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Dadaismo e lingua francese nel nostro rock: intervista a Luigi Cozzolino (El-Ghor)

Dopo circa un anno dall’uscita del debut-abum Dada Danzè, il rock dadaista dei napoletani El-Ghor ha ottenuto grandissimi consensi dagli addetti ai lavori e dal pubblico. La scelta del cantato in francese di alcuni brani di Dada Danzè è stata vincente e verrà ripetuta e approfondita nel loro prossimo lavoro che uscirà sempre per la Seahorse. Dopo una loro intensa perofermance live, LostHighways ha incontrato Lugi Cozzolino, voce e lead guitar del gruppo, per parlare di questo particolare anno e della lavorazione del nuovo disco. (In collaborazione con Cristiano D’Anna)

Il vostro debut-album Dada Danzè è stato proclamato dal Mucchio tra i primi dieci migliori album d’esordio del 2007. Siete stati il gruppo spalla dei Giardini di Mirò… Come state vivendo questo magico momento?
Assolutamente no! Tutto per caso. La viviamo come tutte le persone che si svegliano la mattina pensando più al lavoro che alla musica e vedono in essa l’unica liberazione.

Stiamo già lavorando al disco nuovo, infatti in queste ultime date presentiamo in scaletta già metà dei nuovi brani. Paolo Messere della Seahorse ci ha dato grande libertà per continuare a realizzare la nostra musica. Siamo proiettati totalmente sul disco nuovo che sarà paradossalmente ancora più spensierato e disinvolto rispetto a Dadà Danzè. Se il primo lo vivi come un gioco considerando le interviste, le recensioni e la nostra condizione geografica, il secondo disco non può essere altrimenti. E’ vero che si dice solitamente che il secondo disco è quello più difficile ma per noi è ancora più un divertimento. Non voglio sembrare uno che non ha interesse in quello che stiamo realizzando ma voglio porre l’accento sul fatto che ora ci sentiamo liberi e felici nell’attività compositiva. Forse Paolo ci ha scelti un po’ troppo presto, un sentito grazie per la fiducia riposta in noi a quel tempo ma francamente venivamo solo da due anni di esperienza da sala e concerti, avevamo pochissimi pezzi, molti li abbiamo creati prima del soundcheck, durante quei primi cinquanta concerti, che anticipavano l’uscita di Dada Danzè e abbiamo vissuto la cosa un po’ costretti a battere il ferro finchè è caldo.

Se dovessi scegliere dei luoghi, dei posti per descrivere la musica di Dada Danzè, a cosa penseresti?
Una stanza… La mia stanza. La mia adolescenza. Il mio grande amore (n.d.r. indica la bassista Ilaria). La Germania che per me è stato un luogo fondamentale sia per il progetto di musica elettronica che per gli El-Ghor non perché lì sia tanto diverso da quello che vivo qui a Napoli ma mi ha dato la possibilità di staccare. Napoli è una piazza non facile… è un po’ sfidarsi e sfidare tutti i giorni.

Però è una doppia soddisfazione se ci riesci…
Si! Assolutamente. Vivere a distanza da Napoli non per lungo tempo ti insegna ancora di più… ti insegna tanto a capire i tempi, le reazioni e queste poi sono le cose che stanno nel disco magari riviste e riscritte in maniera romantica e lontana forse dal nostro vissuto… è il riflesso di quello che abbiamo sempre subito. Non ci va di parlare della Camorra, di problemi di immondizia nella nostra musica, ci sono già tanti che lo fanno e poi non pensiamo tra l’altro che la politica inserita in un contesto musicale possa risolvere i problemi nulla togliendo a chi lo fa.

Molto spesso può risultare stucchevole e strumentale…
Lo è in questo momento.

A canzoni non si fanno rivoluzioni come diceva Guccini.
Grande Guccini! Però Guccini non è stato a Napoli altrimenti avrebbe scritto altri sei dischi. Non avrebbe scritto La Locomotiva ma l’azienda che prende i rifiuti… L’ASIA…. E corre corre L’ASIA…

Il francese, l’italiano come lingua rock, cosa ne pensi?
Ti anticipo che il francese sarà la lingua del nostro secondo album. Alcuni brani del prossimo album saranno anche impegnati rispetto a quello vecchio. Sono ancora più legati alla nostra terra. Forse una rivoluzione nella rivoluzione perché resto dell’idea che il messaggio non va traghettato al fruitore con il cucchiaino ma va in parte ricercato. Mi aspetto che chi è interessato a comprendere un testo di un brano deve anche scandagliarlo a fondo. La lingua francese mi è sempre piaciuta anche per un fatto estetico. Per me l’estetica è un aspetto fondamentale per una band e per un qualsiasi contesto artistico. Forse ce l’hanno insegnato i Dadaisti, infatti il disco vecchio era legato a quella corrente. C’è la insegnato il surrealismo. Poi anche perché il francese è molto vicino alla lingua napoletana. Ha una musicalità meno obbligata di quella italiana e poi ci siamo accorti che poteva funzionare come scelta.

Cosa ne pensi della possibilità sincretica fra varie arti? Una possibile sinergia tra mondi artistici paralleli… ti pongo questa domanda visto che tu personalmente sei impegnato anche in attività di art-work e noi abbiamo una sezione a riguardo.
Chi non contamina la musica con altre arti e soltanto un musicista. Chi riesce a mettere la poesia in musica e in Italia ci sono tanti, vedi Guccini come prima, realizza una bella cosa. Mi viene in mente De Andrè e soprattutto Tenco. Non tanto per la fine tragica ma credo che sia la risposta italiana allo Ian Curtis degli anni ’80 in inghilterra. Era un artista, un poeta così completo che suicidandosi ha dato una strada per continuare ai posteri non limitandosi con quella scelta a risolvere solo i propri problemi. E’ strana questa cosa… è ancora più romantica… chi si uccide ti dà la possibilità di poter costruire un nuovo mondo.
Ritornando al discorso della sinergia tra arti questo concetto è molto forte in me soprattutto perché non mi sento un musicista e mi sono sempre ispirato ad avventure creative intense della storia del rock come quelle del movimento della pop-art che dava linfa a gruppi come i Velvet Underground e quindi si chiude il cerchio con il riferimento ai Dadaisti che abbiamo scelto in Dada Danzè. Io penso che i Dadaisti agli inizi del novecento abbiano avuto un atteggiamento punk e rivoluzionario per l’epoca. Dada Danzè gira intorno a Sans logique un pezzo in cui io non dico nulla e che tra l’altro fece anche Guccini, che durante un concerto cantò un pezzo in modenese e disse pure: “se non capite nulla, a voi che frega ascoltate tante cose in inglese e non capite nulla”. Mi piaceva la fonetica delle parole in Sans logique.

Negli anni novanta si parlava di scena underground oggi di scena indie, ci sono differenze?
Indie è come l’etichetta post di cinque anni fa. Denomina la musica che non è catalogabile e appartenente ad un circuito limitato. L’etichetta underground nella mia adolescenza era riferito a gente come i Sonic Youth perché all’epoca non esisteva ancora la parola indie intesa come oggi. A quei tempi uscirono per la Geffen che ora è una grande etichetta. Era un gruppo underground perché inclassificabile. E’ strano ma non mi sembra ci siano differenze e similitudini, forse sono la stessa cosa. C’è una maggior attenzione alla scena underground di oggi attraverso l’etichettatura “indie”, solo questo penso sia il nocciolo della questione.

Grazie dell’intervista.
Grazie a voi.

Video – Nella resa il vanto

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