La femme d’argent, Sexy Boy, All I Need, Kelly Watch the Stars, Talisman, una via l’altra, sequenza micidiale, ma cosa sta succedendo? Non sono pronto! Che modo è mai questo di iniziare un concerto?!
Ma facciamo un passo indietro. Venerdì 21 giugno strambo: ragioni, divagazioni, preoccupazioni, ansie lo hanno reso tale fin li. Poi tutto cambia. Tutto assume un senso specifico, e come vedremo, tutto finisce per essere nel posto esatto in cui deve essere, al centro esatto della musica. E così, anche io. Roma, Auditorium Ennio Morricone. Parterre e gradinate vanno riempiendosi in tranquillità, graduale. C’è un vocio di sottofondo piacevole, e il tempo meteorologico decide finalmente di mettere su l’abito migliore, quello delle sere fresche di inizio estate. Il cielo, ora limpido, alterna progressivamente i colori del giorno a quelli della sera che prendono spazio, un vento lieve spira teso sul pubblico, dando sollievo. Il peggio sembra ormai alle spalle. Pochi metri avanti a me, il palco. Lo domina un parallelepipedo in cui è il colore bianco a dettare la cifra stilistica. Bianco sopra, sotto e lungo la spessa cornice rivolta al pubblico. All’interno, gli strumenti già disposti e lo spazio vuoto pronto a tramutarsi in pieno, una volta che gli interpreti tanto attesi avranno fatto la loro apparizione. Ai lati e sul fondo dominano invece apparenti semitrasparenze; si ergeranno a luogo eletto di una scenografia giunta fin qui da un futuro remoto e le cui soluzioni visuali, di lì a poco, delizieranno occhi e anime degli astanti. L’attesa che il rito di celebrazione inizi; sul fondo, proiettati due occhi che ci scrutano, lanciando blink benevoli da una parte all’altra del parterre. Le 21.15 o giù di li, si inizia, ed eccola la sequenza micidiale, senza pause. A cosa servono del resto le pause? Siamo qui per Moon Safari, no?! E gli Air ci danno Moon Safari, at it’s finest! Nell’ora scarsa che segue, gli Air ripercorreranno in modo sontuoso l’intera scaletta dell’album che li ha resi celebri nel mondo intero.
Era il 1998 ed è il 2024: 25 anni e più. Rischiano di essere tanti, troppi, per la musica, per chi la scrive, per chi la esegue. Non per Jean-Benoît Dunckel, di bianco vestito, alla sinistra, né per Nicolas Godin di bianco vestito pure lui, alla destra. No, sir. Per la loro musica, 25 anni sono un tempo mai passato. La sequenza è di quelle che lasciano senza fiato, tra una canzone e l’altra di quel piccolo capolavoro (ed eccola la parolina magica che fino a pochi istanti fa giuravo non avrei mai usato) che è il loro disco di esordio, c’è spazio solo per gli appalusi fragorosi del pubblico che partecipa in estasi, tra un grazi o un grazie mile, che il duo francese appena gli concede. Si dirà che il loro tipo di musica è stato sempre, di per sé, anni avanti e questo ne fa oggi un “prodotto” molto contemporaneo. Lo ricordo bene quel disco, meglio quel CD, consumato dagli ascolti, fino a renderlo illeggibile, come forse successo a molti. Mi colpiva l’equilibrio perfetto delle parti, mi tormentava una domanda: come avranno mai fatto?! Associavo quella perfezione alla sintesi mistica degli studi di architettura dell’uno e di quelli di musica classica dell’altro. E quella perfezione è ancora qui, ora, dopo un quarto di secolo. A illuminarmi, a illuminarci, anche grazie a soluzioni visuali che pezzo dopo pezzo si palesano, via via più raffinate, calibrate fin nella minima sfumatura di colore, esatto complemento di ogni passaggio strumentale o vocale. Remember, che irrompe a metà della prima parte del concerto, è un esempio lampante di tale perfezione, e insieme a Run – superbamente eseguita nella seconda parte – rappresenta per me uno dei picchi raggiunti dagli Air in questa splendida serata romana, grazie anche al contrappunto ritmico offerto dal batterista Louis Delorme (di bianco vestito pure lui, ca va sans dire!) perfettamente integrato nella complessità delle trame ordite dai due. E ancora You make it easy, Ce matin‐là, New star in the sky (Chanson pour Solal), Le voyage de Pénélope in un crescendo inarrestabile che lascia sospeso il pubblico tra ciò che è stato e ciò che è adesso. Era il 1998 e sembra ieri, mi perdo anch’io in quello stesso stato di sospensione, tra immagini nitide ed altre sbiadite, sostenuto dai suoni magici di questi ormai ex ragazzi, che arrivano da nemmeno troppo lontano, eppure sembrano aver percorso distanze misurabili in anni luce. Una voce dall’alto mi ridesta: Surfing on a rocket! la marcata inflessione USA rompe il silenzio sospeso e quasi lacera il tessuto soffice delle luci. Jean-Benoît Dunckel, accenna appena ad uno sguardo, sembra voler dire: no, mon ami, not tonight ed è già tempo di ripartire. La musica-macchina allestita a sostegno della seconda parte del concerto reclama spazio, e ne avrà sorprendentemente tanto. Perché a reclamarlo forte ci sono 10.000 Hz Legend e Talkie Walkie da cui vengono estratte gemme preziosissime, insieme testimoni e complici del passaggio a sonorità più dure, in cui non mancano le abrasioni, dove il ritmo si fa più scandito, pesante, e l’atmosfera, a tratti, oscura. È il momento di Radian e Venus (e i sospiri di fate), Cherry blossom girl (e viene voglia di imbracciare una chitarra), Run (mastodontica, spettrale), Highschool lover (perché anche le vergini suicide vogliono poter dire di essere state qui stasera), Don’t be light (acida, a caratteri cubitali), Alone in Kyoto (e la sua calma apparente). Ed eccoci infine a Electronic Performers, siamo ai titoli di coda, è ormai chiaro. Prossimi alla conclusione del viaggio, i due decidono di congedarsi con la più palese delle manifestazioni di intenti. La voce robotica filtrata da migliaia di transistor, la cassa marziale, il bip da tracciato radar, stemperati da un fraseggio di piano che forse lo stesso maestro Morricone avrà apprezzato da lassù. I performer elettronici si sono esibiti splendidamente, fedeli agli stilemi di una grammatica propria, mantenutasi unica e capace di ripetersi ogni volta nuova. Immune alla prova del tempo. L’Auditorium stasera, per poco meno di due ore, è stato la loro casa. Chi ha avuto la possibilità di esserci ne ha gioito, per la purezza della composizione, che lascia ancora oggi sbalorditi, e per la perfezione dell’esecuzione, che potrà apparire anche algida, ma che scalda col suo morbido tepore.
Luci accese e faccio per uscire. Faccio per uscire e mi sento leggero. Everything in its right place, finalmente.
Qualcuno intorno bofonchia eh ma l’acustica, peccato. Ma l’acustica, cosa?! urlo muto al mio io interiore. Che è li e mi osserva imperturbabile, forse già in quell’altrove in cui lo hanno sospinto gli innesti psichedelici delle trame musicali appena concluse, o le luci giunte a noi da altri mondi, o forse ancora, il bianco che tutto avvolge. Continua ad osservarmi e sembra non sentire quello che dico, un breve attimo e fa per allontanarsi. Lo vedo salire a bordo della navicella spaziale francese, già pronta a proseguire il suo viaggio, lontano tra le stelle. In perenne trasmissione, oggi come 25 anni fa, di suoni destinati a durare ancora a lungo, ben oltre il tempo materiale dell’uomo.
Ti potrebbe interessare...
The Smile @ Roma Summer Fest, 24 giugno 2024
Arriviamo in trasferta da Napoli poco dopo l’apertura dei cancelli. È una fresca serata estiva, contrariamente …