Tornano dopo ben tre anni dall’uscita dell’EP Serpenti. Il ritorno è sorprendentemente in lingua napoletana, spalancando quella porta mai chiusa alla lingua madre, non è mai stata un caso la presenza di almeno un brano in napoletano nei loro lavori precedenti. Tante collaborazioni importanti, da Roy Paci a Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours, hanno caratterizzato Enea con il brillante risultato di aver arrichito ulteriormente di sfurmature il suono degli EPO, da sempre con uno sguardo fuori dai confini italici. Degne di nota quelle chitarre oniriche di matrice post-rock ammaestrate con passione da Michele De Finis, che abbiamo incontrato per farci raccontare un disco speciale da augurarvi di scegliere.
Una lunga gestazione per questo nuovo disco, dopo una campagna crowfunding trionfale… in un mondo discografico basato sul singolo e sul contatore di contatti e visualizzazioni come si giustifica tale scelta?
E’ stata una scelta in cui siamo quasi “inciampati” ma che è stata in qualche modo importante per entrare in contatto con tante realtà di cui sapevamo poco. Una scelta che ci ha rivelato in modo nuovo l’affetto delle persone che ci seguono, che non ci aspettavamo essere così tante e così fiduciose da investire in advance in un progetto di cui anche noi avevamo idea solo in parte all’epoca. E poi è stata un’occasione per capire di più anche del nostro modo di comunicare – affrontare una campagna di crowdfunding significa trovare strade sempre nuove per tenersi in contatto con la fanbase e aggiornarla quotidianamente sui progressi del progetto in cui si investe assieme, realizzare questo intento è stato un ottimo strumento per capire come abbiamo voglia di mostrarci e porci, senza alcun filtro, in quel pendolo che oscilla tra demenzialità e introspezione che per me rappresenta gli EPO.
Enea è il titolo di questa vostro ultimo album. La scelta di questo titolo è sicuramente legata al viaggio di studi discografici ed anche all’amore per Massimo Troisi, citando il film Credevo che fosse amore ed invece era un calesse… Me ne parli?
L’intuizione viene dal romano della squadra, Gabriele Lazzarotti. Cercavamo un nome che riassumesse l’idea del viaggio sia “fisico” – quello intrapreso dal disco nei vari studi d’Italia (Posada Negro/ Studio Verde/ T2 / Soundinside) di cui è stato ospite – che “mentale” – quello dei protagonisti dei testi, quello dei musicisti che l’hanno suonato interamente dal vivo spesso improvvisando su canovacci fissati solo in parte, ma che avesse anche una connotazione ironica –per la questione dell’ambivalenza di cui sopra. Ed ecco che è venuto fuori “Enea”, per il riferimento a Troisi che tu stesso hai colto.
Enea racconta l’approdo ad una nuova vita, attraversando i ricordi del passato, le macerie che ci lasciamo dietro e le fatiche di ogni giorno. Possiamo definire questo disco un’epica dei sentimenti dell’uomo moderno, da ‘A primma vota a Malammore?
Posso sicuramente dirti che c’è tanto del vissuto di Ciro, e che come sempre, per qualche “magia” la verità di una persona parla ad altre persone, come quando ci commuoviamo di una foto di qualcun altro, diciamo. O almeno per me è sempre stato così. A rendere sicuramente più “collettivo” il messaggio contribuisce anche un nuovo tema testuale: suggestioni “tradizionali”, appartenenti al Napoletano antico, all’immaginario della Canzone Napoletana del passato.
Nei vostri dischi precedenti c’è sempre stato almeno un brano in lingua napoletana. Quella porta sempre aperta con Enea è stata completamente attraversata. Cosa ha dato il coraggio di attraversarla e come poi si è rivelata una scelta sperimentale incredibile e vincente?
E’ stata un’idea dell’altro “romano” della squadra: il produttore Daniele “ilmafio” Tortora, che sentiva in Ciro come cantante in lingua una marcia in più, che a suo dire “costringeva” anche la band a suonare in modo diverso. Ciro ha dovuto quindi misurarsi con la scrittura in lingua in un modo nuovo, pensando alla voce come ad uno strumento aggiuntivo, e così pure è stato per la parte musicale, che in modo naturale ha messo sul tavolo tutti gli ingredienti, tutte le influenze e le personalità della band creando un suono che io sono contento di definire “personale” e che leggo spesso accostato al lusinghiero aggettivo “internazionale”
Raccontami dei preziosi contributi che hanno fornito le collaborazioni con Rodrigo D’Erasmo e Roy Paci?
Anche questa è una bella “favola moderna” in cui improbabilmente musicisti di caratura Nazionale colpiti semplicemente dal sound del disco hanno proposto il loro contributo senza alcun tipo di divismo, semplicemente contenti di impreziosire Enea delle loro idee. Roy ci ha ospitati nei suoi Posada Negro a Lecce per le prime sessioni del disco, ed è una persona di grande umanità e curiosità musicale, come è tipico dei top player. Di Rodrigo cosa aggiungere? Un fuoriclasse con e senza strumento in mano.
Il suono è qualcosa di molto particolare. Ci sono delle parti di chitarra che è difficile sentire in un disco di cantautorato italiano, sono pienamente di atmosfera post-rock (per intenderci nella direzione di certi gruppi come Sigur Rós e Mogwai) e sono simbiotiche al mood dei brani. Quanto è stato importante il lavoro di produzione artistica?
Fondamentale. C’è stato il suonare dal vivo in studio, c’è stato il ragionare a bocce ferme. Le suggestioni di “ilmafio”, mai invasive, mai neanche troppo delineate, che ti costringono a “cercare”. Le dritte di Roy. Le lunghe pause tra le sessioni e i continui ragionamenti sulle canzoni. Sulle chitarre, ma in generale su tutti gli strumenti, c’è stato un lavoro di “sottrazione”, nel tentativo di “lasciare solo le note giuste” su disco. Il tutto è stato poi funzionale all’aggiunta successiva delle orchestrazioni.
Ci sono molti registi napoletani in ascesa in questi ultimi anni, il vostro disco sarebbe perfetto come colonna sonora per qualsiasi ambientazione. All’epoca il sodalizio Pino Daniele e Massimo Troisi ha portato fortuna ad entrambi. A Napoli oggi sono possibili tali sinergie?
Superato il complesso di guardare “ognuno il proprio cortiletto”, che è una cosa tutto sommato anche fisiologica quando si è in difficoltà, io credo che le sinergie siano possibili e necessarie ovunque in arte. E questo disco me lo ha ampiamente insegnato: l’interplay, lo scambio di energie è tutto.
Cinque nomi di cantautori italiani ed internazionali che hanno in qualche modo ispirato questo disco…
Mamma mia… c’è tanta roba davvero, penso a Bill Withers come ai Low, a certo new soul e hip hop americano di questi ultimi anni come a Pino Daniele… sarebbe davvero impossibile menzionare tutte le cose che abbiamo ascoltato durante la genesi di Enea, ma è davvero tanta musica diversissima.
Approfondiamo la copertina del disco… un po’ floydiana e non figlia del caso…
“Mery’s shell” è un’ installazione in una landa Inglese; stilizzazione di una barca, una conchiglia, è lasciata in balia della consunzione dei flutti. Ci è sembrata da subito perfetta per Enea e la sua “scoperta” e realizzazione è completamente merito del lavoro di Patrizio Squeglia.