Fulvio Di Nocera aka Scapestro ha realizzato un disco toccante che trasmette la cura, la dedizione e l’urgenza di guardare l’anima in bilico tra dentro e fuori, tra superficie e profondità, tra leggerezza e riflessione. La raccontano gli strumenti e le parole questa dualità figlia dei tempi oscuri della pandemia, della perdita e della reazione. È il bene che resta, così equilibrato tra matrice popolare ed elettronica, è un lavoro di rara delicatezza, quella dei cantautori mossi dalla purezza di esporsi.
È il bene che resta è il titolo del tuo nuovo disco. Rimanda alla perdita. Vorrei sapere come hai scelto questo titolo in relazione al processo di lavorazione avvenuto durante la pandemia.
Ho iniziato a lavorare alla pre-produzione del nuovo disco in modo più assiduo proprio in quei mesi di inizio pandemia, mi sembrava una buona opportunità quella di sfruttare al meglio il tempo in cui tutto sembrava sospeso. In questo secondo lavoro discografico trovano spazio alcuni avvenimenti relativi al mio ultimo periodo di vita. Ho dovuto fare i conti con la perdita di mio padre avvenuta poco prima della scrittura di È il bene che resta. Dentro c’è molto di lui, ma anche di quello su cui ho avuto modo di riflettere grazie a questa esperienza. È il bene che resta mi sembrava un giusto titolo per esprimere al meglio non solo il nome da dare al singolo ma all’intero album.
In questo disco c’è stato un percorso di analisi segnato dalla dualità, me ne parli?
Spesso la condizione che mi trovo a vivere come individuo all’interno della società genera in me un senso di alienazione. La dualità che racconto nel disco è rappresentata dai due mondi, quello di superfice nel quale ci relazioniamo al mondo esterno con sovrastrutture e maschere e dall’altra parte la visione di un mondo interno dove ci abbandoniamo a noi stessi, dove siamo fragili e vulnerabili nell’esprimere la nostra verità.
Quale dei nove brani è il più marcatamente autobiografico? Quale, invece, quello che senti più rappresentativo dei tempi che abbiamo vissuto?
C’è tanto di me in ognuno dei brani ma credo che È il bene che resta al momento sia il più autobiografico. Mentre Non c’è tempo per amarsi rappresenta una condizione del momento storico in cui viviamo.
Venendo al sound, nel ricercarlo e definirlo hai avuto dei referenti particolari a cui ti sei ispirato?
Ho ascoltato tanta musica, dalla quella strumentale a quella cantata. Un contributo particolare in questo disco lo ha rappresentato la musica africana, forse proprio per la volontà di scavare verso la radice. Le influenze nei brani sono diverse e spaziano dalla musica popolare a quella elettronica.
Quale brano ritieni il più ardito proprio dal punto di vista del suono?
Chi se ne va credo possa rappresentare al momento il brano in cui c’è stata maggiore sperimentazione nel sound. Anche la risposta che arriva dai primi live sembra confermarlo.
Raccontami dei nomi con cui hai collaborato per questa nuova fase del tuo percorso artistico.
Dopo una prima fase in solitaria, ho iniziato a condividere i brani con le mie fedelissime compagne di viaggio Chiara Carnevale (Assurd) e Antonella Bianco (Coma Berenices). All’interno del nuovo disco c’è un brano in napoletano Marinai cantato da Chiara, è stato fondamentale il suo apporto con le voci. Con Antonella invece abbiamo completato il lavoro che già avevo iniziato in pre-produzione con le chitarre elettrice e con la tastiera. In un brano è presente anche la chitarra elettrica di Elio “100gr” dei Bisca con il quale collaboro già da diversi anni. Si sono aggiunti strada facendo Ilaria Scarico al flauto, Caterina Bianco al violino, Demetrio Bonvecchio al trombone a tiro, Giosi Cincotti al piano, Gaemaria Palumbo al flauto bansouri, Gerardo Attanasio alla chitarra battente, e il solidissimo drummer Jonhatan Maurano ha suonato su alcuni brani. Infine il percorso di questo lavoro si è concluso con il supporto fondamentale di Fabrizio Piccolo che ha curato alcune registrazioni, missato e masterizzato il disco presso l’Auditorium Novecento di Napoli. Anche questo secondo lavoro è stato pubblicato dall’etichetta napoletana SoundFly di Bruno Savino.
Tu sei un musicista a largo raggio che vanta incursioni nei Bisca, Songs for Ulan, 24 Grana, tra gli altri. Perché e come hai scelto di dedicarti ad un percorso cantautorale tutto tuo?
La mia è stata una semplice esigenza, quella di voler condividere le mie canzoni ed il mio suono. Più che una scelta, è stata una necessità.
In questa era di ingorgo musicale dove tutto si consuma in breve tempo quanto è difficile scegliere di dedicarsi ad un’opera così personale come può essere un disco? Quanto condiziona lo scontro con la velocità della fruizione di oggi?
Le difficoltà emergono non tanto nel volersi dedicare alla creazione di un nuovo lavoro discografico, al di là della fase creativa che ha bisogno comunque di una sua gestazione, il vero problema nasce nella fase di condivisione. Oggi è tutto dannatamente troppo veloce!
Personalmente la ritengo una cosa sfiancante, è una visione abbastanza lontana da quella che per me ha sempre rappresentato la musica.
Immagino che un cantautore abbia una sorta di mantra interiore per fronteggiare il mare sconfinato in cui si lascia navigare la propria musica oggi. Qual è il tuo?
La strada che resta da fare è giù verso il mare…
Video ideato da Fulvio di Nocera e Chiara Carnevale- Regia I Denise Galdo