La pubblicazione di questi E&F sides ci consente di parlare del pluri acclamato Universal Beings, uscito due anni fa in doppio vinile, per i tipi dell’International Anthem, etichetta leader della scena nu-jazz. L’autore è Makaya McCraven, batterista figlio d’arte (il padre Steve ha messo le sue bacchette al servizio di jazzisti del calibro di Archie Shepp, Marion Brown, Benny Golson e Yusef Lateef), nato a Parigi ma di stanza a Chicago, che intende la musica come espressione di sé, rito collettivo e ricerca filosofica allo stesso tempo. La sua musica è infatti un mantra ipnotico, un flusso libero di coscienza. Un loop biologico che scardina la ripetizione meccanica della composizione digitale, reinterpretando dal vivo stilemi, pattern e atmosfere tratte da rap, jungle, trance hip-hop, lounge, downtempo, chill out e tutta la selva di sottogeneri del grande mondo dell’elettronica, che una volta estrapolati dall’originario contesto virtuale rivelano una natura assolutamente umana e un’energia primordiale che si ricollega all’esplosione rabbiosa del free jazz. Per questo il primo volume, per così dire, di Universal Beings era diviso in quattro parti, o quattro facciate di vinile, ciascuna registrata dal vivo in altrettante città (New York, Chicago, Londra e Los Angeles) e ciascuna con un ensemble allestito per l’occasione con musicisti del luogo, componendo un cast stellare. Non è casuale la scelta del live, bensì una dichiarazione programmatica, essendo le composizioni completamente basate sull’improvvisazione e sull’istinto dei partecipanti alle session. Questi lati E ed F non sono dunque da intendersi come bonus-tracks per collezionisti ma parti integranti dell’iniziale progetto, accantonate solo per ragioni di spazio e registrate nelle medesime session perseguendo una estenuante ricerca delle origini del suono, come ha spiegato lo stesso Makaya: “da dove arrivano certi suoni? Qual è la loro storia? Quali sono i più antichi? Dove li hanno imparati? Come viaggiano tra le città stili e forme, proprio come le tradizioni orali?“. Così anche se in queste tracce non ascolterete Alan Lomax e la sua ricerca da audiofilo antropologo, arriverete a quella stessa essenza primigenia delle culture primitive. Ne sia esempio la possente poliritmia di Mak Attack, in cui le reminiscenze africane si fondono con le nevrosi urbane in una performance bruciante, di forza brutale e arcaica. Frutto della doppia session londinese da cui provengono pure Half Steppin’, che macina ritmo sotto il vortice del sax disorientante di Soweto Kinch e le tastiere scivolose e distopiche di Kamaal Williams, e The Hunt, che ritrae una tranquilla serata in un club con divani di velluto in cui il beat dal naturale riverbero di McCraven si illumina con le tenui luci del rhodes di Ashley Henry, e The Way Home posta a chiusura dell’album col suo gusto per la divagazione hard-bop che anima il sax di Soweto kinch in aperto scontro con la ritmica spezzettata di Makaya, che mette a dura prova le pelli dei timpani. Tutta newyorkese è invece l’atmosfera di Everybody Cool, una scala di Escher costruita dal vibrafono di Joel Ross dalla quale spuntano come fiori le note sgocciolate dell’arpa di Brandee Younger. Dalla stessa esibizione Beat Science vola sulla tensione fantascientifica del double bass di Dezron Douglas condita dal sapore retrò di vecchi alambicchi, ampolle e pipette; mentre Her name sotto i colpi decisi del contrabasso tesse un intreccio di arpa e vibrafono dal sapore mistico che rievoca le ricerche di Alice Coltrane. Dadada con le sue trame patafisiche mette in scena l’ensemble più complesso, il ronzio del sax ossessivo e quasi fastidioso di Josh Johnson, il violino sfuggente di Miguel Atwood-Ferguson, la chitarra in loop contorto di Jeff Parker, il double bass corposo di Anna Butterss e le percussioni esotiche di Carlos Niño. Un ensemble complesso, riunitosi addirittura in casa di Jeff Parker, che in Universal Beings pt 2 si lancia in un groove rumoristico come il suono di una savana brulicante di vita, forzando appena il ritmo in Butterss Fly, che sovrappone i loop organici prodotti dal vivo da ciascun strumentista come nella migliore stagione del free, da Ornette Coleman ad Albert Ayler. Dalla session al Co-Prosperity Sphere di Bridgeport, Chicago, giunge un poker di brani calati sul tavolo da gioco in sequenza: Isms è un dialogo serrato col contrabasso ostinato e largo di Junius Paul. Traveling Space, col violoncello scorticante di Tomeka Reid, la frenetica danza tribale Kings and Queens, retta dall’incessante lavorio di McCraven sulla sponda del rullante, sul quale s’inerpica il tenore di Shabaka Hutchings col suo groove afro beat, per chiudere infine con The Loneliness un soffio appena udibile che rievoca la scrittura ciclica di Nefertiti, composta da Wayne Shorter per il secondo quintetto storico di Miles Davis.
Credits
Label: International Anthem – 2020
Line-up: Nubya Garcia (tenor saxophone) – Ashley Henry (rhodes piano) – Daniel Casimir (double bass) – Brandee Younger (harp) – Joel Ross (vibraphone) – Dezron Douglas (double bass) – Makaya McCraven (drums) – Shabaka Hutchings (tenor saxophone) – Tomeka Reid (cello) – Junius Paul (double bass, percussion) – Josh Johnson (alto saxophone) – Miguel Atwood-Ferguson (violin) – Jeff Parker (guitar) – Anna Butterss (double bass) – Carlos Niño (percussion) – Soweto Kinch (saxophone) – Kamaal Williams (keys)
Tracklist:
- Everybody Cool
- Half Steppin’
- Mak Attack
- The Hunt
- Beat Science
- Dadada
- Isms
- Traveling Space
- Kings and Queens
- The Loneliness
- Her Name
- Universal Beings pt 2
- Butterss Fly
- The Way Home
Link: Sito Ufficiale
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