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Attaccati al cordone ombelicale: Intervista ad Appino (Zen Circus)

Zen-Circus_ph-Magliocchetti-06Sono decenni che LostHighways segue la band toscana degli Zen Circus ed abbiamo sempre fortemente voluto intervistare Andrea Appino, a questo giro più che mai perchè sicuri di poter capire meglio L’ultima casa accogliente, disco che è arrivato come un treno ad alta velocità, investendoci emotivamente e portandoci quel conforto di cui necessitavamo in questo periodo pandemico. Andrea ha svelato tutta la retrospettiva psicoanalitica che c’è dietro. Il corpo è casualmente il concept dell’album. La scrittura di Andrea è maturata a livelli altissimi, perchè senza filtri, figlia di un vivere senza pelle alla ricerca di un’accettazione di se stesso. Abbiamo anche parlato del suono Zen degli ultimi tre dischi in equilibrio perfetto tra radici folk -punk, cantautorato italiano anni settanta e la nuova scena rock alternativa americana. E’ stato uno scambio aperto e ricco di spunti di riflessione che conferma il grande spessore artistico ed emozionale che c’è dietro le canzoni degli Zen Circus e tutto il loro mondo, di cui LostHighways si sente intimamente parte.

Come state vivendo l’uscita del L’Ultima casa accogliente? Siete balzati subito nella top ten della classifica FIMI…
In realtà occupare posizioni nella top ten è diventata quasi una consuetudine per gli Zen da quattro album a questa parte… Come è?! Bellissimo, anche se in casa, ma strano, stranissimo. La prima settimana per fare un po’ di cose promozionali abbiamo dovuto sottostare a tanta burocrazia e tamponi vari, sembrava di stare nel film Non ci resta che piangere di Troisi e Benigni! Comunque queste dinamiche non ci hanno permesso di incontrare le emozioni negli occhi delle persone, che per noi è fondamentale. Dall’altra parte lo stare a casa ci ha fatto sfruttare nel bene questo strumento assurdo che è Internet, questo coltello con cui ci puoi tagliare il pane o cuocere il soffritto, ma anche uccidere qualcuno. Dalla rete siamo stati sommersi da una sarabanda di affetto, di testimonianze di importanza che le canzoni dell’album stanno assumendo per le persone in questo particolare  momento. Uscire con un disco senza essere a contatto diretto, fisico con le reazioni emozionali delle persone, senza un tour è molto anomalo e straniante, ma porca miseriaccia… ci sarà questo maledetto tour… questa è una minaccia! Ad ogni modo, ci sono stati momenti di grande intensità, sapere che le tue canzoni hanno aiutato delle persone bloccate in serie difficoltà ci ha commosso non poco. Quindi sto ancora metabolizzando, non ci ho capito niente ancora io.

“IL vostro corpo non è altro che il vostro pensiero, una forma del vostro pensiero, visibile, concreta. Spezzate le catene che imprigionano il pensiero, e anche il vostro corpo sarà libero”,  da Il gabbiano di Jonathan Livingston” (R. Bach).
“Ciò che resta originario nell’operaio è ciò che non è verbale: per esempio la sua fisicità, la sua voce, il suo corpo. Il corpo: ecco una terra non ancora colonizzata dal potere” da Il lavoro (P. Pasolini).
Possiamo dire che questo disco gira intorno al concept del nostro corpo (anche la copertina lo indica esplicitamente) che può essere considerato da un lato “l’ultima casa accogliente” ma anche una navicella spaziale per volare al di là del tempo e dello spazio? 
Sì, confermo tutto quello che hai detto. Non conosco alcun modo che il nostro corpo per rappresentare la nostra esistenza come navicella sgangherata. In realtà il corpo non è libero, nasciamo attaccati al cordone ombelicale, come diciamo in Catrame, quindi è anche gabbia, lo percepiamo nettamente in questi giorni delicati. L’esistenza stessa, qui finiamo nell’esistenzialismo puro, è libertà a metà: finchè saremo legati al nostro corpo la mente gli sarà vincolata, a meno chè un giorno non ci inventiamo qualche cosa alla Black Mirror che ci faccia vivere al di fuori del corpo. Il concept del corpo non l’abbiamo neanche troppo cercato come sempre accade nei nostri dischi, ci siamo solo accorti che tutte le canzoni avevano un tratto distintivo forse dettato dal momento in cui sono state scritte, niente di premeditato. In questi ultimi due anni tutto nasce dal fatto che intorno a noi molti corpi si sono ammalati, molti corpi sono venuti a mancare, molti corpi sono guariti, il mio corpo cambia, cose che erano normali fino all’altro ieri ora non sono più le stesse… un po’ come con il computer, ogni tanto devi aggiornare il sistema per ricordarti chi sei. Le canzoni sono nate tutte insieme, quindi sono strettamente legate dalla stessa visione.

Queste canzoni sono diventate di un’attualità disarmante nel corso del 2020… dove il corpo è diventato centrale.
Infatti è stato tutto casuale, nulla di pensato a tavolino. Soltanto Come se provassi amore è stata scritta nel periodo della quarantena, il resto delle canzoni sono state scritte tutte molto prima. Siamo felici e spiazzati dal fatto che il disco sia stato ed è di aiuto e conforto a molte persone in questo periodo di lockdown. I commenti che abbiamo ricevuto dai social sono stati davvero tantissimi e ci hanno restituito quello scambio emozionale di cui ti dicevo prima. E’ successo quindi qualcosa di veramente forte, una connessione empatica sebbene a distanza.

Trovo che in questo disco la tua scrittura abbia raggiunto una maturità importante, che è andata crescendo negli anni, un mix nutrito dal passato, dalla tradizione cantautorale italiana, ma capace di narrare sentimenti ed emozioni in maniera moderna senza strizzare l’occhio al manierismo mainstream…
Ti ringrazio di questa analisi ma spero che questo non sia il nostro punto di maturità estrema… perchè dopo si marcisce!

E’ un disco che si merita un grosso riscontro di pubblico live, non ci sono stasi dettate dal Covid che tengano, perchè questo è un disco che resta, che non si spegne nella classica finestra promozionale.
Sì, anche perchè il nostro pubblico ci assapora con il tempo. Chi ci segue ci mette tempo nel “sentire” le nostre canzoni perchè la nostra musica va metabolizzata, anche da noi stessi. Abbiamo un gran bisogno di guardarci allo specchio.

Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sè di A. Miller è il libro dietro Come se provassi amore. Quanto la nostra infanzia ci condiziona nella vita da adulti? Questa domanda chiama in causa il tema centrale della canzone.
Non è il tema centrale della canzone, ma di tutta la mia vita. Quanto condiziona? Tantissimo, troppo! A seconda di quanto si è lavorato su se stessi, si scopre la mole di presente proveniente da quel momento della vita… e poi c’è la questione naturale, come si dice in Catrame, c’è il famoso cordone ombelicale. Anche lavorare su se stessi non ti fa abbattere il limite della famiglia. Inoltre il concetto di famiglia può essere anche più allargato, nel mio caso gli Zen sono visti dal mio analista anch’essi come famiglia. La trilaterazione padre-madre-società nel periodo di formazione dell’individuo incide parecchio, penso che sia giusto narrarla all’interno del mondo che ci circonda. La finestra verso il paese Italia l’abbiamo approfondita parecchio nei dischi precedenti, mentre in questo disco il periodo è stato propizio per approcciare la tematica più da un punto di vista personale ed esistenziale, ma ti ripeto: senza premeditazione alcuna. Questo non significa che ci siamo allontanati da un certo approccio rivoluzionario verso la società, perché la prima rivoluzione la devi fare in te stesso. In realtà possiamo dire che gli Zen hanno fatto un percorso all’inverso: siamo partiti guardandoci intorno, pensa ad Andate tutti affanculo dove volevamo mandare affanculo tutti (per poi mandare soprattutto noi stessi), a quel tempo la finestra Italia comprendeva dall’alto tutto lo Stivale poi in Canzoni contro la natura e ne La terza guerra mondiale abbiamo sempre più ristretto questo zoom verso una visione interiorizzata della società fino a restringere ancora fino al nostro cervello negli ultimi due dischi. Quindi non è che abbiamo perso la vena di critica sociale ma abbiamo solo spostato il mirino su me stesso e sugli Zen stessi. Dopo undici dischi può capitare di concentrarsi su tematiche diverse, come la crescita personale e la ricerca del vero sè, e il libro che citi è stato campale. Bada bene, qui non stiamo parlando di recidere il cordone ombelicale ma di accettare una parte di noi stessi… come ho detto in una canzone del mio disco solista lo stronzo che sei a trent’anni l’hai scelto da te ed a quarant’anni quello stronzo che sei lo sei ancora di più per quello che hai scelto di essere…

“Non” è la mia canzone preferita… non penso sia solo la mia! Me ne parli?
Siamo in due! E’ nata grazie al mio quadernino di crescita che mi è stato dato da scrivere durante un lungo periodo di lavoro sulla mia testa dura e che continua a procedere ancora oggi. Di solito, quando ho un quadernino ci scrivo sopra canzoni o ci faccio carte! In un periodo di crisi forte, nel descriverlo per il mio strizzacervelli, mi sono accorto di aver scritto tante frasi liriche sempre in questa forma negata “non… non” e così poi le ho prese queste frasi e le ho montate in una canzone. Poi viene da un’altra mia esperienza assurda, dove per 24 ore ho convissuto come me stesso bambino accanto, per una giornata intera ho avuto una mia crisi in cui ero altro-parlando, ho avuto questa discussione con me stesso bambino… è una cosa molto commovente ma anche molto drammatica. In qualche modo quel bambino doveva morire, parla della sua ingerenza nel mio essere adulto. E’ una canzone nata di getto e come tutte quelle nate così ci sono più affezionato ma non è che non lo sia per le altre…ogni scarrafone è bello a mamma sua!

Mi piaceva approfondire questa figura della madre che ricorre in tutti i testi delle canzoni, quasi un flusso di coscienza legato al cordone ombelicale.
Sì, anche qui è tutto casuale ma sembra coerente con il concept del corpo. Non è la prima volta che accade nella storia degli Zen. Probabilmente il rapporto conflittuale amore-odio con mia madre  mi ha più delineato, insieme a quello con mio padre, ed è poi quello sui mi piace di più lavorare. Poi c’è anche una concezione  puramente filosofica, c’è Bianconi che ultimamente ha scritto Io vengo dalla fica e alla fica voglio ritornare.

Il famoso ritorno al grembo ctonio…
Esatto! Il rapporto con mia madre è quello più potente che ho e che spero e confido vivamente di chiudere dal punto di vista narrativo proprio con questo disco. La prima casa accogliente è stato il grembo materno e mi auspico di finire l’ultima casa accogliente che sarebbe il mio corpo e quello della persona che amo. Se Dio esiste me lo immagino femmina, non in senso sessuale…

In senso panteistico… la natura che ti abbraccia e tu sei sua parte…
Assolutamente sì! Alla fine ha detto tutto Bianconi con quella frase.

Per quanto concerne il sound, ci sono sempre ben forti le radici folk-punk, ma penso che da La Terza guerra mondiale in poi si nota questa scelta di puntare su più stratificazioni ed effetti di elettronica che in quest’ultimo disco ha portato ad un suono Zen identificativo che permette di essere rock ma allo stesso tempo cantautorale? Avete anche una vena pop ma non troppo, ci sono code strumentali che non ti aspetti.
Dici benissimo! In Canzoni contro la natura c’era il mondo di Andate tutti affanculo in mutazione, mentre ne La Terza guerra mondiale questa mutazione è avvenuta proprio perché in questi dischi abbiamo iniziato a produrre le canzoni da soli. Il nuovo sound è figlio di tanti ascolti, di tanta musica, in particolare musica elettronica ma tanto rock americano che ci è piaciuto. Alla fine si è arrivati a questo sound Zen che, ripeto, affonda nella tradizione della canzone italiana anni settanta ma anche nella recente scena del rock indipendente americano che come è cambiato in questi ultimi anni ci è piaciuto tantissimo… un nome per esempio è stato Kurt Veil and the Violators.

E gli Alabama Shake…
Bravo, tantissimo! Se pensi a Ciao sono Io, lì c’è molto di loro e chi ascolta quella scena, ci sgama sempre! Poi c’è tutta la nostra produzione che riusciamo a garantire facilmente come io che ho ora un mio studio casalingo ben calibrato che mi permette subito di buttare giù delle idee. Questo non significa che ci sentiamo arrivati dal punto di vista sonoro con questa trilogia di ultimi dischi, sicuramente si sta concludendo un percorso e non so il prossimo step quale sarà, certamente manterremo sempre la nostra identità anche se stiamo ascoltando molta musica elettronica. In questo disco qualcosa è già cambiato, ci siamo liberati dell’uso del trigger, quella batteria molto editata anni ottanta l’abbiamo convertita in una più anni settanta, c’è più aria… un suono molto meno compresso, c’è più dinamica… e questo è indice che c’è ancora una mutazione in atto che non sappiamo dove condurrà il suono degli Zen.

Potrebbe mai esserci un Netflix della musica? Secondo te funzionerebbe un’operazione del genere dove i concerti si vendono sul divano di casa?
Che ti devo dire? Io se non salgo su un palco, se non entro tot mesi in tour, devo ricominciare da zero con l’analista. E’ lì che si concretizza il nostro lavoro, ci devono essere il sudore, le urla, l’appiccicaticcio, quindi ti dovrei dire di no! Però di necessità si fa virtù, se il mondo della musica sta prendendo a quel posto la pandemia, nonostante l’anno scorso in estate su 880 mila presenze ai concerti hanno registrato solo un contagio, non sarò io ad oppormi a questi concerti in streaming che costa farli e quindi ci sarà bisogno di un biglietto simbolico. Quindi bene per una soluzione temporanea, se si dovesse prolungare questo incubo, ma una piattaforma streaming mai potrà sostituire il magico “puzzo” di un live. Io sono stato il primo contestatore dei live streaming durante il primo lockdown, ma ora perchè no? Poi dopo un anno ti dico… ma va affanculo, è anche giusto far compagnia alle persone, è una cosa carina che in questo periodo ci sta, però viviamola sempre come una sostituzione.

Come Se Provassi Amore – Video

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