“Quali tempi sono questi, quando discorrere / d’alberi è quasi un delitto perché su troppe / stragi comporta silenzio!“, questi versi di Brecht mi portano ad altre parole: “e perché i poeti nel tempo della povertà?” (Friedrich Hölderlin). Forse Yankele nel ghetto è una possibile risposta, un canto che riesce a dire la bellezza senza tacere l’orrore. Del ghetto di Lodz, il primo costituito in Polonia e l’ultimo ad essere smantellato, restano le testimonianze dei pochi sopravvissuti… memorie, parole e melodie, qualche verso anche. L’album dei KlezRoym raccoglie e rielabora le canzoni che Gila Flam, direttrice del Dipartimento di Musica e della Fonoteca di Stato dell’Università di Gerusalemme, ha ricostruito insieme ai superstiti, intervistandoli, accogliendo i lori ricordi, riannodando liriche e note preservate nella memoria di chi le ha cantate per soprav-vivere. Il progetto del disco nasce nel dicembre del 2000, quando, sotto suggerimento di Francesco Spagnolo, il gruppo si è accostato al libro Singing for Survival, songs of the Lodz Ghetto, 1940-1945, frutto del lavoro di Flam, trovando nei canti di Lodz una poesia da far respirare. L’intento era quello di celebrare la prima ricorrenza della Giornata Europea della Memoria organizzata a Napoli dall’Associazione 27 Gennaio, ma ne è nato un disco che onora, ravviva e dà anima alla memoria nella quotidianità, reclamando un gesto di cura, d’ascolto, che di attimo in attimo colga la preziosità, la necessità, del ricordo e della bellezza. I KlezRoym hanno così lavorato sulle liriche e le melodie di Yankele Hershkowitz, cantore di strada, di Miriam Harel, membro di un’organizzazione giovanile, e di David Beygelman, direttore musicale del teatro della Casa della Cultura. La popolazione del ghetto, tenuta a lavorare per l’esercito tedesco, privata di qualsiasi rapporto con il mondo esterno, di cibo e libertà, nelle strade, presso le riunioni dei movimenti giovanili, sul lavoro, nella Casa della Cultura, ha trovato nella musica un modo per esprimersi, per eludere le censure, per mantenersi libera creando un mondo e un tempo che trascendesse e al contempo parlasse della realtà. Le canzoni, molte delle quali composte da Hershkowitz, erano frutto di creazioni originali o rielaborazioni di fonti prebelliche, attingevano alla tradizione klezmer, alla cultura ebraica dell’Europa dell’Est, accogliendo le influenze della musica zigana… erano proprio per questo famigliari, con i loro testi spesso in yiddish mantenevano un legame con le tradizioni, con le abitudini che riportavano ai giorni precedenti la guerra, anche se le liriche non rinunciavano a raccontare il presente. Questa è una delle molte dicotomie custodite nei canti di Lodz, sono un segno di continuità ed insieme sottolineano la discontinuità tra l’esistenza libera e la vita nel ghetto, sono aderenti alla realtà ma costituiscono anche una fuga da questa, sono una forma di libertà testimoniando una schiavitù. La musica e le parole rispecchiano questa complessità, rimandano a sensazioni differenti, anche opposte, e proprio in tal modo creano un’armonia illuminata dai contrasti, dalle loro scintille. I KlezRoym le hanno raccolte continuando a farle brillare, mescolando il klezmer con le sonorità slave e mediterranee, la tradizione sefardita con il patrimonio musicale askenazita, la cultura gitana con il jazz. Il gruppo ha tessuto questo album grazie alla contaminazione e alla sperimentazione che gli sono care, il filo conduttore è il dialogo tra l’attitudine jazzistica e la musica etnica e folk… la ricerca costante sottesa ha portato i KlezRoym a dar vita ad una sorta di suite lungo la quale nuove melodie o arrangiamenti vengono trovati per i versi di Yankele, la Voce del ghetto, o per le canzoni domestiche di Miriam, che, insieme ai componimenti di Beygelman e alle memorie dei sopravvissuti, hanno ispirato nuovi canti o riportato ad aree antiche da rielaborare. Il frutto di quest’armonia cercata tra sperimentazioni e memoria, nel flusso del tempo in cui passato e presente si incontrano nello slancio verso il tempo che deve venire, è un disco prima di tutto da leggere… il booklet è un libro prezioso, ogni pagina racconta la Storia e le sue molte storie attraverso una musica sopravvissuta insieme agli uomini che ha in qualche modo salvato, una musica che continua a nutrire coscienza e conoscenza attraverso la bellezza, oggi animata dall’incantevole voce di Eva Coen e dal canto struggente di Riccardo Manzi, dagli avvolgenti fiati degli ottoni. Ascoltando si scopre la malia della lingua yiddish, che, cantata, fiorisce in una meraviglia radiosa e densa, una musica splendida da sentire avvertendo come la Poesia preservi l’esser uomo dell’uomo, il mondo, un senso. Resta, oltre le pagine, le melodie e le parole, la memoria e la bellezza… “Residuo cantabile – il profilo/ di colui che muto s’aprì un varco/ attraverso la scrittura a mo’ di falce” (Paul Celan).
Credits
Label: Compagnia Nuove Indye – 2002
Line-up: Gabriele Coen (sax soprano, clarinetto) – Andrea Pandolfo (tromba, flicorno tenore) – Pasquale Laino (sax alto, sax baritono) – Riccardo Manzi (voce, chitarra, bouzouki, banjo, pan) – Marco Camboni (contrabbasso) – Leonardo Cesari (batteria) – Eva Coen (voce)
Tracklist:
- Intro
- Es Iz a Klug
- Yankele nel ghetto
- Rumkovski Khaym
- Yankele nel ghetto #2
- Ikh Fur Keltser Kant
- Kalt: a Lid Fin Lodzger Getto, 1945
- Sakharin Finf a Marek
- Tsigaynerlid
- Vayl Ikn Bin a Yidale
- Papirosn/Nishtu Kain Przydziel
- Kalt #2
- Ver Klapt Dos Azoy Shpet Bay Nakht?
- Nit Kayn Rozhinkes, Nit Kayn Mandlen
- Finale
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