Linguaggi universali, come chiavi dorate che aprono porte trasparenti, e convertono la distanza in un soffio, in un sorriso, in un fiocco di neve, in un caldo abbraccio sperato forse… la musica sa esserlo, meglio di qualsiasi idioma, di qualsiasi convenzione. Annullare le distanze. Ma non solo quelle fisiche che ci separano dall’altro, ma anche e soprattutto ideologiche, di pensiero, di tradizione… riscoprirsi banalmente e nuovamente parte del solito unico disegno, riscoprirsi come battiti irregolari sotto lo stesso cielo infinito. E riscoprire così ogni fondamentalismo, ogni barriera culturale dissolversi di colpo di fronte all’umile e a volte fin troppo semplice evidenza della verità. Ascolto Manca solo la neve, EP d’esordio datato 2006 dei casertani Il Cielo di Bagdad, ed ho un’improvvisa voglia di star zitto, di non dire niente. Una voglia di non essere niente. Le parole fanno male, la verità è molto più semplice di tante parole e la semplicità è come un gigante di zucchero filato che si scioglie di fronte alla stupidità. Un pupazzo di neve. Il freddo paesaggio là fuori a sfocarsi mentre sto viaggiando. Quella ragazza che avrei voglia di accarezzare. Il calore di un raggio di sole in una mattina di dicembre. Un sorriso appena abbozzato da quell’uomo al semaforo, il giorno di Natale e le mie solite domande affogate nel silenzio, in questo silenzio, su cosa varrà per lui un sorriso, un Natale… di quanto varrà per lui un silenzio. Di quanto freddo fa anche per lui. Il linguaggio proposto da questo giovane trio, le cui coordinate artistiche potremmo collocarle a ridosso di un post rock strumentale melodico, minimale, ambientale e vellutato, discendente dei Mogway e parente dei Sigur Rós quanto degli Explosions in the Sky meno burrascosi, emozionale e impressionista, è un linguaggio fatto di flashback e visioni dolci, che invita alla riflessione e lo fa con una pacatezza invidiabile. Sette brani sospesi nello spazio e nel tempo, dal grande potere evocativo che sanno farsi inno universale di purezza e sanno ergersi eterei al di sopra del senso comune, quasi a rimarcare quanto a volte la società che abbiamo creato sia insulsa e banale. Brani che giocano con morbidezze tattili e atmosfere soffici e dilatate (Laura e il suo gatto,Tre (tre ragioni evidenti)), che sembrano essere colonna sonora di un ritratto dai colori tenui, sfocato da gocce di pioggia (Apice). L’ottima Today is a new day, trapuntata da un soffice tintinnare di sinth, è una melodia reiterata fatta di luce e polvere, un sogno che continua anche dopo svegli riversandosi in strada, mentre Come Piume è l’ennesimo quadretto di purezza e semplicità, forte di un arpeggio di piano che introduce cori angelici a cadere magicamente dall’alto. Il post rock de Il cielo di Bagdad è l’evidenza della semplicità, l’esigenza consapevole di essere anche fuori quello che siamo dentro, un segnale che nasce nel privato per immaginarsi proiettato nel pubblico, un sorriso nella consapevolezza che lì “fuori” c’è anche dolore, morte e disperazione e che ancora la distanza che ci separa è tanta. Nascosto sotto il manto nevoso a vibrare in profondità, Il Cielo di Bagdad si mostra, con questa raffinata autoproduzione (con una bellissima confezione cartonata in digipack), come una delle promesse più ispirate del post rock italiano e noi, soprattutto visto il periodo, non possiamo che consigliarvelo nella lista dei regali.
Credits
Label: autoproduzione – 2006
Line-up: Giovanni Costanzo (piano, sinth, macchine, voce) – Nicola Mottola (chitarre, macchine, basso) – Luca Buscema (batteria, drum machine)
Tracklist:
- Valentine part 1
- Laura e il suo gatto
- Apice
- Tre (treragionievidenti)
- Today is a new day
- Come piume
- Valentine part 2
Links:Sito Ufficiale,MySpace
Piccolo poeta che tocca la musica con le dita…
Hey…è grave! Questo gruppo mi è sfuggito! Devo rimediare…per di più sono conterranei!