Si apre il sipario, la scena è buia, ma dal vociare chiassoso e agitato percepiamo una folla in movimento. Lampi illuminano feroci i volti di quella che si rivela una ciurma smarrita e impaurita sotto una scrosciante tempesta, mentre invoca disperata l’intervento del capitano di una imbarcazione alla deriva. Ma non è una tragedia, il cielo si squarcia, spunta il sole tra le nubi e qualcuno grida ‘terra’. Comincia così, col Prologo – La tempesta, il nuovo album di Daniele Sepe, ribattezzato per l’occasione Capitan Capitone dal nome del gommone col quale ha solcato le acque del golfo di Napoli, assieme a molti dei musicisti presenti dell’album. Non si tratta di semplici ospitate, bensì del lavoro di un vero e proprio collettivo cui hanno partecipato un’ottantina di musicisti, volti noti e nuove leve del ricco panorama partenopeo, riuniti per la prima volta in occasione del concerto organizzato lo scorso luglio dallo stesso Sepe a sostegno di un gruppo di cassintegrati della Fiat di Pomigliano.
Quello che ascoltiamo è il viaggio imprevedibile di una ciurma di giramondo, che allegramente si muove tra mari agli antipodi, navigando con fare quasi sempre goliardico e festoso. Si passa così dall’antica Grecia di Penelope, un sirtaki intonato da Dario Sansone dei Foja che si tramuta in ritmo trascinante tuffandosi in acque tropicali, all’esilarante Amò, bagnata nelle stesse acque, in cui Aldo Laurenza, con la sua voce impastata di divertente piacevolezza, racconta l’amore vacuo tra due giovani felicemente sballati (‘capii subito che eri una ragazza piena di valori… alterati’), accompagnato da un morbido sax che cita il tema portante del film Scandalo al sole inciso da Percy Faith nel 1959. E dallo scoglio della Gagliola, a pochi metri dalla costa di Posillipo, parte l’avventura de Le range fellon, un granchio che si mette in viaggio verso la città e l’entroterra napoletano per scoprire una civiltà allo sfascio, attaccata solo al denaro, che nasconde rifiuti e meschinità sotto il tappeto. Il ritornello si imprime nella mente al primo ascoIto e mette subito di buon umore, anche grazie alla straordinaria verve e il maccheronico francese napoletano di Andrea Tartaglia. Strumentale alla finzione scenica della navigazione è la serie dei quattro intermezzi-avvistamenti Dalla coffa, che reggono il filo conduttore dell’album un po’ come i Girolimoni di Vite perdite (1993), affidati alla comicità e le urla di carta vetrata hardcore punk di Gino Fastidio, che nel ruolo di vedetta è improbabile quanto Seu Jorge in Le avventure acquatiche di Steve Zissou.
Spritz e rivoluzione è un dinamico funky groove per la teatrale freschezza di Sara Sossia Sgueglia, che interpreta con divertente ironia la compagna anglofona di un sedicente giovane il cui attivismo politico e culturale va in frantumi quando si scopre che alle soglie dei quarant’anni è ancora un figlio di famiglia, ‘parli di indipendenza in Palestina / e po’ tien’ a mammà ca te cucina’. E come avveniva in Ripetutamente dei 99 Posse, scanzonata chiamata alle armi di un album (in cui Sepe ebbe un ruolo rilevante) tutto all’insegna della militanza, qui i membri della ciurma sono invitati ad una ironica parodia di se stessi che non ne lede in alcun modo l’impegno: che senso avrebbe la rivoluzione se non potessimo ridere?
Ma l’ironia godereccia e goliardica non è l’unica chiave di lettura. L’ammore ‘o vero è una toccante dichiarazione acustica sussurrata da Gnut, dal poetico coro mormorato a tre voci, la più bassa (forse di Alessio Sollo, coautore del brano) che vibra profonda nel petto mentre il soprano di Sepe lancia frecce dorate al cielo. E ancora, la musica per film immaginari, fantastici e romantici di La valse du Capiton, c’è anche questo in Sepe; il vento inquietante delle rive della Senna, cui dà voce la sega musicale di Pietro Festa, che amoreggia con la fisarmonica di Francesco Citera, incontrata casualmente nelle sue passeggiate notturne, prima che un pistolero arrivasse alla fermata della metropolitana di Materdei per l’attacco di La chiamavano Sanità. Un western urbano sospeso tra Bud Spencer e il lirismo di Morricone, con Roberto Colella giovane innamorato che sogna di conquistare la Sanità del titolo e Sepe, vecchio e imbufalito, che rimpiange, non senza un certo compiacimento, la violenza della gioventù che lo ha strappato al sogno di una tranquilla vita familiare (però che suddisfazione quanne aggio miso ‘e mane ‘ncanno a Fred Tripp Tuost’).
E mentre Gino Fastidio ‘vede’ un iceberg ai Caraibi, la ciurma lambisce le coste balcaniche di Jovano, dove la tradizione delle fanfare messa in scena dal gruppo ‘O Rom incontra il jazz rock di Sepe e il suo tagliente sax distorto, tanto teso da sembrare una chitarra elettrica. Poi tra le pieghe della fisarmonica gitana di Costel ‘Costantinu’ Lautaru s’intrufola Caravan di Duke Ellington e introduce una chitarra di timbro sporco e fraseggio mediorientale che ricorda Elio 100 grammi. Infatti siamo tornati a Napoli. Bambolina, intonata da Nelson, è lo specchio disperato della Bammenella ‘e copp’ ‘e Quartieri di Viviani, interpretata con soave leggerezza da Flo nel Canzoniere illustrato (2012). Qui il protagonista di un amore impossibile è uno squattrinato garzone di salumeria che non ha i mezzi per salvare Bambolina-Bammenella dalla prostituzione (ma l’ammore nun pava na rosa / e st’abbraccio nunn’accummoglia ‘e spese) e per questo affoga in un jazz scuro come il carbone, nel basso ossessivo di un tarlo, le lacrime del piano, e un sax fumoso ma rosso come il sangue di una ferita inguaribile.
Si riparte. E siccome C’amma ritruvà, si costeggia l’Africa nera, il Senegal di Youssu Ndour piuttosto che il Mali di Toumani Diabaté, accompagnati ancora dalla voce precisa e suadente di Tartaglia. Dopo l’avvistamento atlantico di Gesù, Mario Insenga porta Napoli a New Orleans, con Poggioreale mia, alla guida di una piccola orchestrina blues che risale il Mississippi in battello a vapore. Ed è tutta una festa, dall’uscita dal carcere alla fine di una relazione, al punto che ‘il tradito di turno’ ostenta in Me ne vek bene una falsa sportività che sfocia nel rabbioso sfogo finale, adeguatamente preparato da irresistibili fiati in levare, ad ogni strofa più incalzanti. Proprio questo entusiasmo per la ‘libertà ritrovata’ provoca a Gino Fastidio l’ultima allucinazione: le donne.
Il viaggio si potrebbe concludere felicemente con La ballata del Capitone che la ciurma dedica al capitano, un canto da marinai come quello dei balenieri, Pique la Baleine, contenuto in Jurnateri (2001), e invece, nell’Epilogo – L’isola del Capitone, Sepe-Capitone viene abbandonato su uno scoglio dai compagni, con drammatiche corde barocche che fanno da sfondo alla sua solitudine, confortata solo da un granchio e da un pappagallo (‘stamm’ je ‘o pappavall’ e ‘o range fellone’).
Ma dopo lo sfogo il capitano proclama orgogliosamente la sua indifferenza e si desta dallo scoglio, che in fondo era la Gaiola del range fellone, e guadagna la costa di Pusilleco addiruso dove l’attende una chiassosa festa di benvenuto e la voce indimenticabile e ritrovata di Auli Kokko.
Credits
Label: Full Heads – 2016
Line-up: Gino Fastidio (voce) – Claudio “Gnut” Domestico (chitarra, voce, cori) – Peppe Sannino (congas) – Pietro Festa (sega musicale) – Aldo “Aldolà” Laurenza (voce) – Dario Franco (contrabasso) – Massimo Moccia (chitarra elettrica) – Maurizio Capone (percussioni, bicchieri, cori) – “Nero” Nelson (voce) – Andrea Tartaglia (chitarra, voce, cori) – Dario Sansone (chitarra, voce, cori) – Sara “Sossia” Squeglia (voce) – Auli Kokko (voce) – Roberto Colella (chitarra 12 corde, voce, cori) – Floriana Cangiano (cori) – Martina Falco (cori) – Mauro Romano (basso) – Davide Aftzal (basso) – Mario Romano (chitarra) – Emiliano Barrella (batteria) – Andrea De Fazio (batteria) – Federico Palomba (batteria) – Giovanni Schiattarella (batteria, cori) – Franco Giacoia (chitarra elettrica) – Paolo Cotrone (chitarra, shamisen) – Alessandro De Carolis (flauto) – Alessandro Morlando (chitarra) – Vincenzo Capasso (tromba, cori) – Ciro Riccardi (tromba) – Giuseppe Giroffi (sax baritono) – Ennio Frongillo (chitarra elettrica) – Gianluca Capurro (chitarra elettrica, oud) – Tommy De Paola (piano, Rhodes, clavinet) – Mattia Cusano (basso) – Giuliano Falcone (basso, cori) – Luigi Scialdone (mandolino, cori) – Enzo Foniciello (chitarra, cori) – Salvio “Gekò” La Rocca (percussioni, cori, gabbiani) – Daniele Chessa (cori) – Francesco Grieco (chitarra elettrica) – Mario Insenga (batteria, voce) – Francesco Citera (fisarmonica) – Biagio Fierro (basso tuba) – Luigi Esposito (piano) – Eliano Del Peschio (basso elettrico) – Massimo Cecchetti (basso) – Massimo “Blindur” De Vita (armonium) – Michelangelo Bencivenga (banjo) – Fabrizio Piccolo (chitarra elettrica) – Enzo Gragnaniello (bell’ azz’) – Peppe “Spritz” Pianese – Adriano “Mandriano” Marino (cori) – Pierangelo “Pier Macchiè” Fevola (mandolino) – Costel “Costantinu” Lautaru (fisarmonica) – Carmine Guarracino (chitarra) – Carmine D’Aniello (chitarra, voce) – Emidio Ausiello (percussioni) – Michele Maione (percussioni) – Roberto Caccavale (basso) – Laye Ba (voce) – La Contrabbanda di Luciano Russo – Daniele Sepe “Capitan Capitone” (sax tenore e soprano, flauto, flauto dolce, bottiglie, frusta, birbinet, kalimba, tastiere, basso, voce, cori)
Tracklist:
- Prologo: La tempesta
- Penelope (con Foja)
- Amo’ (con Aldolà Chivalà)
- Le range fellon (con Tartaglia & Aneuro)
- Dalla coffa, Pt.1 (con Gino Fastidio)
- Spritz e rivoluzione (con Sara Sossia Sgueglia)
- L’ammore ‘o vero (con Gnut)
- Le valse du Capiton
- La chiamavano Sanità (La Maschera)
- Dalla coffa, Pt. 2 (con Gino Fastidio)
- Jovano (con ‘o Rom)
- Bambolina (con Nelson)
- C’amma ritruvà (con Tartaglia & Aneuro)
- Dalla coffa, Pt. 3 (con Gino Fastidio)
- Poggioreale mia (con Mario Insegna)
- Me ne vek bene (con Gino Fastidio)
- Dalla coffa, Pt. 4 (Gino Fastidio)
- La ballata del capitone
- Epilogo: L’isola del capitone
- Pusilleco addiruso (con Auli Kokko, Contrabbanda di Luciano Russo)
- Perfect Suidice (con The Collettivo)
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