Dopo due album che lasciavano intravedere già grandi potenzialità, i tour con artisti del calibro di Radiohead, Tv on the Radio e Feist, la partecipazione alla compilation Dark Was The Night con due bellissimi brani di cui uno in compagnia della splendida Feist, il terzo disco dei Grizzly Bear era cosa tanto attesa e acclamata. La difficoltà di inquadrare Veckatimest in tendeze e/o strutture particolari è immensa. Un lavoro che lascia intravedere talmente tante suggestioni da risultare sfuggente, imprevedibile, policromo come la sua copertina. Un lavoro intimo che nasce dalla volontà di isolamento. La mente che con l’immaginazione guarda verso Veckatimest, l’isoletta grande quanto un isolato a sud di Cape Cod (Massachusetts), ed il corpo che sceglie i luoghi per favorirne l’abbandono, una chiesa di Brooklyn, un cottage, una casa di legno degli anni ’20 in montagna, vicino Woodstock. Ed è il folk ad innalzare le fondamenta di ogni composizione, a farsi sostrato a partire dal quale le idee prendono forma per poi svilupparsi su arterie inimmaginabili. Southern Point e Foreground sono più classiche tra chitarra acustica e piano, la matrice folk è più accentuata e non a caso rappresentano il principio e la fine dell’album. Dory è splendidamente dondolante per poi abbandonarsi tra punte di inquietudine e derive psichedeliche. E di tanto in tanto spunta forte quella vena pop nelle abbondanti parti corali, in quel modo di armonizzare polifonicamente le voci che fu già dei Beach Boys e che al giorno d’oggi è tanto abusato in una certa America. L’aggraziata Two Weeks ne è il perfetto esempio, impreziosita da un sound di batteria davvero fantastico. La cura nella scelta dei suoni, fortemente influenzati dagli stessi luoghi in cui si è scelto di registrarli, rende ogni brano intriso delle sfumature più sottili e l’intero disco un caleidoscopio dalle forme compositive più disparate. Il sound crunch della chitarra quasi ruba la scena alla polifonia delle voci nella pop song corale While You Wait For The Others, diventandone il principale protagonista. È commovente lasciarsi trasportare prima dalla maestosità crescente, ma sempre controllata, per poi abbandonarsi alla delicatezza delle voci in falsetto (All We Ask) o alle melodie visionarie (Fine For Now). E c’è spazio anche per inserti più decisamente rock, in cui le chitarre elettriche vanno ad aggiungersi a tutto ciò che costituisce il contorno sonoro, come sul finale di Ready, Able o in alcune esplosioni della magniloquente I live With You, in cui si fanno notare anche inserti blues. Cheerleader ricorda quel modo di comporre tra il rock e il pop molto ritmico e cadenzato, tipico dei Pinback, mentre Hold Still è una ballata dai risvolti inquietanti. Le armonie si incastrano sempre in maniera razionalmente inspiegabile, a innalzare edifici sonori con un procedimento che ha qualcosa di alchemico. L’apparente immediatezza delle melodie, nell’unione diviene complessità, quasi inintelligibilità. Un approccio che sa unire una visione progressiva delle fasi compositive alla consapevolezza della tradizione del pop d’autore. E il tutto porta ad un risultato che ha del geniale e si svela man mano che i brani entrano in circolo, dopo ascolti ripetuti. Ed è stupefacente come ogni cosa rimanga di una grande intimità, di grande gusto ed intelligenza, senza mai dare l’impressione di voler strafare anche quando i brani si fanno più maestosi. Ed è magnifico come si inserisca l’orchestra arrangiata da Nico Muhly (già arrangiatore per Bjork e Antony) o la voce di Victoria Legrand dei Beach House. Un (capo)lavoro dal valore che si renderà manifesto nel tempo, in tutta la sua personalità.
Credits
Label: Warp – 2009
Line-up: Edward Droste, Christopher Bear, Daniel Rossen, Chris Taylor
Tracklist:
- Southern Point
- Two Weeks
- All We Ask
- Fine For Now
- Cheerleader
- Dory
- Ready, Able
- About Face
- Hold Still
- While You Wait For The Others
- I Live With You
- Foreground
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