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Studiare e trovare nuove direzioni: intervista a Giacomo Toni

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Era una calda serata di Luglio quando abbiamo incontrato Giacomo Toni. Ci trovavamo a Bologna, più precisamente al Pincherle Music Garden organizzato da Cortile Cafè e La Fabbrica Etichetta Indipendente. Nella variopinta programmazione della rassegna l’estro creativo del cantautore Giacomo Toni non poteva mancare. Per noi è stata un’occasione per vederlo esibirsi dal vivo e per chiacchierare prima del live. Gli abbiamo posto alcune domande sul suo ultimo album, i suoi progetti e la sua critica ed appassionata visione del mondo musicale.

Il tuo ultimo disco è datato 2013, siamo a luglio 2015: c’è più voglia di continuare a suonare questi brani o andare in vacanza e “mandare in vacanza” queste canzoni, pensare ad altro?
Quando ho finito di scrivere il disco Musica per autoambulanze era forse il 2012, quindi da quel momento mi sono occupato di scrivere quello nuovo. A questo punto mi sento abbastanza pronto per andarlo ad incidere verso settembre e dovrebbe uscire nel 2106. Di fatto Musica per autoambulanze è una raccolta di canzoni e nonostante io delle volte non neghi che ripeterle mi annoi, devo dire che a loro voglio bene. Se faccio questo mestiere è anche grazie ad alcune canzoni che sono lì dentro.

“Punkautore”: è una definizione che ti sei dato o che ti è stata affibbiata da altri?
Mi pare che l’abbia scritto la prima volta un ragazzo di Forlì che mi conosce bene. Sono sempre stato visto come un cantautore classico, nostalgico, ma in realtà il mio è sempre stato uno spirito di rottura. Sono sempre stato dissacrante anche nei confronti del mondo dei cantautori, quelli “sacri” degli anni settanta, non sopporto i cantautori moderni che si rifanno a quelli. Vedo un sacco di morale nella canzone italiana, ed io nel mio piccolo cerco di distruggerla in maniera abbastanza umile. Se questo può significare un accostamento azzardato al punk… allora, sì.

Come nascono quindi i tuoi brani? In maniera spontanea da eventi vissuti, o ti siedi prefissandoti degli obiettivi?
In parte c’è una componente concettuale che voglio provare a rispettare, ovvero mettere in canzone quello che ti ho appena detto. Trovare una strada per la canzone italiana che non sia nostalgica. Cerco quindi una via, un percorso, se ancora c’è. Può essere che non ci sia. Ovviamente però la canzone deve essere emotiva, quindi deve passare dalle cose che si vivono; è importante che rispecchino il nostro tempo senza essere modaioli. Dire qualcosa di presente e vivo, avendo rispetto per la musica.
Sono sempre stato considerato d’antan perchè provengo musicalmente dal jazz, ma anche questa è una realtà musicale che ho sempre visto come un modo di vivere la vita, nessuna nostalgia. A livello concettuale il jazz ti mette in uno stato mentale tale da poter assorbire le cose, e magari vedere anche un po’ il futuro.

Stasera ti presenterai con il tuo “piano punk cabaret”: cosa dovrò aspettarmi?
In realtà questo è un lieve errore perchè il mio “piano punk cabaret” è fatto con piano, chitarra e batteria; stasera sarà piuttosto un “piano solo”. Solitamente in queste situazioni vado a braccio, vedo come la gente riesce a capirmi, cercando di portarla dove io voglio, nell’amoralità della canzone.
Ti devi aspettare storie piuttosto comuni, narrate in un modo che potrei definire… “neofuturismo”.

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Con riferimento ai grandi cantautori, tu hai lavorato in un omaggio a Paolo Conte, al fianco di Lorenzo Kruger (Nobraino). Questo progetto continuerà ancora? Muterà? E come?
Sicuramente faremo un tour a novembre, e c’è l’idea di fare anche qualche brano originale in questa veste de Gli Scontati. Sia io che Lorenzo siamo sempre stati contrari al concetto di “omaggio musicale” ma proprio per contraddirci ci è venuta l’idea di fare questa cosa su un cantautore in vita. Poi, appunto, abbiamo pensato anche a dei brani originali seguendo questo stile. Stiamo giocando su questa cosa, senza prenderci troppo sul serio.
Peraltro penso che non ci sia molta richiesta di musica d’autore oggi. I pochi contatti che ho con le major e le poche esperienze che ho avuto sono abbastanza chiare in questo tema: le canzoni devono essere impersonali, il gusto è stato canalizzato. Sia io che Lorenzo pensiamo che ci sia una grande mancanza di interpreti, ed è strano dirlo ma è così: tutti vogliono essere autori. Io per esempio ho una voce di merda, non dovrei cantare i miei pezzi. Ma ci troviamo tutti così, isolati nelle nostre strade, ed è anche per questo che ho intrapreso questa sfida de Gli Scontati.
Inoltre il vero motivo dei problemi della musica italiana è che inizia a mancare il pubblico interessato. Non è detto che addirittura un giorno il nostro ruolo diventi obsoleto come è forse ora la musica classica; un giorno saremo protetti dagli enti istituzionali… chissà.

Però stiamo vivendo il periodo dei “nuovi” cantautori italiani… cosa succede?
Io ho l’impressione che tutta la scena indie attuale in realtà voglia fare pop. Ed è una cosa tragica perchè una produzione indie non dovrebbe voler necessariamente sfondare, ma prendere una strada critica, anche violenta e decisa: una volta succedeva. Uno se deve scrivere una canzone lo deve fare prima di tutto per sé, poi se qualcuno l’ascolta, meglio! Invece l’arrivismo sull’arrivismo ha fatto sì che… non arrivi proprio niente.

Noto che nella tua zona, quella della Romagna, c’è un vero e proprio brulicare di tantissime realtà musicali. Penso ai già citati Nobraino, poi FrancoBeat, Santo Barbaro, Sacri Cuori, Saluti da Saturno, John De Leo, Classica Orchestra Afrobeat. Si tratta di progetti molto particolari, inusuali. Si può parlare di una “scena”? Ci sono reali legami tra queste realtà?
Guarda, stai parlando del mio ambiente, della mia famiglia. Checco Giampaoli (Classica Orchestra Afrobeat) ha prodotto il mio disco; FrancoBeat con buone probabilità sarà il produttore del prossimo e suona anche con me con la band completa ed è stato il primo uomo che mi ha fatto mettere piede in uno studio ormai dieci anni fa; con i Nobraino ci conosciamo benissimo; con i Sacri Cuori abbiamo lavorato insieme; con i Santo Barbaro ho suonato nel primo disco… ci sono legami quindi, anche forti. Penso ci sia stato un periodo, dieci-quindi anni fa, in cui dalle nostre parti chi voleva intraprendere questo mestiere aveva chiarissimo che doveva studiare un po’ la musica. Io ho fatto questo percorso, e da lì ho conosciuto un sacco di musicisti veri. La musica l’ho sempre vista come una cosa sacra: noi siamo talmente al di sotto della musica, noi non siamo nessuno. Un compositore, ma anche uno strumentista (del quale rispetto tantissimo il lavoro), si deve confrontare con il passato, con realtà molto grandi: è una cosa fortissima. Sono il primo a dire che bisogna suonare per distruggere, per “uccidere i padri”, ma il confronto con il passato ci vuole. Scherzo e gioco quando parlo dei cantautori del passato, ma lo faccio proprio perchè li conosco bene, so chi invecchia male e chi invecchia bene. Io non ho la pretesa di indicare una direzione, ma la cerco perchè la musica deve guardare e decifrare anche nuovi sentimenti, che non possono essere solo quelli degli anni settanta.

La qualità di una canzone spesso si misura in questi termini: se dura un’estate non va tanto bene, se ne dura un paio meglio, ma se dura un decennio allora forse è veramente buona…
Sì, ma ora è un prodotto di consumo. E’ caduta anche la canzone ideologica, che era il modo più breve per farsi il proprio pubblico. Ora cosa resta? Il disagio giovanile dei cantautori che se la passano male, la canzone crepuscolare romantica, poi cosa?  Non sono qui a dire che io sia riuscito a fare qualcosa di diverso: dico che ci sto provando.

Detto ciò, dopo Musica per autoambulanze, cosa ci aspetta? Si può dire qualcosa?
Non si dovrebbe… ma il disco si chiamerà Sexy smog. Basta!

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