Ci sono album dai quali è possibile aspettarsi qualcosa in più ad ogni ascolto. Scheletri di canzoni pelle che indovinano il colore dell’attimo e lo restituiscono all’ascolto in forma di bellezza capace di rigenerarsi al gusto del dettaglio, dello spiraglio. Bonjour my love è un album così, che non sosta mai più del necessario, che suggerisce scampoli di possibile, che non spreca nemmeno un grammo dei talenti da cui prende vita.
Gli anconetani El Cijo ci regalano sedici pezzi-spirale, ispirati, in cui le fragranze del jazz, del blues, del folk, del country, del rock si contaminano l’un l’altra, dei loro aromi corposi e delicatissimi, di lungimiranza, di un po’ di sogno.
Losthighways li incontra ed è un vero piacere scoprire con loro che la musica è ancora uno dei modi possibili per essere altro dalla rassegnazione, dal compromesso.
El Cijo è una costola del collettivo Postodellefragole. Dalla creazione di videoclip alla produzione di un album. Immagine e suono spesso si compenetrano, sono l’una lo spiraglio, il colore specifico dell’altra. Qual è, nel vostro caso, il comune denominatore fra l’esperienza filmica e quella musicale? Di che amore stiamo parlando?
Inizialmente Bonjour My Love era nato come prodotto del collettivo chiamato Postodellefragole Music Session. Abbiamo anche suonato un paio di concerti a nome Postodellefragole. Poi è venuto El Cijo: in definitiva cambia solo il nome, anche se da qui il progetto musicale ha iniziato a camminare con le proprie gambe, senza altri richiami. Oggi sono due cose ben distinte, tuttavia in continuo contatto tra loro; il Postodellefragole ha ovviamente curato la regia del video di Just a rebel song, primo singolo estratto da Bonjour My Love. Il nesso fra esperienza filmica e musicale? Stesso spirito, stessa fonte, ma canale e persone differenti. Probabilmente l’amore citato nella domanda sta nello spirito e nella fonte: canali e persone cambiano spesso.
Bonjour my love è un viaggio, ha in sé i colori e gli odori degli orizzonti che scorrono, di certe particolari distese, il senso del raggiungere, dell’oltrepassare, dell’aver proseguito. Bonjour my love è musica in viaggio, di contaminazioni e talenti che si confrontano. Ditemi di voi, di cosa ciascuno di voi ha portato con sé (influenze, studi, carriere, incontri, esperienze precedenti)…
Quando suoni, quando componi, credo sia imprescindibile e salutare riversare diversi ingredienti nella musica. Ingredienti recenti, di vita vissuta, di esperienze buone e brutte, di vaghi ricordi. Stringendo sulle influenze musicali, sono così varie per ognuno di noi che sarebbe impossibile riferirsi ad una serie di nomi o ad un genere ben definito. Bonjour My Love è nato in modo molto spontaneo e diretto: l’unico obiettivo chiaro era di raggiungere un livello di suoni ed arrangiamenti che ci soddisfacesse. Di sicuro risulteranno richiami inconsapevoli: ognuno di noi probabilmente se li porta dietro già da un po’.
Qual è il pezzo che meglio rappresenta, a vostro parere, l’identità dell’album? Non penso necessariamente ad un marchio, all’identificazione di un genere; piuttosto ad un’impronta, ad un segno distintivo…
L’album attraversa così tante sensazioni, ci sono pezzi diversissimi tra loro, e diverso è stato anche il nostro approccio alla composizione. Di getto direi Everything. Non rappresenta in pieno l’identità dell’album, non riesce a farlo, però è stato il primo pezzo che ci ha unito davvero. Un punto fermo. Durante il soundcheck ai concerti, alle prove, durante il missaggio dell’album: Everything rappresenta una quasi certezza e si merita questo riconoscimento.
L’America e i suoi perché, certi sogni, quelli d’oltreoceano per antonomasia. L’America e i suoi talenti, le illusioni, la rabbia, il futuribile. Inventarsi un’America in casa, dietro l’angolo, ad Ancona, magari. Evitare di fuggirci e r-esistere qui, dove la musica spesso è un lusso, compromesso, abitudine. Si tratta di incoscienza o di avere coscienza del sogno? Cosa non ha l’Italia che è possibile trovare altrove?
Coscientemente proseguiamo per la nostra strada. Presentare un album che suona all’americana, con i testi cantati in inglese, non è sicuramente una scelta commercialmente oculata per una buona promozione nel nostro paese. Quello che facciamo e che proponiamo viene effettivamente da una nostra scelta stilistica, dalla consapevolezza delle nostre capacità. Magari questo è cosciente. La musica spesso ci illude di fuggire lontano, mentre rimaniamo incollati allo stesso posto di sempre. Just A Rebel Song parla un po’ di questo: il ribelle da salotto. Che in parte richiama l’italiano che fa il verso all’americano, per intenderci. Suoniamo soltanto quello che ci riesce meglio suonare. In Italia. Cosa non ha l’Italia? La capacità di valorizzare in pieno le piccole realtà culturali underground che contraddistinguono le nostre province e campagne, ma in tutta onestà non sappiamo se altrove la situazione sia migliore. Riteniamo inutile e controproducente lamentarsi.
The guy of yellow grain è un pezzo di cui ci si può innamorare prepotentemente. Carezzevole, di una bellezza diafana, nudo, abbandonato. Parlatemi di lui, perla di contaminazione rock-jazz, del suo essere folk etereo, in perfetto equilibrio pop…
Fluidità. E’ questo il primo aggettivo che ci rimanda a The Guy, come la chiamiamo noi. E’ un pezzo morbido, semplice la melodia a due voci, sobria la chitarra che le accompagna nella prima parte del pezzo. Ed entra il contrabbasso. Il suo girare che si ripete. A seguire il clarinetto, il Rodhes che saltella qua e là, e ancora chitarre. E’ un pezzo molto libero, aperto, in cui puoi dire molto di te, esprimere molta coscienza, e condividerla con chi ascolta: questo lo rende particolare, quasi ipnotico.
L’uso delle voci in alcuni brani, per esempio in Every woman, in Uh uh uh uh o nella title track, è davvero particolare, quasi il cantato fosse una corda altra, pizzicata con maestria da un suonatore generoso ed irriverente. Si tratta di una precisa scelta stilistica?
Abbiamo sempre cercato di far entrare in pieno la voce di Simone nell’arrangiamento delle canzoni, come fosse un altro strumento. In realtà lo è: l’irriverenza serve poi a farla uscire ulteriormente, a far si che diventi caratteristica espressiva. Di sicuro c’è dietro una scelta consapevole.
È evidente una particolare familiarità con la lingua inglese. Si potrebbe arrivare ad ipotizzare che non siate veramente italiani tanta è la naturalezza delle cadenze, la disinvoltura nell’interpretazione, nella scrittura…
Siamo da sempre tutti insaziabili fruitori di musica straniera, dunque sappiamo bene come muoverci. Soprattutto Simone, ha davvero un’ottima capacità di utilizzare la lingua inglese. Sarebbe un’idea quella di non rivelare la nazionalità dei gruppi e dei loro componenti: non partiremmo tutti molto meno prevenuti? Dalla nostra abbiamo optato per l’inglese perché suonava musicalmente meglio, più fluido nell’incastrare le parole e le melodie: sono ben note le difficoltà della metrica italiana. Per ora ci sta bene così.
Lancio il dado delle influenze ma lascio che siate voi a definirle. A quali artisti vi piacerebbe essere avvicinati per affinità? Chi amate omaggiare con le vostre composizioni? Quali sono gli autori – anche registi – più vicini alle vostre intuizioni?
A volte ci hanno avvicinati a grandi nomi, quali Young o Dylan, Cash, passando per Calexico, Violent Femmes etc etc. Questo ci ha ovviamente lusingati. In qualche occasione ci avviciniamo, ammiccando qua e là, senza comunque l’intento di omaggiare. Ascoltiamo molto Bonnie Prince Billy, Micah P. Hinson, Tom Waits, Tim Buckley. Anche Cat Power. I primi nomi che ci sono venuti in mente. Ah..Langhorne Slim ed Iron&wine!
In che direzione si muove la promozione dell’album? Avete in programma qualcosa di particolare per i vostri live? Non deve essere semplice proporre un prodotto di debutto come il vostro. Internet può essere un valido strumento di divulgazione e confronto?
Abbiamo un’agenzia di promozione. Abbiamo un’agenzia di booking, Abbiamo un video che sta iniziando a girare. Probabilmente a breve ne avremo un altro. Direi che ci stiamo muovendo su queste frontiere, principalmente. Molto viaggia su internet. Forse troppo. Dal vivo? Vogliamo offrire un live set energico, che coinvolga il pubblico, o almeno lo incuriosisca. Per ora stiamo privilegiando i brani più ritmici e movimentati, tra quelli del disco e nuovo materiale. Vorremmo girare parecchio; suonare dal vivo è davvero divertente. Vedremo cosa succederà nei prossimi mesi.