Il secondo disco Volevo fare bene, il secondo disco dei La Notte ci ha colpito al primo ascolto per il suo modo di affrontare il tema della dualità del rapporto di coppia in tutte le sue sfumature. E’ una conferma del talento già dimostrato nell’album d’esordio di questa giovane band fiorentina. Con un sound tra tra gli MGMT ed i Vampire Weekend si propongono come la vera soluzione alternativa al movimento cantautorale di stampo revival anni ottanta che sta intasando il sottobosco della musica indie italiana.
Quali sono le principali differenze a livello di suono tra il disco d’esordio e Volevo fare bene?
Probabilmente è un fattore di esperienza e di maturità. Il primo disco è stato molto più un’urgenza, una cosa che dovevamo fare per noi stessi e che volevamo fare a tutti i costi; quindi l’abbiamo registrato in otto giorni, mandato a giro, fatto uscire e subito ci siamo messi a suonare. Per questo disco invece ci siamo fermati, Yuri ha cominciato a portar canzoni chitarra e voce. In verità all’inizio volevamo continuare sul filone del primo disco e forse fare il secondo ancora più incazzato. Invece poi il flusso di scrittura ci ha portato verso tutta un’altra direzione, più intima e forse anche più personale.
Il concept del disco è la dualità nel rapporto di coppia. Quanto di biografico c’è nelle immagini del flusso di coscienza che attraversa le canzoni? Sono legate ad una sola storia d’amore o è un mix di tante storie?
In verità non si può parlare di storie d’amore come se fosse un qualcosa di puramente personale. I rapporti di coppia alcune volte si ripetono in modo quasi ostinato, quasi come se fossero universalmente simili. Hai detto bene che il concept di questo disco è incentrato sulla dualità nel rapporto di coppia, ma quanto è normale sentire parlare un amico di una relazione e ritrovarsi nei suoi racconti? Ecco, per questo può esserci molto di biografico e probabilmente c’è, perché comunque non puoi parlare di una cosa come i rapporti tra le persone senza parlare dei te, però la nostra speranza è che tutti si ritrovino in qualche modo in questi e che si ricordino di qualche specifica situazione della propria vita attraverso le canzoni di questo disco.
Come è nata Ho visto la scena? Trovo sia uno dei brani più riusciti…
Ho visto la scena è stata prima una ballata un po’ tra i Verdena e Cesare Cremonini, successivamente abbiamo deciso di stravolgerla perché non ci piaceva più. Mi ricordo che Yuri una notte registrò con la chitarra acustica una versione quasi caraibica che poi abbiamo ricollegato ad un mood alla Kings of Convenience. La cosa assurda è che non siamo mai riusciti a ricreare esattamente il mood di quel provino registrato malissimo nel nostro studietto. Anche per noi è una canzone molto magica.
Quali sono le vostre principali fonti d’ispirazione a livello di sound tra band straniere presenti e passate?
A parte quelle che ho citato, ce ne sono tante. Però cambiamo ascolti costantemente quindi questo disco è probabilmente una fotografia di quell’esatto periodo in cui ascoltavamo gli Alabama Shakes, King Krule, qualunque cosa Julian Casablancas crei, Battisti, Dalla, Neil Young ma anche i Weather Report per dire. Però comunque il gruppo che rimarrà sempre il fulcro della nostra ispirazione e forse ambizione sono i Beatles, la musica pop perfetta.
Partecipereste ad un talent-show?
No.
Quale brano di questo disco non vedete l’ora di suonare dal vivo e perché?
In verità un po’ tutti perché sono due anni che ci lavoriamo in studio. Li abbiamo scritti nel nostro studio e registrati nello studio di Andrea (Marmorini), quindi tecnicamente non li abbiamo mai suonati veramente tutti insieme. Comunque per ognuno di noi ci sono brani preferiti differenti.
Un film per Volevo fare bene?
Non siamo dei grandi appassionati di cinema quindi ci metti in difficoltà. Un libro che rappresenta un po’ il concept del disco forse potrebbe essere L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera.
Cinque canzoni che direttamente o indirettamente vi hanno ispirato mentre registravate il disco?
Canzoni non saprei, però di sicuro Anima Latina di Battisti e Come è profondo il mare di Lucio Dalla per l’Italia mentre all’estero Sound & Color degli Alabama Shakes (Shawn Everett è un produttore che ammiriamo parecchio), Is This It degli Strokes che resta un classicone nei nostri cuori e sicuramente in modo indiretto Black Market dei Weather Report.