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Let me say something: Marta Collica @ LaCasa 139 (MI) 28/01/09

marta3Silenzio. Serve un preciso attimo di silenzio perché la pelle, prima del timpano, si tenda alla musica, ai suoi aromi d’agrumi e onde, di spezie e voli. Aromi discreti, appena accennati, carboncino dei gesti, del capo leggermente chino, ad intuire la presenza complice della spalla. Coriandolo, amarena, brace: Roberta Cartisano, ora accompagnandosi al piano, ora stringendosi alla chitarra, canta una fiaba di onirici ricordi parigini, una casa di bambola, L’attesa, un temporale di entusiasmi che spiove sulla primavera della memoria; canta in italiano, musica e testi di suo pungo. Riservata, esposta, discreta, si misura con le note con il garbo del viaggiatore che, a ridosso delle curve, rallenta, indugia, prova ad immaginare il mare prima che i suoi colori affiorino all’orizzonte. Le note rendono giustizia agli scorci e li indovinano, acquarelli acustici, belli dell’urgenza di dirsi, del pudore di darsi. Un set di cinque canzoni, una voce di donna che scosta l’uscio ad un’altra voce di donna, ad aromi delicati ed insieme intensi, forti, di una femminilità monile, pura, ellittica.

Cannella, melograno, cedro: Marta Collica guadagna la penombra del palco, lo accomoda, raggiunge il piano e si abbandona, diafana e sicura; accarezza i tasti, li sfiora di tocchi essenziali, del timbro raro della sua voce che è voce  passione, dolcezza, sogno. Pare specchiarsi in un altrove salvifico, indovino dei sensi e di una realtà sazia, saziata dalla rivelazione, dallo stupore, dalla tristezza quando volge lo sguardo cedendo il passo alla saggezza, alla consolazione. Pare averti ascoltato, compreso, quasi sapesse dove cova il tuo desiderio di brividi, di un’emozione vera, viva quanto te, che sia più onesta di te. Canta un rock adulto, edulcorato da una sorta di impassibilità guerriera: accorda la sua chitarra, si definisce primitiva a cospetto del suo strumento, sorride, sussurra al microfono un’intenzione, dismette ogni sorta di maschera e ti raggiunge, ti si siede accanto restando ferma lì, tutta mani, corde, sguardo, voce, quasi immobile, nostalgica a modo suo, a modo suo folle, bambina, amante, sorella, madre, numero, pozza, cerchio. La scaletta che si è scritta a mano resta al leggìo del piano. Le canzoni le bussano alla spalla, chiamandosi l’un l’altra: Marta le riconosce, ci chiacchiera un momento, ce le rivela, infine le libera; melodie del costato, malinconiche, a tratti aggressive, tormentate eppure serafiche, intime, fragili, di una bellezza intatta, pulita. Propone pezzi inediti, come Giulia, che farà parte del suo nuovo disco, A morning after, scritta con Hugo Race per il  prossimo Sepiatone, 08925,  storia di un personalissimo miraggio in forma di numero. Estrae meraviglie come Defenceless e From so hi da quel cilindro di magia che è Darksummer (Sepiatone, 2004); ci regala gemme dal cofanetto di velluti che è il suo Pretty and Unsafe, perle come A motel song, bellissima, con Roberta Cartisano al piano; esegue The Circus has left di John Parish, reinterpreta Forget Marie di Lee cartisan1Hazlewood. Marta Collica immortala in un quasi-blues privatissimo attimi dalle sfumature folk, psichedelici di garbo, contaminati di un tatto raro, ambito e misura di un’esperienza enorme in musica, di un’attenzione profondissima, innata, rivolta allo scorrere del tempo; tempo sentito, vissuto con le ossa, a piene mani, incondizionatamente, tempo d’amore, d’infanzia, di solitudini, di fughe, di Sicilia, di riuscite, di pretese, di bottiglie vuote che ricalcano le linee dei palmi di mano. La femminilità è un lusso, è un laccio, è un’unità di misura: la femminilità, il calore, questa sera hanno vinto su tutto. Se il freddo, fuori, osa pungere ancora, lo fa d’istinto, inconsapevolmente. Foto by Stefania Fasoli)

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