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La contaminazione tra le arti e la ricerca sinestetica: in dialogo con un pedone dell’aria, Alessandro De Vita

Teatro. Totale. Assoluto e relativo. Aperto e oscuro. Sfacciato e implosivo. Per qualcuno l’arte va classificata, rinchiusa nelle gabbie di genere. Per altri l’arte è contaminazione, sperimentazione, destrutturazione di codici d’abitudine e rigenerazione di nuove possibilità comunicative per cui il corpo, la manipolazione dello spazio emotivo, la proiezione di immagini in sequenza anomala e il flusso sonoro improvviso spalancano nuovi universi di condivisione e nuovi percorsi di incontro/scontro tra attori e pubblico.
I Pedoni dell’aria sventrano la metrica della comunicazione, osano mischiare filosofia, antropologia, musica, tradizione, avanguardia e un’irrefrenabile sete di rompere gli argini, terrorizzando i sensi.
Waiting for Platone è uno degli esperimenti che la compagnia sta facendo respirare in alcuni dei luoghi più suggestivi di Napoli. Secondo tradizione dialogica platonica… esploriamo lo spazio metafisico dell’aria.

Raccontami un po’ le varie strade percorse fino ad oggi. Cosa intendi per sperimentazione teatrale?
Scrivevo poesia.
Ero affascinato dalla composizione, dalla struttura, dall’ordine geometrico/astratto, da quello che qualcuno chiamava “disarmonico caos di forme belle”. Ho cominciato con la penna sul foglio molti anni fa. Poi ho scritto drammaturgie oscure, piene di segni sulla carta, ma pesanti a muoversi, che morivano prima di aprire gli occhi.

L’illuminazione fu incontrare quello che ritengo il mio primo e vero maestro, Michele Monetta. Lui mimo-attore, regista, drammaturgo, attualmente insegnante della Silvio D’Amico di Roma e animatore di coraggiosissime imprese artistiche. Non sapevo camminare, non sapevo respirare, non sapevo parlare.
Ero una testa con l’enorme fardello di un corpo/zavorra.
Nei lunghi trainings che cominciai ad affrontare all’ I.C.R.A (centro internazionale per la ricerca sull’attore) vedevo il mio corpo staccarsi da me, andare in giro a scrivere lo spazio, imparai ad osservarlo, a concepire l’esistenza di un “Corpo Poetico”, a credere nel miracoloso, nel qui ed ora, nella necessità di esserci, del non dimenticarsi, di mettere in forma i pensieri, che tutto poteva essere uno strumento poetico se addomesticato allo sguardo e riscritto dal corpo. Ma non fu così semplice. Il mio corpo era analfabeta e disarticolava le idee; cadevo di continuo.
Studiavo quello che oggi è definito metodo Decroux col corpo, ma leggevo Artaud, Nijinsky, Lecoque, Barba, Brook, Grotowski, Gurdjieff e tutti mi dicevano qualcosa del corpo/testo, del corpo/voce, del corpo/mente, che insomma c’era un punto cruciale nel corpo dell’attore, un nodo irriducibile e un laccio fortissimo tra il poeta-teatro-corpo. Così inaspettatamente incontrai, in un workshop, Judith Malina e il suo gruppo, nello stesso periodo in cui studiavo all’ I.c.r.a e un giorno lei mi disse :”Non perdere il tuo sguardo”.
Lo disse in un modo così semplice e assoluto che d’improvviso ricordai la vista, il mio modo di vedere e che la realtà è sempre immaginazione. Poi successero molte altre cose, ma la più miracolosa fu vedere il mio modo di scrivere/vivere/vedere/sentire cambiare perché cambiava il mio modo di sentire lo spazio. Cominciò, quella che io sono solito definire per me, l’era dello spazio poetico e della poesia spaziale.
Dunque intendo per sperimentazione teatrale quest’ atto totalizzante che deforma gli spazi con pochi mezzi ma con tanta ricchezza di intenti, che porta di nuovo, attori e spettatori, verso una condivisione estrema, che scaraventi via le divisioni e le visioni del singolo, per un momento di terrorismo dei sensi.
Noi gettiamo ordigni poetici e vogliamo che esplodano.

Cosa e chi sono i Pedoni dell’aria?
I pedoni dell’aria sono un gruppo di ricerca poetica che utilizza il teatro come mezzo comunicativo. Sono degli artisti che provengono da vari tipi di formazione culturale, accomunati da un sentire vivo e fortemente anticonvenzionale.
È l’idea di una stanza alchemica dove far fondere gli elementi per trarre risultati metafisici dal fisico. È l’ unione di tante forze e contiamo di reclutarne altre nel corso del nostro ancor giovane cammino, che possano essere catalizzatrici delle nuove necessità, germoglianti dal fertile Humus delle nuove leve teatrali, visive, e artistiche in genere.
E sono: Luca Marra(attore); Fiorella Rinaldi (attrice); Francesca Esposito (attrice); Claudia Pascotto (attrice); Alessandro De Vita (regia/drammaturgia); Cristian Sommaiuolo (musicista).

Waiting for Platone. Perchè? Cosa accomuna Platone e il teatro? La ricerca oltre le apparenze, azzardo… considerando il “luogo/non luogo” in cui l’azione scenica si svolge?
Mi piace quando azzardi. Parto dalla tua ultima domanda.
In effetti la questione dei non luoghi è un tema molto vivo nel tipo di teatro a cui noi siamo legati. In questo caso specifico, nel nostro nuovo spettacolo, è ancor più vivo questo senso di smaterializzazione dello spazio fisico, anche per la scelta di un tema assolutamente metafisico come il mito della caverna di Platone. Saprai bene che l’azione si svolge per l’appunto in una caverna, parlo del mito, e questi uomini si trovano lì incatenati, non sanno perché, non sanno da chi; vedono cose che passano sui muri e le prendono per visioni; suoni e rumori che sembrano parlare. È ovviamente l’idea di realtà, visione, vista, svista, ricostruzione che è al centro di tutto il lavoro. Lo spazio quindi diviene un personaggio ed è funzionale all’incedere drammaturgico; è un non luogo perché è fuori dalla realtà effettuale, ma è un luogo perché accoglie e si rende necessario al tutto. È una zona che in antropologia si definirebbe liminare, cioè uno spazio di confine tra due tipi di luoghi e per questa sua qualità, è il posto in cui ogni cosa può essere possibile, una fetta di spazio/tempo in cui accadono cose cruciali.
Certo, la ricerca oltre le apparenze è un tema centrale proprio anche in Platone e noi lo abbiamo messo in conto, ma ci ha interessato di più, l’idea di contrasto tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, tra la propria visione e il corto circuito della vista. Platone è stato un espediente per noi, necessario a raccontare una cosa che ci premeva approfondire, ma devo dire, che col nostro teatro c’ entra ben poco.

Waiting for Platone è il sottotitolo di questo lavoro; un omaggio ad un grande nome del teatro contemporaneo a cui facciamo riferimento che è Samuel Beckett; ricorderai Waiting for Godot, in cui il famigerato Godot viene aspettato per tutta la pièce ma non arriverà mai; noi aspettiamo un Platone che disveli, che renda le cose sensibili per quelle che realmente sono, ma come per Godot siamo destinati ad attendere irrimediabilmente a vuoto, in un modo però ironico, disincantato e a tratti divertente, essenzialmente paradossale.

Il testo non è semplice. Richiede la capacità di leggere una trasfigurazione concettuale per cui l’attenzione va tenuta desta nel pubblico. Ritieni ci siano tempi e modalità da migliorare o sei soddisfatto delle reazioni?
Sì, hai ragione. Il testo è volutamente poetico e paradossale. È una costante del mio modo di scrivere, sempre in bilico tra la deformazione linguistica e un realismo violento e disincantato. Da quello che ho potuto osservare, credo che ci sia stata una buona comunicazione, anche a volte a livello inconscio, tra la parola e il pubblico; a differenza di altri miei lavori, in questo caso, molti spettatori si sono proprio soffermati sui dialoghi, ci hanno chiesto molto e con grande attenzione. Sicuramente si può migliorare qua e là ancora molto però, possiamo dire in generale di aver avuto una bella risposta e questo ci rende già più che soddisfatti.

La pièce ingloba anche proiezioni e musica, che significato hanno?
Dunque, i video sono stati realizzati da me, con una tecnica presa a prestito dalla musica elettronica, cioè i visuals, immagini e musica a tempo. L’ idea di usare questa tecnica mi è venuta proprio perché così le proiezioni sarebbero state più facili da innestare nel ritmo generale dello spettacolo. Il loro significato ultimo è di ricreare lo spazio delle visioni raccontato nel mito. Si dice anche che proprio questa situazione immaginata da Platone sia la prima idea di cinema nella storia dell’uomo. Quindi, affascinato anche da questa sollecitazione, non potevo che ricreare una sensazione un po’ cinematografica della visione.
Le musiche di questi video sono state curate con grande attenzione e ricerca sonora da Cristian Sommaiuolo e Claudio Di Gennaro usando solo strumenti elettronici, ma ognuno dei due musicisti ha lavorato indipendentemente dall’altro senza neanche prendere visione del lavoro altrui, siccome mi interessava avere visioni differenti e per nulla contaminate a livello uditivo. Avere due spazi sonori a se stanti che dialogavano con il non spazio dell’azione fisica.

Prossimi spettacoli…
Mi piacerebbe fare uno spettacolo lavorando su un testo classico del teatro. Vorremmo cimentarci con dei lavori assodati per vedere quanto e come potremmo innovare o dialogare in modo proficuo con essi; ad esempio su Shakespeare o Euripide o entrambi fusi assieme. Lavorare con la musica classica anche, altro cruccio dei miei ultimi tempi, ma non nell’ambito dell’opera lirica. Insomma ci sono molti orizzonti da bucare e abbiamo molta voglia di mischiarci e perderci ancora e ancora.

Come vive la voglia di far respirare l’arte a Napoli?
Questa è la domanda più difficile che mi hai fatto.
Napoli e l’arte, il meridione e l’arte.
Viviamo un periodo di enorme difficoltà. Soprattutto per quanto riguarda il teatro. Il famoso rinascimento napoletano degli anni 80-90 con alcuni drammaturghi/attori come Moscato, Ruccello e altri oramai ha visto il suo declino, le istituzioni latitano abbastanza o fanno orecchie da mercante, lasciando sovvenzioni e aiuti in genere ai propri accoliti, i nomi che si vedono in giro sono sempre gli stessi e gli spettacoli che si propongono spesso e volentieri amano presupporre un’diozia di fondo del pubblico che fruirà di questi lavori. Non si fa più leva sulla necessità dell’arte o sul senso che l’arte è un BENE davvero indispensabile per le persone; il mestiere dell’artista, tenuto in massimo conto all’estero, qui diviene solo un modo originale di campare alla giornata; la temperie oscurantista nella quale viviamo appiattisce e massifica, crea bisogni fasulli e cancella le identità. D’altro canto ci sono realtà coraggiosissime e private che stanno cominciando a muovere qualcosa come ad esempio Lanificio 25 e Trip, due posti molto attivi per l’arte contemporanea e il teatro, con i quali noi collaboriamo. Ci sono poi moltissimi artisti che combattono con onestà e volontà, producendo cose di notevole interesse; il panorama dell’ underground napoletano è fortunatamente vivo e ricco di voglie. Insomma siamo tutti pronti al cambiamento, attendiamo solo il momento favorevole.
Adesso ad esempio, sta emergendo la tendenza a collegare e collettivizzare artisti e spazi, comincia un dialogo intenso tra le varie piccole e medie realtà napoletane, come Not Gallery, Lana, Lanificio e altri; si è fondato un collettivo di artisti che gravitano nell’orbita di Lanificio/trip che si chiama “Napoliconnected” di cui anche noi facciamo parte e che raccoglie tutte le nuove istanze più innovative dell’arte qui a Napoli. Insomma si prepara un nuovo tempo, e speriamo che arrivi presto!

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2 commenti

  1. Una delle più belle interviste di LostHighways. Grazie ad Amalia e Alessandro che hanno dato vita ad un dialogo d’arte unico e senza tempo.

  2. Un’intervista devvero bella e un progetto affascinante, soprattutto perchè unisce un po’ le mie due anime: la musica e il teatro. Grazie ad Amalia e Alessandro.

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