31salvitutti è il motto che veniva urlato mettendo felicemente fine al gioco del nascondino, quando vincendo sul cercatore l’ultimo bambino nascosto salvava tutti gli altri giocatori. Una canzone dedicata all’infanzia, oggi oltremodo penalizzata dalla pandemia, ma anche titolo di un disco che riconosce e celebra il valore salvifico della musica e dello stare insieme. Per questo non poteva essere registrato che in presa diretta, come un live in studio, in cui le composizioni prendono vita grazie all’intesa e all’affiatamento dei musicisti, grazie appunto al loro stare insieme, condividendo stati d’animo, passioni, fraseggi e ritmi, sotto la guida sicura della voce di Flo, prima tra pari. Al suo quarto album la cantautrice trova in questo modo terreno fertile per la sua scrittura corporea, come ci ha raccontato in una recente intervista, rimescolando le carte col coraggio di cambiare rotta. Lo fa col suo consolidato quartetto, attivo dai live del precedente La Mentirosa e completato dalle chitarre pulite di Marcello Giannini, il basso versatile di Davide Costagliola e le percussioni vibranti di Michele Maione, mentre un contributo rilevante al sound del progetto viene dalla produzione del chitarrista francese Sebastien “Seb” Martel, qui presente anche come coautore e strumentista. Ecco perché nella titletrack si ritrova quel ritmo africano delle chitarre e delle percussioni, che è uno dei fili conduttori dell’album, e quel canto da cronaca di strada che insegue la foga sconnessa propria degli adolescenti, ma che vista con occhi adulti acquista una consapevolezza che diviene denuncia (“Se ai nastri di partenza se partesse tale e quale / l’ommo cu l’ommo, l’animale cu l’animale / nun se passasse maie troppo vicino a morte“) e la voce sale di pari passo, con quella sequenza di accordi che richiama, forse inconsapevolmente, la tensione dei Pink Floyd di Echoes. Introdotta da una chitarra del Mali, Oui oui sauvage è un gioco di sospensioni e attese, slanci e ripartenze che potrebbe reggersi anche solo sui cambi di registro e le sfumature della voce di Flo e invece si concede una significativa coda in cui il basso inquietante di un misfatto accompagna ossessivamente, tra i crepiti di chitarre sinistre come lampi di luce in un thriller di Brian De Palma, la notte sensuale di una donna che si offre al proprio amante, sussurrando in un francese seducente e irresistibile come un’incantesimo. L’indomani di Aurora boreale è un risveglio tra fumi di tequila, chitarra desertica, percussioni martellanti e una slide che discende dal tema del film Rain man. Poi, mentre le strofe si assestano sul basso stralunato da wave dark (segno della versatilità di Costagliola, che da solo finirebbe al suo amato Pastorius e qui lavora d’intesa col gruppo indovinando l’esatta frase da suonare), il ritornello si tinge di ska e sul finale diventa tammurriata, e la frenesia dei tarantolati rivive più nella voce vorticosa che nelle percussioni virtuose. Distesi sulla morbida sabbia di un tramonto tropicale, al ritmo blando di un malinconico calypso soffia leggero in suadente spagnolo il “tarareo de una mujer / que fue cantando tras el viento“. Parole scritte da Alessio Arena che ribaltano il finale della novella di Fernan Caballero ne La gaviota, infiammandosi al flamenco frantumato del ritornello che incita metaforicamente al volo con grintosi scioglilingua, cui fa eco il ritmato solo dinamico di Giannini. L’uomo normale è un lucido sguardo sulla quotidiana deriva del nostro Paese verso l’intolleranza. Caduta libera a volte inconsapevole, ma ugualmente colpevole, come cantava De André “anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti“. E infatti Flo mette alla berlina, anche se con canto confidenziale e naturalmente spontaneo, certi atteggiamenti e le vane giustifiche nascoste dietro un però (“Io non sono razzista però / Io non sono violento però / Io non sono fascista però“). Tratto dalla cronaca di questi tempi (“se lo giocano a dadi quest’altro barcone“), il brano si ispira chiaramente all’Africa ritmica di Fatoumata Diawara e Youssou n’dour, con chitarre pulite e accelerate che sobbalzano in gustosa jam, basso compatto e pulsante che ricorda la world degli Agricantus, percussioni etniche e vibranti con l’estro di Manu Katché. Ma al centro dell’album c’è Napoli, con una voce che sa essere popolanamente sgraziata, come raccontando controvoglia, sottovoce, una storia dolorosa: Accussì porta con sé quella carica verace tutta napoletana che scaturisce dal “tuppo niro” di Donna Cuncetta e dalla penombra dei vicoli sale al cielo con la silenziosa teatralità e la voce lirica di una Lina Sastri. Non è un caso che in un album che ha tanto d’Africa questo brano nasca dalla collaborazione con Claudio Gnut per la musica e che il testo veda come coautore una delle penne e delle voci più autorevoli del panorama partenopeo odierno, Alessio Sollo. Poi il dolore lascia il posto alla piacevole malinconia di Marte 27, con le sue chitarre circolari e voce appaciata e dolce che arriva morbida come una tenue risacca, ma con quei guizzi che talvolta sorprendono chi si rilassa sul bagnasciuga. Giusta pausa nel ricordo prima di calarsi di nuovo nel presente di Fai di me, il cui riff acido e cupo non dispiacerebbe a David Rhodes, il basso corposo a Tony Levin, e l’attacco dei pad a Peter Gabriel, la cui presenza seppur mai citata esplicitamente aleggia in tutto l’album, specie nelle percussioni ispirate dal suo OVO, apripista del millennio. E restando a Napoli non può essere che un’epoca variopinta e multietnica, come nella lunga storia della città; da qui trasmette l’immaginaria Radio Volkan pompando groove vitale verso il suo pubblico anarchico, e pare che da un momento all’altro Seun Kuti e la sua banda di scalmanati si uniscano al quartetto di Flo in una danza tribale che continui incessante fino a notte fonda. Notte che diventa scenario di una ballata alla Faber, Per guardarti meglio, che fa il verso alle favole in un racconto di disillusione e vane speranze (“il giorno non arriva / anche se l’aspetto“), con evocativi cori muti e finale calante e drammatico, significativo omaggio a Ilde Terracciano e a tutte le spose bambine. E allora culla quasi come una ninna nanna Miracolosa anarchica, con quella scrittura fluida e profonda come le armonie circolari e dolenti di Gnut, quella cadenza morbida delle corde pizzicate che risale a Daniele, come l’armonica appena sfiorata dalle labbra di Seb, che ci rivela trasognati che “viene dal mare / questa voglia di andare via“, contraddicendo quanto detto in Radio Volkan, perché in fondo il mare bagna Napoli, magari non sempre, non tutta, ma questa volta si, in quest’album, hic et nunc.
Credits
Label: Arealive srl – Believe Digital – 2020
Line-up: Flo (voce) – Davide Costagliola (basso) – Marcello Giannini (chitarra elettrica) – Michele Maione (batteria, percussioni, mandola) – Sebastian Martel (chitarra classica, chitarra elettrica, lap steel, cori, armonica)
Tracklist:
- 31salvitutti
- Oui oui sauvage
- Aurora boreale
- La gaviota
- L’uomo normale
- Accussì
- Marte 27
- Fai di me
- Radio Volkan
- Per guardarti meglio
- Miracolosa anarchica
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