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DeSidera – Cristina Donà

Cristina DonàSi attendeva da sette anni il ritorno sulle scene di una delle sensibilità più raffinate ed affilate del panorama italico. Senza voler almanaccare troppo, Cristina Donà vanta oramai una produzione quasi trentennale, una quantità di palchi solcati assolutamente invidiabile e svariati meritati premi in bacheca. Una diva di caratura assoluta ma che indossa tali paramenti in maniera composta, senza alterigia, con una scioltezza che la rende vicinissima, familiare. Ed eccoci finalmente a questo ottavo lavoro che trova la sua genesi all’interno di un periodo storico, banale dirlo, che ha scarnificato e ferito con ferri incandescenti il cuore artistico e pulsante del paese. Anni in cui la velocità di tutto quello che scorre attorno senza rallentare impone di tenere costantemente la mano sulla leva del cambio marcia, quando in realtà vorresti soltanto spalancare il finestrino e tirare il fiato ed il freno a mano.
DeSidera, un titolo che gioca tra invocazione e consapevolezza dell’assenza di stelle da guardare e che possano indicare la via. Come già avvenuto un paio di anni fa per il disco congiunto con la sodale Ginevra di Marco a cui è legata da profonda e datata amicizia, anche stavolta la cantautrice di Rho, migrata da anni nella Val Seriana, sperimenta e raccoglie a grappoli la fedeltà del suo pubblico ricorrendo allo strumento del crowdfunding, lasciandosi rallegrare dall’adesione massiccia da parte di oltre mille sostenitori ed il raggiungimento di una somma superiore di quattro volte a quanto fissato come obiettivo per la produzione del disco. A dire che i prodigi sono argomento ancora appartenente al modo reale e per il quale occorrono solo due cose: cura nel fare ed emozione nel ricevere. La produzione di Saverio Lanza e l’attenzione ai dettagli fanno il resto nel dare alle stampe un album che per tanti versi segna un innegabile punto di discontinuità rispetto al sentiero tracciato dai tempi di Tregua. Salta subito all’orecchio l’ago dell’elettronica, seppure definita “preistorica” dalla stessa Donà, e che con educazione affonda sotto la pelle delicata di queste dieci tracce. Senza disturbare, certo, ma spiazzante. Evidente poi il richiamo ricorrente a temi di forte impatto sociale, come le ferite che continuiamo ad infliggere al pianeta ed il consumismo sempre più figlio di lobotomie di comodo e rassegnazione all’apparenza. E proprio l’ouverture di Distratti appare come una passeggiata in uno scenario post-atomico, schivando le macerie tra i piedi, con cadenza da viaggio verso il patibolo, consapevoli che “ci stiamo bevendo il pianeta”. Oggi più che mai, ora che venti dell’Est soffiano come un pianto. I dadi lasciati a decidere dei carri armati, Kamchatka come New York, quasi fosse un gioco. E clessidre dagli stomaci quasi vuoti ci dicono che non c’è tutto il tempo del mondo. Colpa si contorce come un cobra all’interno di una cesta troppo stretta, nel raccontare come la spasmodica ricerca di un capro espiatorio, utile per far deflagrare la responsabilità ad una mattonella di distanza dal nostro baricentro, spesso si risolva in un dito puntato ferocemente, contro i nemici colpevoli di fisionomie, colori e respiri diversi dal proprio. Nella comoda consapevolezza che “con un minimo sforzo la colpa è di un altro”. Arriva poi Conto alla rovescia, un mappamondo numerico che gira sul suo asse, ma che non riporta indietro lei che non torna, lasciando “una sola domanda e nessuna risposta”. Già, perché solo chi si pone delle domande corre il rischio di non trovare risposte. O peggio ancora di incontrare quelle che non si volevano.

Flashbacks. Poltroncine comode di una platea, Auditorium parco della Musica nella città eterna, Maggio 2011 e Cristina Donà: per un paio d’ore disegnò dei cerchi perfetti attorno ai randagismi senza risposta che si muovevano con me su di una zattera in attesa della terraferma che sarebbe arrivata di lì a poco. Ancora una volta con il mio buon testimone a farmi ascoltare il rumore benedetto dei vagabondi ed a ricordarmi di girare l’angolo.
Il quarto slot è occupato dal primo singolo estratto, Desiderio, sentimento abituato a squassare le carni fino a quando residuano solo pochi brandelli ancora attaccati alle ossa, ultimi avamposti nervosi, quasi un sottile ponte tibetano verso il salvabile. La colpa è delle stelle “che non si fanno prendere”. Il guaio è che abbiamo smesso anche di usare i cannocchiali e setacci per tentare almeno di catturare le polveri. Astri che ora mancano, così lontani e che in un tempo di Tregua erano Stelle Buone ferme sulla pelle, con l’abito candido della salvezza. Nel pieno centro del disco e del mio stomaco si colloca un brano che fa salare il sangue, Come quando gli alberi si parlano. Ispirato ad una storia drammatica di suicidio di coppia. Scegliere di amarsi nell’unico modo che nessuno e nulla possono impedire. Un garage con il suo disordine, luogo abitualmente deputato a divenire canale di scarico dove vanno ad ingolfarsi le cose finite e spesso finite per fare male come le cadute a ginocchia nude sulla ghiaia, qui viene rivestito con pareti di raso e drappi funerei. Un hangar sotterraneo da cui decollare mani nelle mani, con il respiro che si azzera “come quando gli alberi si parlano” e le lacrime, le ultime, ad innaffiare le radici. Torna danza sulle punte, un titolo a metà tra un augurio disperato e la narrazione di un ricordo che sbiadisce, ora dopo ora. Una messa da requiem su ciò che fu. Un inno alla gioia per ciò che verrà. Anche se venire non è mai tornare in fondo. A riguardare vecchie immagini con sfondi che ignorammo e che presagivano il finale, le bandiere che fingemmo di non vedere e quelle che altri bruciarono nella fuga. Altra pietra di inciampo del disco è Senza fucile né spada, composta nel limbo storico della pandemia e che affresca tutta l’inconsapevolezza per quello che era ad un passo dall’avvenire e che avrebbe cambiato tutto. “Quando ci abbracciavamo non lo sapevamo che saremmo stati mandati a combattere persino la morte, restando fermi come statue di cera”. Così pensi che alle volte capita di avere le tasche pesanti. Accarezzi le monete e pensi al tempo perso a lucidare l’ottone. Ma l’oro brilla da sé, anche quando resta dimenticato in qualche foro aperto dall’inadeguatezza. A ribadire la velocità supersonica del metallo nobile nel tornare alla luce. Struggente la coda del brano con un pianoforte che sembra scendere le scale dandoti il braccio, come in una poesia di Montale. Sensazioni da Cambio della ruota di Brecht pervadono Oltre che avvia il rettilineo finale, raccontandoci di tissotropia delle sensazioni, benedicendo le curve strette e prese dal lato giusto. La risacca del “tendere a”, evitando di sprecare occasioni. Che tutto dipende dal cristallo che si ha davanti agli occhi e che irride la bugia o afferma la verità. L’autunno arriva a sfilare il buio da noi per poi posarlo a terra, come una spugna ad assorbire la fuliggine delle vite affondate nelle pozzanghere torbide delle stagioni ammalate di malinconia. Per restituire chiarori, che al resto baderemo poi, nell’attesa di accelerazioni in salita che hanno aspettato troppo a lungo. È che si aspetta sempre di scollinare quando in realtà si sta avvolgendo il colle allungando il percorso. Ma vedendo tutti i gradi possibili e incamerando tutte le rarefazioni dell’ossigeno. Per capirne le differenze e godere dell’unicità irripetibile di ogni respiro. A chiudere il disco giunge Titoli di coda, una istantanea in movimento con linee quasi reggae e parole come punta di diamante a tagliare la linea tra il prima ed il dopo. Foto in cui il secondo piano viene isolato dalla figura, mortificando quello che magari un tempo era tutto. Lasciando, anzi spingendo fuori dall’inquadratura ciò che non si vuole sia più compreso nella storia che continua a fluire. Forse c’era solo da cambiare cristallo. O cambiare strada. Ma niente era nel posto sbagliato, solo daltonismi. Che in ogni storia ci vogliono spalle larghe e caviglie forti. Anche se in fondo non si smette mai di cercare i panda.

Aprile, colpo a mano aperta sulla porta del primo anno del nuovo millennio. Altro flashback, mi si perdoni. Lei, boa fucsia al collo, che appare tra i fumi densi del ricordo e del palco del Notting Hill, locale del centro storico partenopeo, ingoiato come tanti, troppi altri, nel corso degli anni. Splendida serata della mia gioventù che si avvicinava all’estuario tumultuoso della vita adulta, con un buon testimone anche quella volta al fianco. A dare colpi di cassino su una lavagna di comete, per poi tornare a scrivere con del gesso appena spezzato. Con graffi e stridori a creare significati che un altro cassino avrebbe presto reso passato.
DeSidera è seta, gente. E per dirla con i versi dell’autrice di qualche anno addietro, “se hai già provato le ortiche” hai la capacità di riconoscerla ed accarezzarla con riconoscenza. Cristina Donà riesce ad alzare i toni senza abbandonare la soffice eleganza della sua voce diritta, che resta un sussurro gentilissimo pure quando si distende come una tovaglia profumata alla domenica mattina. Ha fatto i compiti, egregiamente, sulla migliore produzione cantautorale italiana, abbracciando con tenerezza Tenco e Fossati e regalandoci, da anni oramai, ruscelli di fresca perfezione. Non si può non riconoscere la seta quando hai la sorte di sentirla tra le dita da ragazzo e di convincerti, in maniera incontrovertibile, che c’è da tenere, sempre e per sempre, gli occhi bene accesi a decriptare ogni devianza del proprio sismografo emozionale. Ed anche stavolta la lancetta non resta per niente ferma.

Credits

Label: 

FENIX MUSIC – 2021

Line-up:

Cristina Dona’ (Parole Cantate, Cori, Chitarre Elettroniche, Alterazioni Paesaggistiche) – Saverio Lanza (Chitarre Varie, Piano , Basso, Tromba, Cori e Saette, Viola, Elettronica Preistorica) – Cristiano Calcagnile (Batteria, Percussioni, Bagliori Di Suoni su “Conto Alla Rovescia”, “Come Quando Gli Alberi Si Parlano” e “L’autunno”) – Fabrizio Morganti (Batterie Ostinate e Disperse su “Desiderio”, “Torna”, “Senza Fucile Né Spada”, “Oltre” e “Titoli Di Coda”) – Leonardo Ristori (Violoncello su “Torna” e “L’autunno”) – Simone Santini ( Sax, Flauti, Oboe su “Conto Alla Rovescia” e “Come Quando Gli Alberi Si Parlano”)

Tracklist:

  1. DISTRATTI
  2. COLPA
  3. CONTO ALLA ROVESCIA
  4. DESIDERIO
  5. COME QUANDO GLI ALBERI SI PARLANO
  6. TORNA
  7. SENZA FUCILE NÉ SPADA
  8. OLTRE
  9. L’AUTUNNO
  10. TITOLI DI CODA


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