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Sprecato… da una Graphic Novel: intervista a James Jonathan Clancy

JJC_in001Le diverse arti che si autoispirano hanno sempre affascinato LH. Non poteva, dunque, passare inosservato questo progetto artistico che coniuga la magica collaborazione tra il disegnatore Michelangelo Setola con il suo romanzo Gli Sprecati (Canicola Edizioni) e James Jonathan Clancy con l’album Sprecato. Abbiamo incontrato l’artista italo-canadese per approfondire questa sinergia artistica e la genesi di uno degli album più ispirati dell’underground italiano del 2024.   

Come è nato il progetto Sprecato in termini di sinergia tra la tua musica e l’arte grafica di Michelangelo Setola?
Sono cose che sono andate avanti di pari passo, Michelangelo voleva spronarmi a tornare a scrivere e ha iniziato pian piano a mandarmi tavole che poi sarebbero diventate il suo romanzo a fumetti Gli Sprecati (Canicola Edizioni) e io senza pensarci troppo gli rispondevo con piccole bozze di canzoni. Castle Night, Had It All, Black & White sono tutte nate in questo modo, abbiamo anche iniziato a fare un piccolo spettacolo live dove improvvisavo su drone ed elettronica, lui disegnava e in mezzo ci alternavo alcune canzoni. Insomma in maniera organica poi sono arrivato al disco.

Sprecato è il tuo primo album solista. Cosa ti porti dietro delle tue esperienze di band come con His Clancyness, A Classic Education, Settlefish e Brutal Birthday?
Beh, tutto. Anche se a volte ci ricasco, anch’io non amo definire i gruppi in cui ho suonato come ‘progetti’, e una parola che faccio fatica a ricondurre alla musica, perché dovrei parlare forse piu di progetto di vita e perché le cose non hanno per me una scissione totale, si accavallano e ognuna sicuramente influenza l’altra. I gruppi che hai citato mi hanno insegnato tutto del mio approccio alla musica, l’idea di comunità, il modo di fare le cose in maniera etica e soprattutto imparare a farsele da soli. Musicalmente sicuramente His Clancyness è la cosa più vicina a questo disco, ma solo per una questione di vicinanza temporale. In qualche modo penso che tutte queste esperienze siano state degli step per arrivare a Sprecato.

Sprecato è un disco ricco di collaborazioni. Ti va di parlarne?
Volevo in tutti i modi finire il disco da solo, in solitudine, ma mi sono completamente incagliato e ad un certo punto Stefano Pilia mi è venuto in soccorso. Siamo amici da quando eravamo adolescenti ed è stato completamente naturale. Gli altri musicisti del disco, in realtà, sono semplicemente amici quasi tutti di lunga data o persone con cui ho percorso un po’ di strada musicale. Stefano ha una sensibilità particolare e, oltre ad essere tecnicamente incredibile, ha un approccio simile al mio, dove tutto è funzionale alla canzone. Per me era importante poter dialogare anche con una persona che avesse tanti riferimenti musicali e lui li ha, quindi è stato facile. Kyle Knapp (al sax) era una delle persone che conoscevo di meno, ma suonando su Castle Night ha dato un certo imprinting al disco, perché essendo la prima che avevo scritto, sentendo la sua parte ho iniziato ad immaginare il disco che volevo fare. Dominique Vaccaro e Andrea De Franco mi accompagnavano già dal vivo e, stimando i loro rispettivi progetti (J.H. Guraj e Fera), sapevo che potevano espandere un certo tipo di suono. Cinque canzoni del disco sono state registrate completamente live, inclusa la voce, forse quelle più intime. Per il pianoforte sapevo che, se mai ne avessi avuto bisogno, avrei chiamato Francesca Bono, ha capito subito il feeling della canzone Fortunate. Per i flauti abbiamo subito pensato ad Enrico Gabrielli, gli ho mandato alcune ispirazioni che avevo in testa per quelle parti. Per la batteria, avevo un riferimento preciso che era Terry Cox, batterista di Bert Jansch, Alexis Korner e Pentangle, e tra gli amici Andrea Belfi mi sembrava perfetto per interpretare in quel modo la canzone.

Trovo Black & White il brano che fotografa al meglio tutte le atmosfere del disco. Come è nato?
Super diretta, nata appena mi sono trasferito a Londra, penso proprio al primo giorno in questa casa vuota, devo ancora avere un video che avevo fatto riprendendo le mani soltanto per ricordarmi il giro di accordi. In qualche modo la sentivo molto ‘aperta’, come se ci potessi poggiare sopra la voce più libera possibile. Mi ha forse aperto alcune strade su come cantare nel disco.

Quale brano di questo disco senti di avere più desiderio di portare live e perchè?
I Want You, perché con questa band (Laura Agnusdei, Dominique Vaccaro, Andrea De Franco) vibra particolarmente, mi perdo nella canzone, ho questa sensazione di canzone epica, gigante, ma anche intima, nuda e questa incertezza me la rende speciale.

Tu sei il fondatore dell’etichetta Maple Death Records e lavori tra Londra e Bologna per la label inglese Fire Records/Earth Recordings. Chi meglio di te può valutare lo stato della musica alternativa italiana ed internazionale. In Italia c’è ancora una scena rock indipendente? Ma soprattutto c’è un pubblico capace di fruire tale tipo di proposta musicale?
Secondo me, negli ultimi anni l’underground italiano sta esprimendo musica bellissima, ha un po’ smesso di scimmiottare forse band di Londra, Brooklyn e riscoprendo le proprie radici. Stanno venendo fuori cose molto interessanti. Non avrà il pubblico di una volta ma un suo pubblico esiste.

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