A Febbraio è uscito il loro terzo disco, Coriandoli. Un vortice di contaminazioni sonore che travolge e lascia con interrogativi. Schiaffi simbolici, non è una musica che distende e lenisce. Li abbiamo incontrati e li abbiamo intervistati.
Tre parole per introdurre il vostro ultimo disco Coriandoli?
Percorso, necessità, scontro.
In che modo e in che misura le vostre origini napoletane influenzano il vostro tessuto musicale?
Solo parte della band ha origini napoletane, non si tratta quindi di un’influenza assoluta e totalizzante. Lo influenza così come una lingua determina la struttura del pensiero.
Le sonorità di Coriandoli hanno talmente tante sfumature e contaminazioni diverse da lasciare in un fascino enigmatico, irrisolto. Quale direzione avevate in mente di dare al disco?
Proprio la direzione che ha. Quella del molteplice e dell’irrisolto. Tutto deve essere palese e sbranato ancora prima di essere offerto? Questo è un forte limite.
Come nascono i vostri brani?
Si mangia parecchio.
La peggiore delle ipocrisie che vorreste sbranare?
Abbiamo un buon margine di tolleranza sulle ipocrisie. Se sei ipocrita è perché un po’ te ne vergogni. Sono le facce belle e i vestiti puliti che detestiamo.
Qual è la vostra aspirazione massima per il gruppo?
Sarebbe bello vedere legittimato il proprio lavoro. Lavoro di immaginazione: è un aspetto tutt’altro che necessario e forse è per questo motivo che mi viene in mente.
Cosa cambiereste del sistema musicale italiano?
Principalmente gli artisti. Ignavi e paurosi hanno accettato tutto pur di non perdere quel paio di molliche che gli sono state lanciate. Con artisti nuovi, poi, si cambia tutto il resto.