Foto di Beatrice Belletti
Di nuovo mezzanotte. Di nuovo il momento di tuffarsi nell’universo notturno degli …A Toys Orchestra, lasciandosi ammaliare dal’universo sonoro del loro ottavo lavoro in studio: Midnight Again, il terzo capitolo di una trilogia iniziata nel 2010 con Midnight Talks e proseguita con Midnight Revolution nel 2011. Abbiamo incontrato Enzo Moretto da qualche parte nella notte per farci raccontare le meraviglie di quello che è, senza ombra di dubbio, uno dei dischi più ispirati dell’attuale scena nostrana.
Cos’è la mezzanotte per gli A Toys Orchestra? Ricorre nel vostro immaginario come un mantra. In particolare, nei testi di Midnight Again sembra il momento perfetto per l’introspezione…
La mezzanotte è quel momento sospeso tra ieri, oggi e domani. È un limbo temporale che collega passato, presente e futuro, un confine tra fine e inizio. Dopo una lunga pausa abbiamo ripreso a fare musica, quindi ci stava accadendo esattamente quello… era di nuovo mezzanotte.
Midnight Again è dichiaratamente un disco “analogico”. Sullo sfondo del delirio digitale e dell’intelligenza artificiale forse è l’unico modo per essere autentici e sinceri nella scrittura musicale? La vostra musica a plugin 0 è un monito, una riserva di verità.
Il problema non è soltanto il supporto, il digitale non è per forza il male, il problema sta nella miriade di possibilità che la tecnologia di oggi ti mette a disposizione per rimaneggiare, correggere, smussare e ritoccare all’infinito. L’analogico invece ti restituisce solo la verità, non c’è granché modo di rimanipolare troppo. Il lavoro di identità delle canzoni va fatto a monte e non aggiungendo diecimila tricks come e quando ti pare. Su nastro ci finiscono la tua testa, la tua mano e la tua personalità. Stop. Se hai delle buone idee e la giusta motivazione, con un po’ di strumenti belli, qualche buon microfono e un buon fonico, hai già tutto. Un disco come Midnight Again non aveva bisogno di un “trucco pesante”, quello che dovevamo catturare in registrazione era la sua anima, fragile, sincera, piena di amore e di ferite. Ogni imperfezione fa parte del totale. Non si può barare con certi tipi di canzoni, altrimenti, oltre a mentire a te stesso e al tuo pubblico, probabilmente ti verrà anche fuori una schifezza senza anima.
Mi racconti la scelta di introdurre i fiati e i cori gospel? Sembra di sentire le atmosfere del Tom Waits di Closing Time ma, a tratti, anche il neo soul di Michael Kiwanuka. Riuscite sempre a stare in equilibrio perfetto tra classico e contemporaneo.
Era un’idea che mi frullava in testa da un po’ di tempo, sin da quando ho iniziato a scrivere le prime bozze. Negli anni abbiamo sempre dato ampio spazio alle armonizzazioni corali, è un po’ un nostro tratto distintivo, ma questa volta avrei voluto farle con altre persone che non fossimo solo noi. È successo poi che per un periodo abbiamo condiviso la sala prove con un gruppo religioso italo-africano che teneva le sue funzioni domenicali lì. Un giorno capitò quindi di attendere che finissero la loro messa per cominciare a montare le nostre cose e provare. Durante quell’attesa sentivo provenire dalla stanza questi canti religiosi in pieno stile gospel… ne fui illuminato. Mi decisi quindi a parlare al pastore per chiederle se fosse possibile provare a cantare qualche nostra canzone insieme con alcuni di loro. La risposta fu positiva e la domenica successiva eravamo in sala con alcune delle sue figlie e altre ragazze. Beh… c’era grande imbarazzo in principio, ma non appena ci siamo sciolti le cose sono andate avanti da sé in maniera incredibilmente spontanea. Sembrava che le ragazze avessero sempre conosciuto quelle canzoni, sapevano già cosa fare e come farlo. Qualche settimana dopo erano in studio con noi. L’unico patto che mi strappò il pastore fu la promessa di non far cantare alle sue figlie cose oscene o bestemmie.
Our souls è il brano più impetuoso del disco. All’ultimissimo Mark Lanegan sarebbe piaciuto molto. Come è nato il brano e cosa pensi proprio di Mark Lanegan?
Mark Lanegan è un mio mito, il paragone mi lusinga ma mi terrorizza, per me era un gigante. Our Souls è quel pezzo che all’interno del disco ti prende per i capelli e ti rimette in piedi anche se non hai voglia di farlo. Volevo che si esprimesse in maniera più violenta e burrascosa perché è una canzone che “sanguina”. Quando ti fai male corri via, cammini veloce, urli, dai di matto. Lo fai per istinto, per salvarti, senza razionalità. Our Souls parla di salvarsi l’anima, senza sapere come si fa e quindi scappa e si agita.
Ci sono delle code strumentali “filmiche” in brani come in Take me home e Out of Control. Me ne parli?
Per me le parti strumentali sono parte integrante della narrazione di una canzone. Take Me Home ad esempio senza quella coda non avrebbe lo stesso significato, è la vera chiave di lettura per la comprensione del testo e dell’intenzione del brano. D’altronde non sono un cantautore che usa gli accordi solo per appoggiarvi le parole, sono anzi innamorato di quello che può succedere ogni volta che uno strumento “parla”. Per me è importante tanto quanto un cantato, anzi forse anche di più perché è una comunicazione meno palese, c’è qualcosa di magico, lo trovo ipnotico, ammaliante. Per questo disco avevamo a disposizione molti strumentisti classici: fiati, archi, percussioni e giù di lì. Ci siamo ritrovati quindi più volte ad improvvisare, ad aprire nuovi scenari, lasciando che la musica parlasse tanto quanto la voce.
Di quale film del passato Midnight Again potrebbe essere la soundtrack?
Di uno di quei film americani in bianco e nero degli anni cinquanta, con quelle recitazioni esasperate e teatrali, pieni di lacrime, frasi ad effetto, lettere strappate… con uomini duri ma dal cuore spezzato, sempre ben pettinati e che bevono whisky mentre parlano tenendo la sigaretta in bocca di lato. Uno di quelli in cui sul finale compare la scritta “The End”.
Dimmi di Celentano in versione italiano. Avete mai pensato ad un disco interamente in italiano? Cosa pensate delle caratteristiche metriche di questa lingua rispetto alla vostra proposta musicale?
La versione di Celentano in italiano è stato un divertissement, dettato dal titolo stesso. Non a caso l’abbiamo pubblicata solo in un EP di remix e rarità. Mi sono divertito molto a lavorarci, ma finisce tutto lì. Non ho alcuna intenzione di scrivere un disco dei Toys in italiano. Dopo 25 anni di carriera e 8 dischi in inglese non ne vedo il motivo. Certo, per forma mentis non mi piace dire “mai”, ma non credo che avverrà. L’italiano di per sé è una lingua bellissima, una delle più complesse e affascinanti metricamente e melodicamente, ma anche una delle più difficili da trattare. È un’idioma molto esigente, dunque senza le giuste capacità si rischia un pessimo risultato. Trovo che per le canzoni non ti conceda vie di mezzo, o sono capolavori o sono terribili.
Midnight Again è un disco esportabile. Ci sarà un tour all’estero?
Esportabile spero di sì… abbiamo ottimi riscontri fuori dall’Italia. Sicuramente anche stavolta faremo un bel giro fuori confine, intanto però siamo felicemente impegnati con il tour italiano che è appena iniziato.
A distanza di tanti anni dal vostro esordio cosa rappresentano ancora i Beatles?
Beh… i Beatles ci sono sempre, anche quando non li cerchi. Succede che abbozzi una nuova canzone, un’armonia… provi un arrangiamento e ti accorgi che dentro ci sono i Beatles. Sono ovunque, sono imprescindibili.
Cinque dischi che in un qualche modo hanno influenzato Midnight Again?
Non vorrei sembrare supponente ma non credo ci siano dischi che abbiano direttamente influenzato questo lavoro. Chiaramente gli ascolti sono stati imprescindibili per formarci, ma non ci sono dei titoli o degli artisti nello specifico strettamente relazionati a Midnight Again. Forse perché è la somma di tutto quello che è già passato dalle nostre orecchie, cuori e fegati nell’arco di tutti questi anni. Se dovessi però elencare cinque opere che lo hanno influenzato, dovrei davvero pescare un po’ a caso. Negli ultimi tempi inoltre ho ascoltato ben poche cose… per lo più vecchio soul, blues, musica classica e qualche disco nuovo. In qualche modo saranno finiti dentro alle canzoni… tanto quanto un Mark Lanegan che giustamente citavi tu prima o i Beatles, Tom Waits e via dicendo. Ci sono ben più di cinque dischi nelle influenze musicali di questo album, è un frullato (digerito) di tutto quello che ci piace.
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