“… Ed ecco / la città, in una sua povera ora nuda, / terrificante come ogni nudità.” (Pier Paolo Pasolini).
Un giovedì ancora assopito nell’ipocrisia natalizia, al limite tra la sera e la notte, sulla soglia di un locale del centro storico della Napoli che tenta cultura nel perimetro disegnato tra lo splendore discreto del Teatro Bellini, i deliri provocatori dell’Accademia di Belle Arti e
Il Mutiny sembra non esistere nel buio silente della strada poco illuminata.
Un antro del passato fatto di ricordi da bagno turco e bordello, graffi di storia del costume libertino e vulcanico evocato nei morbidi cuscini da pouf, nelle riproduzioni delle pitture oscene della sfrenata Pompei, nelle luci basse e calde, nelle stoffe della tattile intimità. In questo ventre due musicisti danno suono e visione a La stagione del cannibale, un album di grande eleganza, sobrietà e densità concettuale… quella da cogliere, da intuire, da assoparare nel retrogusto. Due musicisti, ovvero due costole di una band dal nome che scatena il gioco delle associazioni e dei vortici delle provocazioni: Amor Fou. Alessandro Raina e Leziero Rescigno, in due… semplicemente per sonorizzare un film ordito dalla regia di Paolo Santagostino, un collage ispirato al colore e al sapore del disco. Quindi i rimandi cinematografici hanno forma nel bianco e nero che scorre sui muri mentre voce e strumenti raccontano l’amore così regolare da dominare la vita e da rendere
“L’altro giorno / mi è successo di pensare / a quel folle pomeriggio in cui mi dicesti fine / quella piazza / quella lurida fontana / quello scoppio / come un chiodo nella voce / come un fuoco / mi bruciavo” (L’anno luce): è l’inizio della storia che gli Amor Fou raccontano, e le movenze elettroacustiche rincorrono con charme il flusso delle immagini che dicono seppur mute. L’acqua che scorre dal muro, di mare e non solo, ha suono di chitarra. Le corse di bambini di vita, le danze dei corpi, le scie di auto si consumano tra i versi che seguono naturalezza e compiutezza: La convinzione, Due cuori, una dark room, I ritorni, La stagione del cannibale, Ore 10: parla un misogino, Se un ragazzino appicca il fuoco, Cos’è la libertà? come attese soddisfatte, come piccoli fuochi a illuminare implosioni dal profondo.
In assoluta nudità accarezza Ragazzo triste, riportando la malinconia di una canzone senza rughe.
L’amore e la sua follia, tra dolcezza e sfida, tra attimi di incroci improbabili in una giornata particolare, tra fughe e ovvietà che seducono… comunque: “esalterò i lati meno nobili del cuore / ritaglierò le foto delle tue fortune / e forse proveremo a cominciare dalle cose che non so dove portare / e forse ci diranno di imparare a non sentire / non lo so” (Venti giorni di vita di una donna famosa).
Un giovedì qualunque che cavalca il suo limite nella notte del giorno a venire. Una notte che lascia sapori, odori, pensieri e divagazioni, note e parole che illuminano una “terra incendiata il cui incendio / spento stasera o da millenni, / è una cerchia infinita di ruderi rosa, /carboni e ossa biancheggianti, impalcature / dilavate dall’acqua e poi bruciate / da nuovo sole”. (Lost Gallery)
Come ri-condotta dove ancora non ho osato muovere alcun passo. Come abbracciata dalla delicatezza di certi schiaffi suonati al costume comune, al comune senso di alcun pudore. Come fossi stata lì, a perdermi fra le mani di chi il passato lo vince, lo con-vince.
Grazie Amalia, per come il racconto è musica e fotogramma e sensazione.
Avrò il piacere di verderli ad Aprile in un festival qui a casa mia..
Mi sono incuriosita ancora di più..
Ottime parole.
La magia di quella serata è nelle tue parole…grazie di cuore.
si si, li aspetto anch’io tra qualke settimana;)