Un album strumentale pieno di umana presenza. Con queste parole Thor De Force (pseudonimo di Thor Madsen, danese ma nato Chicago nel 1968), presenta il suo ultimo lavoro The build, registrato a Copenhagen tra dicembre 2018 e gennaio 2020. Per anni il progressive è sembrato quasi un nemico da combattere, sinonimo di dinosauri o di tronfio classicismo, sterile tecnicismo da sconfiggere con l’urgenza del punk, l’irruenza del rock. È dunque interessante osservare, ma soprattutto ascoltare, il recupero di certe forme e sonorità nell’ambito colto del jazz, rinnovando gli esperimenti jazz-rock degli anni ’70, senza scadere nella fusion deteriore del decennio successivo, mettendo a fuoco la ricerca sul concetto di contaminazione. In quest’ambito il disco di Thor si fa notare per l’eclettica varietà di composizioni che mettono in luce la sua lunga esperienza di session man e la militanza in formazioni agli antipodi come il Jazz Explorer Trio e il collettivo hip-hop The Real Live. Lo dimostra sin da subito la drum-machine sconquassata di Machinuk, sostegno sincopato e rotto del tremulo assolo di tastiera retrò, da vecchio film di fantascienza. Ma un fraseggio più rilassato, non troppo distante dall’ultimo Jeff Parker, s’incammina lungo la lieve discesa di 62 Avenue C, con i suoi accenti, le sue fermate, i suoi incontri inattesi. Alla fine della strada ci accoglie il sotterraneo cyberpunk Majestic Spectacle, dove ballare con stile robotico, immersi in rarefatte e gelide aule in cui aleggia il ricordo del Richard Wright di Wish you were here. Ma il loop hip-hop di Undo I rimescola le carte in un beat circolare, percorso da piovigginosi fraseggi e aperto da fiati ispirati alle grandi orchestre dell’epopea funky. Essence omnipresence sviluppa un tema arioso che potrebbe essere di Santana, anche grazie alla versatile e sanguigna chitarra di Madsen, che raddoppia l’incisività dei suoi interventi trasponendo al sintetizzatore le parti eseguite alla sei corde. Una malinconia all’imbrunire che lascia il campo al sorgere romantico di New stella, gustosa traccia che inscena un groove funky che non dispiacerebbe ai Nu Guinea, con un ritmo guizzante e sempre vario retto dal drumming di Abdullah S, sul quale Madsen si destreggia tra scivolosi wurlitzer e graffianti chitarre. Le percussioni afro movimentano il fraseggio andante e quasi swing di Fifht Heaven, mentre Rug that ties the room traspone in un allucinante sottobosco elettronico il basso acido di Head hunters di Herbie Hancock. Con Inner game la chitarra entra in un club sofisticato accompagnata dal trombone fumoso di Liss Wessberg, mentre il prog di riff complessi e traiettorie sghembe si affaccia inquietante nelle distorsioni di Out of itself, soffiate via dall’unico e rarefatto inserto corale dell’album, per la voce di Benjamin Kissi, riprendendo ogni volta terreno spegnendo scie di pad luminosi. Il funky afro americano guadagna ancora la ribalta in Blue bear, con divagazioni minimaliste che a tratti richiamano Fela Kuti e un attimo dopo s’involano verso classiche partiture di piano mitteleuropee. Perché in definitiva lo sviluppo armonico e melodico prevale nella visione di Thor che chiude l’album con la progressione avvolgente di Spiral knowledge, con un fare cinematico che ben supporterebbe la tensione crescente di un thriller di Hitchcock.
Credits
Label: Ropeadope – 2020
Line-up:
Thor Madsen (Guitar, Bass, Synths, Grand Piano, Wurlitzer, Celeste, Pump Organ, Percussion, Programming) – Abdullah S (Drums) – Mads Michelsen (Steel Pan, Congas, Bongos, Shakers) – Stunn Gunn (Drums) – Liss Wesberg (Trombone) – Benjamin Kissi (Vocal) – Boe Larsen (Grand Piano)
Tracklist:
- Machinuck
- 62 Avenue C
- Majestic Spectacle
- Undo I
- Essence Omnipresence
- New Stella
- Fifth Heaven
- Rug That Ties The Room
- Inner Game
- Out Of Itself
- Blue Bear
- Spiral Knowledge
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