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Bar Mediterraneo – Nu Genea

Nu Genea - Bar MediterraneoIl calore di un’estate che tarda a finire e alimenta una malinconica sensazione di sospensione decadente, ci impone di recuperare l’uscita del secondo album del duo partenopeo composto da Massimo Di Lena e Lucio Aquilina. Confermando a pieni voti l’exploit del precedente Nuova Napoli (2018), i due fondatori si pongono alla guida di un combo esplosivo che ha riscosso un meritato successo internazionale, comprovato dalla partecipazione quest’estate ad alcuni dei migliori festival europei. È straordinaria la capacita dei Nu Genea di suonare musica al di fuori dei confini, in senso letterale e figurato, tenendo ben salda una serie di riferimenti culturali e precisi punti di partenza da cui spiccare un balzo verso mete agli antipodi al ritmo di un groove trascinante che costringe a ballare e dimenarsi. E nello stesso tempo a riflettere, a partire dal piccolo ma significativo cambio della ragione sociale da Nu Guinea a Nu Genea, da un epiteto discriminatorio usato negli Stati Uniti nei confronti degli italiani del Sud alla parola greca per nascita che “vuole significare una nuova nascita nella nostra coscienza” (si consiglia a riguardo di recuperare il post con il quale la band ha convincentemente argomentato questo passaggio). La continuità con le sonorità di Nuova Napoli, che in ogni caso non esaurisce l’ampio ventaglio delle soluzioni qui adottate, è evidente sin dall’apertura solare della title-track Bar Mediterraneo, venata di liquido rimpianto per una giornata o una stagione che arriva al crepuscolo, coi suoi temi declinati da chitarre pulite e tastiere vischiose, mentre un coretto in penombra accoglie le lamine lucide di una slide che riverbera scaglie di luce contro il tetto di paglia e foglie di palma del bar concreto e metaforico del titolo. Ma non è certo un disco di meditazioni assorte e immote, lo dimostra l’irresistibile groove di Tienaté, allusiva, maliziosa forma contratta napoletana per dire “tienitela”, risposta orgogliosa e piccata di spasimante che mal digerisce il mancato premio d’amore. Un ritmo irresistibile che mischia Chill’ è nu buono uaglione di Pino Daniele con l’afrobeat adrenalinico e pazzo di Seun Kuti, e che infligge rapidi colpi al dance floor: bombardato dal battito impetuoso del basso, saettato dalle incursioni di tastiere mediorientali, droni perlacei, percussioni beduine. Il canto di Fabiana Martone qui è tanto ritmato, quasi alieno, da render difficile riconoscere il napoletano persino per i suoi concittadini (tra cui chi scrive), mostrando una padronanza vocale e linguistica invidiabile. Mentre Pino Daniele mescolava italiano, dialetto e inglese facendoli convivere in una dimensione che era essenzialmente partenopea, qui la lingua madre si trasforma in qualcos’altro prestando lessico, sonorità e verve alla costruzione di un fraseggio ritmico che si fonde dinamicamente con la danza frenetica che anima lo stile del combo. Siamo al Bar Mediterraneo ed è facile attraversare il canale di Sicilia e approdare nel deserto tunisino per annegare lascivi tra le sue sabbie malinconiche e calde, accolti dall’esotismo di Gelbi e dalla voce profonda di Marzouk Mejri, catturati da corde acustiche di strumenti etnici, benché ritmi e tastiere conducano ben oltre fino alla freschezza carioca degli Azimuth. Marechià è la quintessenza del beat ammiccante del combo che mescola chitarre esotiche, fascinose tastiere retrò, crossover linguistici nel fluido passaggio dal francese al napoletano, pronunciati con piglio brillante da Célia Kameni, che stempera il timbro misterico dei suoi esperimenti jazz in una luminosa e ironica scioltezza tutta partenopea. E siamo in pieno mare aperto con le sofferte tastiere di Straniero, che evoca col suo misurato, solitario tema della chitarra di Marcello Giannini la tragica mutazione del Mediterraneo da ponte tra i popoli a distanza incolmabile tra la fame e l’effimero, sorretto dal pattern registrato da Tony Allen, batterista del gruppo di Fela Kuti, col quale il duo napoletano aveva collaborato già nel 2016 per l’album The Tony Allen Experiments. La capacità spregiudicata di attingere alla tradizione per plasmarla in una creatura modernamente nuova viene fuori con prepotenza nell’energica rilettura della tammurriata del Gruppo Operaio di Pomigliano d’Arco meglio conosciuto come ‘e Zezi: Vesuvio è un’invocazione del potere ancestrale del vulcano che domina Napoli e dintorni, condotta attraverso una coralità fanciullesca che pare la trasposizione partenopea di Say it loud I’m black and proud. Qui però l’orgoglio della protesta etnica lascia il campo al ritmo tarantolato di un rito fatalista che mima ed esorcizza catastrofiche eruzioni con colpi infaticabili di pelli e percussioni di cui sembrano artefici i percussionisti di Santana, discesi direttamente dal palco di Woodstock per un nuovo sacrificio dell’anima. E da quel mantra battente partono come lapilli cosmici i sibili ululanti delle tastiere che proiettano nel futuro la storia di un popolo e della sua terra. Quella stessa terra descritta come sbiadito, malinconico ricordo d’infanzia in Praja magia, che affonda le sue radici nelle tastiere del Battisti di Io, tu, noi, tutti e vaga tra le sabbie scure di Varcaturo, sul litorale a nord di Napoli, scomponendo il suo comodo pattern in un incastro rarefatto di guizzi tremanti e tessere acuminate. Tasti cinguettanti introducono il tempo afrobeat di Rire  e il fraseggio disilluso eppure appassionato di Marco Castello che lascia il posto al lirico solo del sax di Pietro Santangelo. E si torna a Napoli per chiudere l’album coi versi di Raffaele Viviani, autore nel 1930 della poesia La Crisi, realistica e cruda messa in scena di una miseria di sconfortante attualità: “Dice ‘o pate: Ma addò jammo? / Figlie meie, ccà appena ascimmo / limitate, addò accustammo / sò denare ca spennimmo“. Così il dramma di una famiglia tanto numerosa quanto povera rivive nelle tastiere sincopate e sfilanti, nella voce dimessa quasi svogliata e maledettamente efficace, nei netti bassi ondulati, nella centrale rarefazione jazz che aiuta a sciogliere un triste groppo alla gola, nell’accattivante groove della band che non ti lascia star fermo neppure sui tempi più lenti. Sì chiamano nuova nascita e non si può che accogliere con ripagato entusiasmo il nascituro.

Credits

Label: NG Records – 2022

Line-up: Massimo Di Lena (Synths) – Lucio Aquilina (Synths) – Roberto Badoglio (Bass) – Andrea De Fazio (Drums) – Marcello Giannini (Electric Guitar) – Paolo Bata Bianconcini (Percussion) – Pietro Santangelo (Saxophone) – Fabiana Martone (Vocals) – Marzouk Mejri (Vocals) – Célia Kameni (Vocals) – Marco Castello (Vocals)

Tracklist:

    1. Bar Mediterraneo
    2. Tienaté
    3. Gelbi (with Marzouk Mejri)
    4. Marechià (with Célia Kameni)
    5. Straniero
    6. Praja magia
    7. Vesuvio
    8. Rire
    9. La Crisi

 


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