Il Siren Festival quest’anno ha raggiunto il traguardo della terza edizione confermandosi una delle “mete obbligate” per gli appassionati di musica dal vivo.
Chi non conosce ancora il Siren deve assolutamente sapere che un motivo su tutti distingue questo festival estivo dagli altri: la splendida location. Vasto, provincia di Chieti, Abruzzo: il centro storico della cittadina è posto su un rilievo che domina la costa dall’alto, là dove arriva il vento fresco dal mare e i palazzi e le piazze sono costruiti da secoli proprio in modo tale da godere al meglio della bellezza naturale. Il festival si articola in cinque luoghi: il cortile di Palazzo D’Avalos e i suoi incantevoli giardini, la bellissima Piazza del Popolo, la zona antistante l’antica Porta di San Pietro (un palco “free”, aperto gratuitamente a chiunque) e la spiaggia di Vasto Marina. Eccetto il palco allestito all’interno del cortile, tutti gli altri luoghi godono del forte legame con il mare, sempre presente nello sguardo dello spettatore o dell’artista che si esibisce.
Il Siren Festival è forte di condizioni magnifiche per affermarsi e crescere ancora in popolarità e qualità; nei numeri, invece, la location impone limiti oggettivi che probabilmente preserveranno lo spirito del festival negli anni a venire. Si tratta di uno spirito libero e semplice, a portata di uomo, che per quattro giorni allarga i confini di Vasto abbracciando il mondo intero ma sfoggiando anche la più tipica e iconica italianità rappresentata dalla vita rilassata di paese, dal mare e dal buon cibo (e che mare, e che cibo!).
I quattro giorni di musica iniziano con una particolarità assoluta: il folle genio di Adam Green presenta il suo film (del quale è sceneggiatore, regista e compositore della colonna sonora) e poi incontra il suo pubblico; poco dopo la chitarra e la voce di Lee Ranaldo (Sonic Youth) stupisce chi come me non lo aveva ancora incontrato nella sua carriera solista. Il live di Ranaldo è intenso, con momenti orecchiabili ed altri più complessi, il tutto in una esibizione di sola chitarra e voce nel complesso forse un po’ troppo lunga.
Da venerdì il programma dei concerti entra nel vivo, con una vasta offerta dislocata sui diversi palchi cittadini mentre lo spazio in spiaggia è dedicato solo ai djset notturni. Le sovrapposizioni di esibizioni obbligano lo spettatore a delle scelte, che fortunatamente non rischiano mai di essere veramente sbagliate in quanto l’offerta è varia e sempre interessante.
La mia prima scelta è di percorrere Via Adriatica (mentre i Pop X fanno un notevole casino sul free stage di fronte ad un pubblico di giovanissimi), attraversare Piazza del Popolo e raggiungere la ben più tranquilla situazione in atto ai giardini di Palazzo D’Avalos: il verde del prato, i colori cangianti dei fiori, il blu del mare e l’azzurro del cielo creano la cornice perfetta per il concerto di Tess Parks. Un po’ rock, un po’ blues, un po’ ragazzina maledetta a creare il perfetto cliché da gustare con un bicchiere di vino e uno squisito bagel farcito mentre il sole si abbassa dietro i palazzi.
Sul palco di Porta San Pietro il giovane Yakamoto Kotzuga ha raccolto intorno a sé un folto pubblico mentre la sua musica elettronica, capace di scuotere con ritmo ossessivo ma anche di accarezzare il tramonto, riscuote consenso. All’interno del cortile D’Avalos il californiano Nosaj Thing, il cui aspetto non nasconde origini asiatiche, spinge l’acceleratore trasformando lo spazio quadrato del cortile in un affollatissimo club dove i bassi vibrano pesantemente, alternando sonorità hip hop e soul. Il risultato è d’effetto e non banale, tanto che avrebbe meritato un orario in scaletta più prossimo alla nottata piuttosto che alla cena.
Il main stage di Piazza del Popolo, dopo l’interessante esibizione degli A.R. Kane (ascoltati solo di passaggio, con un po’ di rammarico), è pronto ad accogliere il fenomeno del momento, Calcutta. Il cantautore laziale si esibisce davanti ad una piazza non pienissima ma decisamente fanatica. I canti in coro del pubblico si alzano verso il cielo facendo risuonare un po’ troppo forte alcuni testi che forse sarebbe invece meglio bisbigliare (“Vestiti da Sandra che io faccio il tuo Raimondo”) riportando alla mente scene di giovane ed ingenua idolatria già vista sotto altri palchi (Vasco Brondi, per esempio).
Sul finale del live di Calcutta e prima dell’inizio dello show di Adam Green nel cortile, sul palco di Porta San Pietro si è esibito Cosmo: non potendo essere ovunque, non sono riuscito ad assistere al suo concerto ma si vocifera di unA gran esibizione che ha scatenato tutto il suo “indie-dance-floor”.
Prima dell’attesissimo live degli Editors sul main stage, Palazzo D’Avalos si trasforma in una casbah nel cui cortile far rivivere le avventure di Aladdin secondo Adam Green. Istronico e sgangherato, l’artista newyorkese salta e balla goffamente, sorride e con il caratteristico vocione canta le sue canzoni. Un live spassoso, la cui ilarità non lascia indietro la qualità musicale: la band che lo accompagna, i francesi Coming Soon, eseguono con caparbietà e precisione i brani di Green, in bilico tra il rock psichedelico degli anni ’60 e climi vagamente orientaleggianti.
La serata ora passa in mano agli Editors, band britannica amatissima in Italia. Tom Smith e compagni salgono sul palco tra gli applausi di una piazza strapiena pronta a vivere un live estremamente energico. La forza degli Editors è custodita nella ricerca pop in una sempre viva matrice sonora post-punk e new-wave capace di creare un mix irresistibile e coinvolgente. I brani si susseguono in una scaletta che attinge da tutti i dischi della band allontanandosi quindi un poco dal format del tour invernale che era incentrato principalmente sull’ultimo In dream. Il pubblico apprezza, canta, applaude e salta sulle note e sulle parole cantante dalla magnifica voce di Tom (mai fermo sullo stesso posto per più di un secondo). Il volume, altissimo, inonda la piazza facendola vibrare ed incendiare con l’altrettanto bello ed efficace spettacolo di luci attenuato solo nella toccante versione piano e voce di Dancing in the dark di Bruce Springsteen.
Il concerto degli Editors chiude magnificamente i concerti di venerdì, lasciando spazio ai djset all’interno del cortile e in spiaggia, fino alle 4 di notte, per chi ha ancora energie da spendere.
La giornata musicale di sabato inizia, come sempre, con delle scelte, questa volta viziate anche da un ritardo generale dovuto ad un matrimonio che ha impegnato le zone limitrofe ai luoghi dei concerti. Per quanto la motivazione del ritardo possa sembrare assurda, rende chiaramente l’idea di organicità organizzativa, sociale e cittadina del Siren: in quale altro festival al mondo una coppia di sposi andrà mai a lamentarsi per il rumoroso sound check di Thurtson More? Solo a Vasto, solo dove la musica si unisce e si fonde veramente con il luogo che la ospita, sgomitando ma trovando poi, in qualche modo, la pace comune. E così si inizia con passaggio veloce davanti al palco di RY X, talentuoso musicista e cantante che combina un animo soul all’elettronica più patinata (in scia Chet Faker) per poi accomodarsi ai giardini per il bel live di Joan Thiele. Il clima è simile al precedente, seppur la vena funk in questo live SIA più spiccata, ed unitamente alla bella voce il risultato è assolutamente gradevole assicurando a Joan Thiele un roseo futuro di successo.
Anche oggi il mancato dono dell’ubiquità mi tiene lontano dal free stage dove si esibisce il bravissimo His Clancyness, ma dopo una manciata di goduriosi arrosticini sono pronto ad assistere a parte del live del Thurston Moore Group. Un altro frammento di Sonic Youth, un altro pezzo di storia del rock moderno declinato nel suo progetto personale. Visto da lontano, Thurston Moore pare un ragazzino: ciuffo di capelli biondicci a coprirgli il viso, maglietta lunga e intorno a lui un’aura di anni ’90 emanata dal suo stesso corpo e dalla chitarra. Assoli taglienti e schizoidi, ma puliti e precisi; canzoni efficaci, forti di una consapevolezza (ed autorevolezza) che pochi possono vantare: senza dubbio Moore avrebbe meritato il main stage.
Il tempo passa ed arriva il momento dei Notwist. La magnifica band tedesca ha intrapreso un tour celebrativo del loro album più amato, Neon Golden, attualizzato alla loro capacità musicale ed espressiva odierna. La perfezione di ogni suono è inebriante, così come la pacata misura, la completa padronanza degli strumenti, la potenza emozionale esercitata con lievi combinazioni musicali. Quanto hanno da imparare le band odierne dai Notwist? Tantissimo. Musica che accarezza l’anima e solleva la mente, una riserva di purezza assoluta offerta in una delle esibizioni più belle di questo Siren Festival.
Dopo di loro, più o meno in contemporanea, Francesco Motta suona nel free stage mentre l’elettronica (un po’ cafona, diciamolo) di Powell stordisce il pubblico dentro al cortile D’Avalos.
Il compito di chiudere i concerti sul main stage è affidato a I Cani, altro fenomeno del momento che raccoglie più o meno il medesimo bacino di pubblico del giorno precedente raccoltosi per Calcutta. Anche in questo caso la piazza non è strapiena come forse ci si attendeva; complice la personale stanchezza dovuta ad una giornata passata a camminare nell’entroterra abruzzese tra antiche rocche e grotte carsiche ho deciso che una manciata di brani de I cani sono sufficienti per mettere a rischio il ricordo della bellezza profusa da una band di spessore internazionale come i Notwist, e così per me si chiude il sabato del Siren Festival.
La terza edizione del festival però non si è conclusa qui: domenica mattina alle 12.30 l’appuntamento è davanti alla chiesa di San Giuseppe nella quale, al termine della funzione religiosa (altro punto di umano contatto tra comunità cittadina e festival), si svolge il concerto di Josh T. Pearson. Il cantautore texano, con barba e capelli inaspettatamente corti, incanta il pubblico con il suo folk malinconico la cui vena spirituale viene maestosamente amplificata dal luogo. I volumi inutilmente alti hanno messo alla prova i timpani di coloro si trovavano più vicini alle casse andando a vanificare la delicatezza che un’esibizione in chiesa avrebbe potuto offrire, ma comunque resta l’incanto profuso da un artista assolutamente magnetico.
Al termine della sua esibizione si è veramente chiuso il Siren Festival, anche se di fatto in spiaggia ha inizio un closing party pomeridiano, e nelle piazze cittadine gli addetti ai lavori stanno smontando i palchi e gli stand.
Scrivo questo livereport a notevole distanza dagli eventi vissuti, nella speranza di aver potuto elaborare in santa pace la cosiddetta “saudade” e l’eccessivo entusiasmo adrenalinico dell’immediato post-festival. Essendo stata la mia prima esperienza al Siren Festival non posso che essere felice e grato agli organizzatori che sono stati in grado di portare in una piccola perla sull’Adriatico un festival musicale vario ed interessante. Come si è ripetuto in questo lungo articolo, la peculiarità del Siren Festival è di unire, collegare la città alla musica, la musica al mare, il pubblico alla natura circostante in un circolo virtuoso che apre mille varchi e possibilità. I lupi della notte possono rimanere a ballare fino alle quattro del mattino al prezzo di trasformarsi in zombie fino alle cinque del pomeriggio successivo, ma chi vuole può “limitarsi” a gustare i live serali e preservare un po’ di energie per godersi il mare o il selvatico entroterra abruzzese. Chi ama il buon cibo, invece, può apprezzare gli stand all’interno del festival che offrono prelibatezze locali (poi il giorno successivo andare nelle botteghe, dai produttori e nelle cantine locali), ma chi vuole accontentarsi del classico ed economico kebab può farlo sempre nella piazza dei concerti, perchè il festival è nella città ma soprattutto è vero il contrario.
Per essere oggettivi non si può che essere anche critici verso alcune scelte di programmazione, in particolare sull’aver puntato così tanto su Calcutta ed I Cani che, senza entrare nel merito dei conti numerici ed economici, non offrono una proposta qualitativamente in linea con quel grande palco di Piazza del Popolo, andando così ad abbassare notevolmente l’asticella del profilo internazionale che il Siren Festival potrebbe e dovrebbe avere. Un altro appunto che si potrebbe rivolgere al Siren è la mancanza di una identità profonda dal punto di vista culturale: questo elemento manca anche ai grandi festival europei (vere e proprie macchine del business) ma spesso è più presente nei piccoli eventi (macchine alimentate dalla passione) e nel Siren potrebbe trovare la perfetta combinazione.
Da queste osservazioni nasce però una considerazione diretta e positiva: il Siren Festival è giovane, può crescere. Seguendo il concetto di connessione con il territorio e ricerca di una identità culturale diventerà adulto, sarà bellissimo vederlo fiorir ogni anno, sempre più ricco, sarà un piacere esserci, sarà emozionante godere ancora, ancora e ancora di tutta la bellezza che saprà offrire. Appuntamento al 2017.
[foto 1 di Giulia Razzauti dalla pagina FB di Siren Festival]