Pochi ci riescono davvero. Pensate a quanti da ragazzini imbracciano una chitarra, imparano a strimpellare e poi la lasciano in un angolo di casa a prendere polvere. Quanti invece la spolverano in modo maniacale da anni, ma nemmeno il tempo ha dato loro il dono dell’ispirazione lasciandoli prigionieri dei classici altrui. Ancora molti altri si credono cantautori, ma di fatto suonano e cantano delle cover mascherate da inediti, sempre le stesse canzoni.
Pochi davvero riescono ad esprimersi, ad utilizzare chitarra e voce come estensioni del proprio corpo. Pochi davvero riescono a creare brani che a distanza di qualche anno suonano già come dei “classici”.
Gnut è uno di questi pochi artisti capaci di porsi al proprio pubblico lasciando la sensazione di essere al cospetto di un piccolo miracolo. Nessuna Madonna che lacrima, ma un senso di stupore di fronte alla grandezza delle piccole cose. In fondo è solo un ragazzo con una chitarra.
Dopo aver visto Claudio Domestico (in arte Gnut) diverse volte dal vivo in solo, grazie a La Fabbrica di Bologna qualche tempo fa, l’artista napoletano si è proposto all’Arteria di Bologna in una rara esibizione con la band: batteria, basso, chitarra elettrica, violoncello, tastiera, Ciaccarella (la chitarra di Gnut).
La sala concerti del locale bolognese è affollata mentre sul palco sale la band al completo per iniziare a suonare Dimmi cosa resta. I suoni sono un po’ da aggiustare, la chitarra di Claudio si sente appena, ma la voce non mente e chiede “guardami negli occhi e dimmi cosa vedi”, aprendosi al pubblico, annullando le distanze.
La dolcissima ballata Il resto del corpo, tratta dal recente ep Domestico, è una carezza delicata, una serie di immagini tra sogno e materia, tra corpo e sentimento. Violoncello e tastiera giocano a rendere ancora più vellutate queste carezze in note e parole.
L’efficacia di Semplice è spiazzante: anche un giro di DO in 4/4, solleticando le orecchie con meno forza rispetto ad altri brani, può contenere grandi verità e sinceri sorrisi.
Il violoncello di Mattia Boschi offre il suo maggiore apporto nelle canzoni più intense. In particolare dal vivo è proprio la gestualità tipica nel suonare lo strumento che sottende un mondo di emozioni faticose, che logorano, che stridono, una tensione prossima alla rottura, uno strazio tanto fisico quanto umano. E’ così, infatti, per uno tra i brani più belli di Gnut: Fiume lento.
La memoria dal passato, una storia che ha segnato anche il presente e che stupisce sempre, ad ogni ascolto: Una carezza è emozione pura, travolgente.
Sempre dall’album Prenditi quello che meriti, non potevano mancare in scaletta Non è tardi, con il suo ritornello che si cuce addosso a tutti, ed Estate in dadgad.
Da Il rumore della luce, un animo più sofisticato e fumosamente jazz accompagna Il dubbio, mentre la sommessa malinconia di Credevo male apre a nuovi scenari sonori.
Gnut e la sua band questa sera vogliono stupire davvero, e ci riescono anche con un brano di un autore immortale come Fred Bongusto: Amore fermati viene interpretata magnificamente, riuscendo a mettere in risalto sia l’anima originale che quella degli attuali interpreti.
Solo con me è un brano che risale all’esordio di Gnut, con DiVento. Lo spirito jazz che l’autore dominava nella versione su disco questa sera viene declinata al rock. La band esplode sul finale, con una forza liberatoria che lascia senza fiato e scatena il pubblico.
Sempre dal disco datato 2008 arriva un’altra perla dell’artista napoletano. “Svegliami / fa che sia attento agli attimi / anche quando rinuncio / stringimi se ne ho bisogno / lasciami / guarire in silenzio”: questa è Esistere.
Pur non essendo presente in persona, l’ormai solida collaborazione tra Gnut e Alessio Sollo è omaggiata con due brani inediti, la cui poesia colpisce al cuore con energia fuori dal comune.
Il concerto ormai volge al termine. Il bellissimo intreccio di ritmo, note e parole è stato realizzato da questa band in modo perfetto. Le tastiere sempre presenti hanno garantito un tappeto sonoro originale al dispiegarsi di chitarre e violoncello, il tutto sostenuto dalla non banale ritmica di basso e batteria. Anche le seconde voci (diventate decine e decine considerando il caloroso e attentissimo pubblico) erano efficaci. Poi che dire della voce di Claudio? Con quel timbro che riesce ad essere delicato e ruvido nello stesso momento, e quella insita timidezza e quell’umiltà che incorniciano di verità ogni brano, ogni singola parola cantata.
Controvento è un fondersi totale di voci, uno scambio dove tutto si muove ma sembra immobile. Il miracolo conclusivo è invece Ammore ‘o vero, brano scritto da Alessio Sollo, Gnut e Daniele Sepe.
Il concerto è finito tra gli applausi sinceri, i “grazie”, i volti sereni del pubblico, saluti, abbracci. E la promessa di un necessario arrivederci.
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