Il meeting delle etichette indipendenti è il principale appuntamento della musica indipendente italiana. In questo 2017 ci vede mediapartner ed abbiamo voluto intervistare il patron della manifestazione pluridecennale. (Info evento)
Quali sono le novità del MEI 2017 rispetto alle edizioni passate?
Abbiamo aumentato gli spazi per tutti i generi: cantautorato, pop, rock, folk, metalcore, rap per una manifestazione ancora più ampia. Inoltre abbiamo qualificato i convengi che sono di grande rilievo.
Cos’è la musica indipendente per Giordano Sangiorgi? In che modo si differenzia da quella mainstream?
Dal modello produttivo. Prima, nell’era del cd fisico, era determinato da chi persona che, come produttore, investiva nella stampa e distribuzione di un artista ignorato dalle grandi casa discografiche italiane e dalle major, oggi è sempre più l’artista stesso che si autoproduce con le sue risorse.
La nostalgia anni settanta/ottanta in USA porta alla nascita di progetti come The war on drugs, in Italia invece porta ai Thegiornalisti. Perchè la maggior parte dell’indie italico sembra sempre bramare al mondo mainstream? Una sorta di anticamera per decollare in assenza di mezzi economici? Invece, all’estero l’indie, inseguendo una propria strada artistica, anche di nicchia, crea progetti di qualità e di un certo successo commerciale…
Principalmente perchè alla fine la nostra cultura affonda le radici nel pop melodico, nel bel canto italico, nella canzone napoletana e nel melodramma lirico e quindi tutti prima o poi lì andiamo a pescare, dove sono le nostre radici. E poi un progetto alternative in Italia, per un’economia di scala non dà quelle risorse economiche che ti può dare un porogetto indie americano che può esssere venduto in tutto il mondo e infine… ci sono corsi e ricorsi storici. I giovani indie di oggi riscoprono gli anni Ottanta, come magari poco prima si erano scoperti gli anni Settanta e ancora prima i Sessanta. Peccato che gli Anni Ottanta per la musica italiana siano stati gli anni più orribili, addirittura i cantanti italiani se volevano vendere dovevano fare finta di essere stranieri e darsi nomi finto inglesi. Ovviamente, escludo la nascita della nicchia dei primi fermenti indie in alternativa. Ma passerà…
Negli ultimi anni l’indie italico è sempre più visto coincidente con una scena cantautorale molto derivativa da quella tradizione anni settanta/ottanta, rispetto ad un approccio più sperimentale che segna progetti come Blessed Child Opera, Omosumo, Julie’s Haircut, JoyCut, Afterhours, Marlene Kuntz. Quanto le etichette indie, l’informazione post-verità hanno condizionato questo cambiamento?
Lucio Battisti con il semplice passaparola, senza campagne di promozione e marketing di alcun tipo (da sempre impedite dalla vedova, anche se ora qualcosa sta cambiando, ma non so se sarà un bene) e per alcuni suoi dischi particolari, è diventato in modo evidente un chiaro riferimento del nuovo cantautorato italiano, escluse rare eccezioni. Significa che per il nostro Paese siamo di fronte a un compositore classico del Novecento che entrerà sicuramente tra i classici quando orchestre da camera alterneranno opere di Bach con canzoni di Battisti. Mi sembra in questo caso un processo di ricerca naturale sul quale serve riflettere per capire le radici musicali del nostro Paese.
Secondo te, chi oggi tra gli artisti in circolazione ha davvero uno spessore importante e sopra le righe?
In genere sono i progetti di ultranicchia, quelli che cercao di esplorare strade nuove spesso incomprensibili anche a noi, per questo di difficile lettura prima. Di primo acchito direi i progetti che incrociano la canzone italiana con il folk nostrano di diverse provenienze regionali oppure di caratura internazionale, ma anche i successi di alcuni dj indie italiani che stanno avendo successo a livello internazionale.
In uno scenario di fruizione liquida e veloce della musica ha ancora senso il giornalismo musicale? Mi spiego: se le nuove generazioni seguono le playlist cucchiaino che gli propone la piattaforma di turno senza alcuna analisi e approfondimento, chi legge più le recensioni musicali sulla stampa web e cartacea?
La stampa musicale sta morendo, infatti. Ma temo che anche i siti musicali presto non se la passeranno bene. YouTube ha ucciso le tv musicali e le playlist stanno uccidendendo le radio. Tutto tende al consumo immediato senza piuù una riflessione critica sul prodotto e sull’artista, tanto che spesso non si va al di là del titolo di un brano, senza nemmeno sapere chi lo firma e che storia ha. Figuriamoci la critica musicale…
Ci sono siti che pubblicano solo comunicati stampa senza critica musicale, ci sono siti che inseguono solo il pettegolezzo o che citano altri articoli… come fate la selezione? La targa MEI del giornalismo musicale analizza questi aspetti durante le selezioni?
Credo proprio di sì. L’elenco dei vincitori mi sembra lo dimostri.
In cosa consistono le Targhe MEI Social? Quali sono i parametri secondo i quali si premia la migliore pagina facebook, il migliore profilo instagram di un artista? Che senso ha valutare questo aspetto social in associazione al profilo “artistico”? Chi dice molto con la sua musica ma è “muto” sui social va tagliato fuori dal “circuito”?
I parametri sono tanti e sono suddivisi nelle varie categorie. Serve indicare alle giovani generazioni che oggi è indispensabile fare emergere sui social il proprio progetto musicale se si vuole raggiungere un numero più ampio di persone rispetto ai live e al proprio circuito. Trattandosi di targhe social è evidente che non profilano il lato artistico in alcun modo che quest’anno è a totale appannaggio di Brunori sas che con il suo disco, il suo singolo, il suo clip, i suoi live ha sbancato ogni classifica.