Con indosso una giacca da Cappuccetto Rosso, Julia Holter si avventura in un lungo viaggio Where the wild things are (il paese delle creature selvagge), ne rivive l’esperienza nei suoi sogni, nei suoi peggiori incubi, e li traduce in un magma di suoni, impulsi, fraseggi frantumati, rumori e ‘cacofonie della mente‘ che destrutturano del tutto la forma canzone. Una trasposizione che confonde realtà e immaginazione nella stessa dimensione onirica di Mulholland Drive di Lynch. È dopo un sogno dal quale è impossibile uscire che Julia Turn the Light On mentre la sua voce possente si erge epica sulla tensione che sembra mandare in loop l’introduzione di The Night Watch dei King Crimson, e l’inquietudine ritmica ossessiva degli ultimi Portishead e le bizzarrie sgangherate dei Fiery Furnaces rivivono in Whether. L’esecuzione di un’orchestra da camera viene turbata e progressivamente avvolta dalle nubi vocali eteree quanto inquietanti di Chaitius, ricordando a tratti il coro polifonico di 2001 Odissea nello spazio. Un loop sussurrato, joy, rischiara la coltre fumosa portando un filo luminoso che amalgama i suoni mentre camminano in equilibrio, come su una ragnatela. Un filo sottile che in Voce Simul diventa rarefazione atmosferica, una voce retta da un basso tenue e ostinato che viene dolcemente sommersa da una cascata vocale per riemergere incerta e smarrita nell’oscurità, la piccola Undici che sfida l’ignoto del Sottosopra. Le sirene di un mondo incantato risuonano nel nebbioso ricordo di un sogno spaventoso, Everyday Is an Emergency, come se il Mingus più free partisse in Interstellar overdrive alla ricerca del piano lento, quasi scordato, del dolente The Wall, accompagnato da una voce sempre più eterea. Una voce che recita un monologo allucinato su cui si sovrappone senza soluzione di continuità Another Dream. Massa densa come il fango di una palude che si dipana lentamente per esplodere nel crescendo epico di I Shall Love 2, ritrovando la tetra solarità della Nico di Sunday Morning.
Underneath the Moon si muove in un paesaggio fantastico in free form, libera improvvisazione, memore degli Art Ensemble of Chicago, che converge verso improvvisi squarci corali, fino a smarrirsi nella lirica visione di Colligere, la sua eterea strumentalità, i lampi vocali, che brillano come lucciole nel bosco, dove un piano preso in prestito al concerto di Colonia di Jarrett imbastisce la trama sofferta di In Gardens’ Muteness, tramutandosi nel finale nella musica concreta di Cage. I Would Rather See è il lento procedere di un organo che guida la marcia di un corteo di adepti di un oscuro culto. Ma è un mondo fantastico e strambo ed ecco che Les Jeux to You proietta l’autrice su una giostra impazzita, che ruota vorticosamente mettendo tutto a soqquadro. Al punto che, con quei violini corposi e tremanti, Words I Heard potrebbe essere una ballata folk del nuovo cantautorato statunitense, ma Julia è oltre e trasfigura quella materia classica nella sua personalissima visione. Così nel suo mondo capovolto, inverte le sequenze e I Shall Love 1 arriva per seconda, ribalta e scompone la grandiosità del brano già ascoltato nel primo dei due cd che compongono l’album. Come il protagonista di Inception Holter non riesce a riemergere dal mondo segreto del suo subconscio, per questo Why Sad Song suona come un lento risveglio d’addio, e mentre lo ascoltiamo non riusciamo a capire se la trottola del reale stia ancora ruotando.
Credits
Label: Domino – 2018
Line-up: Julia Holter (vocals, keyboards) – Corey Fogel (percussion) – Devin Hoff (bass) – Dina Maccabee (violin, viola, vocals) – Sarah Belle Reid (trumpet) – Andrew Tholl (violin) – Tashi Wada (synth, bagpipes).
Tracklist:
- Turn the Light On
- Whether
- Chaitius
- Voce Simul
- Everyday Is an Emergency
- Another Dream
- I Shall Love 2
- Underneath the Moon
- Colligere
- In Gardens’ Muteness
- I Would Rather See
- Les Jeux to You
- Words I Heard
- I Shall Love 1
- Why Sad Song
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