sedere qui con te e parlare: sono tante le cose, nell’insieme, che rendono l’esperienza musicale qualcosa di necessario.

Da un altro punto di vista, direi che sono anche gli stessi motivi che mi portano ad orbitare intorno alla musica. Grazie per la bella chiacchierata.
Grazie a te!

Il Belpaese – video

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