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Le cose piccole servono: intervista a Manuel Agnelli (Afterhours)

agnelli_inter001Capita. Un pomeriggio tra tanti. Un dialogo che mette degli accenti su quanto gli anni hanno mostrato reale, concreto, sincero. Le parole veicolano dei contenuti, afferrano il senso pieno delle azioni, quelle dettate dalla verità verso se stessi, verso i propri limiti svelati che mutano in forza e volontà. Il coraggio delle rivoluzioni condotte col buon senso delle piccole cose, che diventano enormi al cospetto di un percorso di convinzione. La sensibilità nel riconoscere l’importanza del “fare” contro tutto e tutti, senza paura del giudizio e del pregiudizio. Manuel Agnelli racconta, con gentilezza e disponibilità, l’esperienza degli Afterhours a Sanremo. Un’esperienza che vive del contesto e lo rende possibilità di nuove prospettive: Il Paese è reale non è solo una canzone, è un progetto che coinvolge un insieme di artisti del circuito indipendente italiano, amplificato dal megafono mediatico che gli Afterhours hanno afferrato sul palco dell’Ariston. (Il paese è reale è in streaming autorizzato; foto di A. D’Antonio, S. Remondini, E. Gessi)

Gli Afterhours hanno vissuto il loro Sanremo. Lo hanno vinto guadagnando il Premio della critica.  Si sono presentati su quel palco alla loro maniera, con la loro musica e veicolando dietro una canzone un messaggio e un progetto. Al solito senza troppo clamore, senza posizioni plateali.  Che bilancio tracci?
Secondo me, hai detto bene! Se mi avessero chiesto di mettere la firma sul risultato della nostra partecipazione, io l’avrei fatto. Addirittura l’eliminazione alla prima serata è stata la manna dal cielo perché, visto che nei giorni precedenti i giornalisti avevano detto che il nostro era uno dei pezzi migliori se non il migliore, proprio l’eliminazione ha fatto clamore, ci ha dato una visibilità che non avremmo avuto arrivando sesti, settimi… E il Premio della critica ha messo la ciliegina sulla torta. Volevamo andare a Sanremo per sfruttare un po’ il megafono mediatico che può dare e che è ancora enorme, anche quest’anno con gli ascolti l’ha dimostrato, indipendentemente dalla qualità che esprime dal punto di vista musicale e culturale. Sanremo è di fatto il megafono mediatico più forte che c’è in Italia e volevamo sfruttarlo proprio per i nostri progetti, siamo riusciti a farlo lì e stiamo riuscendo a farlo anche adesso. Quindi… missione compiuta da quel punto di vista!

Sanremo è notoriamente un palco legato a degli stilemi, soprattutto se l’obiettivo è uniformarsi in vista di una meta. In pratica vuol dire autolimitarsi e preconfezionarsi contribuendo ad alimentare un gusto deciso dall’alto. L’invito di Bonolis agli Afterhours ha dimostrato che è possibile il contrario, in termini strettamente musicali e poi di gestione dei propri progetti…
Sì! Sono molto schietto e anche molto cinico rispetto al fatto che le cose possano modificarsi in maniera pesante, ma questo non mi impedisce di agire per produrre un cambiamento. L’Italia è un paese dove praticamente o si sta in salotto o si fa la rivoluzione, no? Se non c’è una rivoluzione in ballo, non vale la pena muoversi per la maggior parte delle persone, invece è un grave errore perché in questo modo i cambiamenti si innescano a fatica. Quello che noi cerchiamo di fare da anni è agire nel nostro piccolo cercando di portare la nostra musica ovunque e di stimolare il cambiamento, anche se tarda ad arrivare o non arriva: era il senso del Tora! Tora!, il nostro festival itinerante, ed era il senso della nostra partecipazione a Sanremo. Bonolis voleva che fossimo noi stessi, e da quando abbiamo avuto la conferma della sua sincerità e serietà professionale ci siamo messi a lavorare per poter sfruttare questa possibilità e poter fare un po’ di casino alla fine! Lungi da noi il voler cambiare il gusto del festival o generare rivoluzioni più importanti a livello del costume, sapevamo che non potevamo ambire a nulla di ciò ma era giusto fare dei gesti e manifestare una presenza, un’esistenza in piena libertà… e continueremo a fare così.

Al di là dei risultati, che un determinato meccanismo prevede, una voce particolare ha sottolineato la qualità della partecipazione degli Afterhours a Sanremo… Mina, e l’ha fatto in maniera schietta e ufficiale tra le pagine di Vanity Fair…
Sì, Mina è stata la più grande fan che abbiamo avuto in questi giorni. Non ha avuto problemi a far dire ai suoi figli in conferenza stampa che eravamo il suo gruppo preferito nel contesto festival e che il nostro pezzo era il più bello. Mi ha telefonato prima della seconda performance. Ha avuto delle positive considerazioni tra le pagine di Vanity Fair, anche rispetto a Bonolis; è stata brava a sottolineare la positività di alcuni momenti che si sono visti in televisione e siamo fieri di essere tra questi. Oltre a lei c’è stata tanta gente, anche insospettabile, a farci sentire affetto… molti giornalisti hanno approfittato della nostra presenza per scrivere di una certa scena, di una certa attitudine. Ho visto ai telegiornali dei servizi più variopinti, più coraggiosi del solito dal punto di vista dei contenuti. Abbiamo sentito tutto questo sulla nostra pelle, e in un modo molto bello perché ci ha fatto capire che c’è molta gente che aspetta soltanto il la per assumere delle posizioni e liberare ciò che pensa. Per onestà intellettuale devo dire che abbiamo ricevuto molti complimenti anche dagli altri musicisti che sono stati molto carini, c’era un’atmosfera rilassata, molto diversa da quella che ci aspettavamo e addirittura Adriano Celentano e Claudia Mori ci hanno mandato un sms per complimentarsi con noi per il pezzo. Tutte queste persone, che sono distanti anni luce da noi e dalla nostra musica, alla fine ci hanno apprezzato molto… vuol dire che ci siamo fatti “sentire”: questo è qualcosa, no?

Sì. Soprattutto dimostra che ogni tanto l’apertura mentale è possibile…
Certo, assolutamente!

agnelli_inter002Il paese è reale è il brano presentato a Sanremo ed è il titolo della compilation in cui vengono raccolti 19 brani inediti di artisti della scena indipendente italiana, un progetto veicolato attraverso il grosso canale mediatico sanremese e che si pone come la prosecuzione del Tora! Tora!
Sì, il progetto è molto simile dal punto di vista dell’attitudine e dell’idea. Il senso è portare la musica dovunque, in piena libertà, senza barriere stilistiche, senza stupidi ghetti, senza torri d’avorio asfittiche. E’ importante raggiungere una libertà mentale che ci consenta di comunicare finalmente, e rimanendo noi stessi, questa è un po’ una fortuna che abbiamo e che ci siamo guadagnati… cioè di fare quello che vogliamo e di avere comunque attenzione intorno, e la stiamo sfruttando pur con tutti i nostri limiti. Il Tora! Tora! aveva lo scopo di coinvolgere soprattutto i media attorno alla nostra scena, si è riusciti solo in parte. Come dici bene tu, Sanremo è un’operazione  che prosegue su quella strada e dal punto di vista mediatico è stata probabilmente più efficace perché abbiamo avuto a disposizione un megafono enorme. Se ci pensi, potenzialmente il festival potrebbe essere magnifico perché, come scatola, potrebbe veramente veicolare delle informazioni con una potenza impareggiabile, il problema è che se la rete di stato ha come primo obiettivo l’auditel, è chiaro che a chi organizza vengano posti dei paletti molto stretti per ottenere dei risultati. Se Bonolis avesse avuto più libertà di agire senza preoccuparsi degli ascolti, avrebbe fatto una trasmissione ancora più interessante. E’ la televisione di stato che dovrebbe avere la cultura come obiettivo principale e non gli ascolti, su questo bisognerebbe riflettere.

Hai dichiarato che una goccia che ha fatto traboccare il rapporto con la Universal è stata il prezzo legato alla riedizione de I milanesi ammazzano il sabato. Il 25 febbraio la compilation esce in esclusiva per il circuito Fnac ad un prezzo speciale: 9,90 euro. Quindi è un segnale forte che rende possibile arginare uno dei fattori legati alla crisi del mercato discografico?
E’ un segnale forte di libertà, in primis. Certi passi si possono fare. Molta gente, che ci ha criticati, ha paura di mandare al diavolo il proprio capoufficio… noi, in realtà, nel giro di tre anni abbiamo mollato tre case discografiche perché non ci trovavamo bene ed abbiamo preso delle decisioni forti, magari anche rimettendoci e risultando in un primo momento impopolari: il fatto di andare a Sanremo senza sapere che avremmo fatto quest’operazione, senza aver sentito il pezzo, senza sapere che avevamo mollato da un mese la Universal ci ha procurato una reazione popolare abbastanza negativa. Credo che sia stupido aver paura, bisogna agire con la responsabilità giusta. Con la Universal la goccia è stata il prezzo della riedizione e soprattutto il fatto di non avercelo comunicato, quindi il rapporto di fiducia per quest’operazione e per altre si è disgregato, ma anche la rigidità che dimostrato nel trattare noi e il progetto Afterhours, come gli altri progetti in catalogo: le multinazionali fanno molta fatica a capire il cambiamento in corso tra gli ascoltatori e nel modo di fruire la musica, sono lente come strutture e sono già in uno stato di crisi e arriveranno molto probabilmente anche al suicidio. Noi non abbiamo la soluzione in mano, ma stiamo sperimentando delle alternative perché stiamo collaborando con altre strutture molto agili, molto volenterose nel privilegiare la qualità prima di tutto, esplorando nuovi territori di comunicazione: questo per noi è l’aspetto più importante, e non il vendere cinque copie in più o in meno, mentre invece le discografiche fanno di tutto per raschiare il fondo del barile quando al contrario sarebbe importante trovare nuove dinamiche di comunicazione, no?

Sì, certo. Tornando al festival, una mia osservazione riguarda il meccanismo dell’eliminazione che ha penalizzato quelle esibizioni previste per il venerdì e a cui è stata tolta la visibilità. E penso alla gara in sè… la musica non vince e non perde…
Questo lo sapevamo e abbiamo accettato di andarci in piena coscienza e responsabilità. Sapevamo che sarebbe potuto succedere. Le persone che avrebbero dovuto partecipare con noi lo sapevamo. Le regole sono quelle e, se ci vai, le rispetti. A noi dispiace non aver potuto portare sul palco la performance con Rezza e Godano, però il fatto che quella collaborazione fosse avvenuta era già un segnale: abbiamo dimostrato che i Marlene Kuntz erano dalla nostra parte e che c’è amicizia… questo è passato comunque ed era l’aspetto più importante. Per quanto riguarda il risultato del festival, forse è stato meglio che ci abbiano eliminati e sia nato tutto questo casino intorno a noi piuttosto che, lo ripeto, arrivare settimi o ottavi passando nell’anonimato rispetto al cast. Volevamo usare il festival molto cinicamente ma anche molto schiettamente e la fortuna ci ha aiutato ad usarlo al meglio, rimane il rammarico della performance ma potremo farla comunque in futuro scegliendo l’occasione giusta.

Il pezzo. Ho letto il testo prima di ascoltarlo musicato e l’ho trovato un testo forte, pur nella sua semplicità. Ha diversi livelli di lettura, però racchiude concetti molto diretti: l’azione e la verità. Ho pensato subito a quella mediocrità che ha attraversato diverse fasi nella poetica degli Afterhours, da Quello che non c’è, passando per Ballate per piccole iene e fino a I milanesi ammazzano il sabato… C’è una possibilità di riscatto, di cambiamento proprio nella verità… verso se stessi, in primis?
Sicuramente c’è nell’accettazione dei propri limiti. Abbiamo fatto anche un percorso interiore in questo senso, scrivendo, facendo dei dischi appunto sull’accettazione della mediocrità: averci a che fare tutti i giorni è accettarla alla fine, no? E non è un male perché porta a smettere di pensare all’assoluto e in assoluto, e porta a fare delle piccole cose. Mi ricollego a quanto ti dicevo prima: troppa gente si pensa ancora in assoluto e questo purtroppo è un grosso limite, ti porta ad esser troppo presuntuoso rispetto al senso della tua vita e della vita in generale, a non fare niente se non ne vale la pena, se non è abbastanza importante, a non fare niente che non sia al di fuori del tuo percorso… questo è limitante, ha come conseguenza l’immobilità. L’Italia è un paese snob, immobile non tanto perché non ci si voglia sporcare le mani ma perché non si fanno le cose in piccolo. Quello che ho imparato è proprio il contrario: le cose piccole servono, e tanto piccole non sono alla fine se le fai con convinzione. Il testo doveva essere semplice perché si andava a Sanremo, con un pezzo difficile anche se non sperimentale. Eravamo lì non per fare gli snob ma per essere noi stessi in piena libertà, e doveva essere chiaro che lo fossimo senza esserci adattati al festival pur compiendo uno sforzo di comunicazione: il testo ha molte chiavi di letture anche se ha dei concetti molto semplici, mi auguro non siano mai sembrati retorici, l’obiettivo era farli arrivare a chiunque… anche a chi non ci segue e non conosce il nostro linguaggio.

agnelli_inter003L’attività live sta per riprende. Oltre al nuovo tour in USA, una data speciale a Roma il 12 marzo. Gli Afterhours leggono Flaiano. Gli ingredienti della sua scrittura, dalla satira alle iperboli grottesche, sono un ottimo uncino per gli Afterhours, no?
Sì! E’ un autore che ha anche una lucidità e una cattiveria notevoli. Lo sento da tempo molto vicino alla mia sensibilità, è capace di ridere ma ha anche il coraggio di essere intenso, è capace di ironizzare ma anche di essere cattivo appunto. Si tratta di un artista raro, non prigioniero del proprio stile… questo è molto importante: molti quando trovano una strada la seguono da prigionieri, nutrendo la paura di cambiare, di essere capaci di più direzioni. Flaiano non aveva paura… e in questo ci riconosciamo come molto simili.

(Si ringraziano Roberta Accettulli e Casasonica Management)

Il paese è reale – Preview

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2 commenti

  1. In fondo lo sapevamo che a prescindere da come sarebbe andata, sarebbe stato comunque un successo.

    La cosa che mi rende perplesso è che probabilmente molti abbiano preso come un “tradimento” questa partecipazione degli Afterhours a Sanremo pur conoscendo gli intenti del progetto che affianca il paese è reale. Il semplice partecipare a Sanremo è un tradimento in sè e dubito che molti, soprattutto tra i giovani che affermino di sostenere questa scena, lo abbiano guardato, nonostante la presenza degli Afterhours. Il televoto ne è una dimostrazione.
    E’ possibile l’apertura mentale ma, con mio enorme rammarico, noto che i primi a chiudersi sono proprio coloro che criticano una certa chiusura da parte dei tradizionali veicoli di comunicazione.
    Credo che la cosa importante sia avere un proprio spirito critico a prescindere dal giudizio altrui; nel turbine dell’informazione che oggi ci travolge è molto difficile e spesso è più comodo lasciarsi trasportare e prendere per vero tutto ciò che si sente o legge.

    Sembra futile nella sua ovvietà eppur conforta non poco sapere che c’è qualcuno che crede nelle piccole cose e lo dimostra. E’ questa la strada per il cambiamento. Del resto nessuna imponente muraglia si costruisce senza aver prima fatto il piccolo mattone. La gente oggi è abituata a volere tutto e subito e spesso non si sa più vedere e riconoscere la potenzialità dell’insignificante germoglio nè godere della sua modesta bellezza.

    Gli Afterhours lo hanno fatto e continueranno a farlo.

    Grazie Afterhours.
    Grazie Amalia.
    Grazie Lost Highways.

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