“Ho 74 anni ma ho ancora tanta forza. Spero di vivere almeno altri dieci anni perché ho ancora dentro di me un bagaglio nascosto di composizioni da mettere fuori, tanta musica da fare” (James Senese). Torna finalmente a suonare nella sua città, James Senese, assieme all’ultima incarnazione dei Napoli Centrale, dopo il lunghissimo tour seguito al successo dell’album ‘O Sanghe (2016), di cui ci siamo occupati raccontando il doppio CD live Aspettanno ‘o tiempo, ed è un ritorno senza retorica, senza sentimentalismi vuoti, una dichiarazione d’amore muta, affidata soltanto alla sua musica asciutta, schietta e diretta. Lo abbiamo scritto e lo ribadiamo con forza: James è Napoli, uno che puoi incontrare per strada, che vive il suo quartiere con longeva fedeltà, legato al vissuto e ai piccoli e grandi drammi del quotidiano, raccontati senza peli sulla lingua e con accorata passione. Per questo si rivolge poco al pubblico, per un’intimità che non necessità spiegazioni. Quasi non parla, se non con gesti usuali rivolti alla sua band, ora impalpabili, ora plateali, per chiamare una chiusura, imprimere accenti e cambi di tempo, a volte accennando appena il titolo del prossimo brano, come per Bon voyage, dall’ultimo album. Fa una significativa eccezione raccontando di una visione, dapprima spaventosa ma poi rivelatasi la felice apparizione di Pino Daniele, Pinotto, come lo chiamava il sassofonista, che ridente gli chiede ‘o Je’ cantame Chi tene ‘o mare. E lui ce la canta commosso, con quel timbro napoletano di voce, asciutto e lacrimevole, quel sassofono drammatico e lucente, essenziale e corposo come quello di Gato Barbieri. Un’emozione che vibra languida Dint’ ‘o core ed emerge gioiosa nella malinconica scoperta che oggi È ‘na bella jurnata. E allora ci si può anche rilassare e giocare con Go Away, che rimescola l’ossessivo ritmo danzereccio e il fraseggio suadente di Love Supreme fino all’invocazione corale ‘nun pò jì semp’ accussì, nun pò chiovere pe’ sempe‘, che si perde tra le note soffuse e fumose del sax. Immancabile l’urlo di Campagna, che dal 1975 risuona come una delle più brutali e nette denunce dello sfruttamento dei lavoratori, non solo dei braccianti agricoli, e come uno dei più incisivi, tesi e dinamici standard jazz rock di sempre. Ecce Homo da Zitte! Sta arrivanne ‘o mammone (2001) si muove come il sangue denso di una vecchia ferita, con la voce parlata che rivela l’età avanzata di James nel tono quasi biascicato e colloquiale, salvo aprirsi, come sulle note gridate di So’ vivo, in improvvisi e potenti acuti che dal ritornello portano al solo, doloroso quanto la nota volutamente dissonante che chiude il brano come una drammatica frattura. Prima del concerto James ha dichiarato il suo “bisogno di tornare alla fonte del sound e del feeling dei Napoli Centrale degli esordi, […] una band che in Italia non esisteva e che proponesse tutta la musica che amavamo, molta della quale proveniente dagli Stati Uniti, e che si ispirava alle rivoluzioni stilistiche e culturali di Miles Davis e John Coltrane“. Così ritroviamo sul palco il groove del bassista Rino Calabritto, che macina ritmo con solida precisione assieme all’energia esplosiva del batterista Fredy Malfi, attivo negli album Paisà (2007), È fernut’ ‘o tiempo (2012) e ‘O sanghe (2016), capace di assoli tonanti, come quello che chiude la calda sensualità sudamericana di Manama da Passpartù (2003), ma anche di colpi secchi che segnano come una deflagrazione l’attacco di un brano o un cambio di tempo. Più defilata la posizione di Marco Di Domenico che completa il quartetto alle tastiere lavorando soprattutto su colori e atmosfere dei brani, che acquisiscono così una veste diversa da quella indossata nelle prime tappe del tour quando i tasti neri e bianchi erano affidati alle mani di Ernesto Vitolo. Vecchi nuovi collaboratori coi quali Senese dimostra intesa perfetta, come nei frequenti, schizofrenici cambi di ritmo e registro di Simme jute e simme venute, in cui collidono escursioni free jazz, feste di piazza tradizionali e urla da mercato rionale, messe in scena con divertita teatralità da James e Fredy, in una celebrazione festosa di Napoli e della musica. Grazie James!
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