Quest’album è ricco di una complessa semplicità, di sentimento, di pulizia armonica, di novità e di non troppi cromatismi. Sono quasi lampanti i piccoli richiami alle tradizioni europee, il tutto coronato dalla lieve voce di Leigh, bellissima e delicata. Parte in sordina, questo piccolo tesoro, con un brano che da il la allo splendido lavoro composto da questi americani, We Have Forgotten. Si sente quasi che è un brano legato al secolo scorso, ad un certo stile. Alcuni dischi pop sono quasi automatici nei loro movimenti, li puoi prevedere. Invece quest’album non è contaminato, lo ritengo ancora puro. Puro nella voglia di fare musica, appartenente ad altri tempi, tempi talmente dietro l’angolo che quasi possiamo allungare il braccio per riconquistarli. Definirei i Sixpence None The Richer un pop di nicchia. Una musica non per la massa, anche se all’apparenza sembrano innocui e vendibili. Non possono appartenere a tutti perché non tutti hanno quella delicatezza necessaria al loro ascolto. Cosi appena parte We have forgotten la musica sembra risvegliarsi da un sonno profondo. Anithing comunica qualcosa d’arcano nella musica nuvolosa di cui è composto. Nuvolosa, cupa, ma che poi riesce ad aprirsi in un raggio di sole, accecante per l’ascoltatore che, imbavagliato dalle note che fuoriescono dalle casse per entrare nel cervello, non riesce a credere alle proprie orecchie quando il brano torna all’armonia iniziale. E da nebuolosità a delicatezza, eccoci cadere nella soavità di The waiting room. Dopo l’amore per un bacio aspettato di sera, su una panchina in un parco newyorkese, ecco arrivare il loro brano più famoso, quella Kiss me che rispecchia il loro stile musicale ed è diventato il singolo dell’intero disco. Easy to ignore è infame originalità regalata a chi ha avuto fiducia in loro comprando l’album, toccando sonorità celtiche che non si sentivano da tempo, che molti addetti ai lavori avevano relegato nella parte più celata della loro mente dando spazio a tante altre cose più oscene che non sto qui ad elencare. Qualcosa di vecchio ma che allo stesso tempo ti cattura e ti fa raffiorare tutto il groove della cara, vecchia, Inghilterra. Puedo scribi riprende una poesia di Pablo Neruda che dal celtico ci fa passare all’altra parte della musica, ossia al ritmo latino-melodico con un tango old style. Ma i nostri sanno anche essere moderni e Sister mother racconta una storia di vita comune. Strumentalmente particolare è poi l’arrangiamento e tutto quello che circonda I wan’t stay long, un pezzo quasi psichedelico che, anche quando si regala alla cattiveria musicale, non fa male e sa dare in ogni modo sensazioni da ricordare.
Se vi ritenete degli ascoltatori di buona musica, credo con tutta franchezza che quest’album debba far parte della vostra collezione. Magari nella sezione dei gruppi che, nel loro piccolo, hanno dato (anche solo un pizzico di novità ) alla musica pop.
Credits
Label: Squint Entertaiment – 1997
Line-up: Dale Baker (percussion, drums) – Justin Cary (bass) – David Davidson (violin) – Chris Donohue (bass) – Tom Howard (piano) – Peter Hyrka (violin) – Sean Kelly (guitar) – Phil Madeira (Hammond organ) – Leigh Nash (vocals) – Mark Nash (cymbals, hi hat) – John Mark Painter (accordion, multi instruments, bells, oud, muted trumpet, hurdygurdy, mellotron) – Al Perkins (pedal steel) – J.J. Plasencio (bass, upright bass) – Antoine Silverman (violin) – Matt Slocum (guitar, cello, multi instruments, Wurlitzer) – Kristin Wilkinson (viola)
Tracklist:
- We Have Forgotten
- Anything
- The Waiting Room
- Kiss Me
- Easy to Ignore
- Puedo Escribir
- I Can’t Catch You
- The Lines of My Earth
- Sister, Mother
- I Won’t Stay Long
- Love
- Moving On
- There She Goes
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