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Dalla nostra carne, dal nostro sangue e dal nostro makeup: intervista a Lucia (Betty Ford Center)

Partenza da Catania. Profondo sud e sound da provocazioni e contorsioni votate al paradiso, all’inferno, alla carne, al sangue.
Rotta su Milano e vomito creativo nel primo ep. Lucia dei Betty Ford Center ci racconta pensieri senza freni sul mondo presunto dell’indie e sulle incoerenze della rete. Ovviamente, la musica che prova a distinguersi è al centro e magari sceglie di scivolare in anglometrica! LostHighways non poteva non incrociare le parole di una band capace di uno straordinario Ep: Enjoy the rehab!

Come prima cosa vi faccio i complimenti per Enjoy the rehab. E’ un lavoro di quelli diretti e, anche se sono maleducato, vado subito al dunque…Parlateci del prossimo. Come sarà e come nasce?
Si chiama Uncool, e nasce dalla nostra carne, dal nostro sangue e dal nostro makeup!

Forse sarà una domanda stupida ma la faccio lo stesso! Perché la scelta dell’inglese? E’ per “sdoganarsi” o per attitudine? Io penso che Lucia abbia il dono dell’introspezione, l’italiano non permetterebbe una maggiore libertà di espressione?
I Betty Ford Center fanno introspezione in “anglometrica” perché viene loro naturale e l’orecchio gradisce il suono sdrucciolo delle parole.

I Betty Ford Center danno l’impressione di essere una grande famiglia più che una rock band. Come nasce il gruppo? Parlatemi un poco di voi…
Il gruppo nasce dall’incontro di tre persone che esordiscono a Catania, si rotolano nell’underground, vomitano sull’indierock e arrivano a Milano per registrare Uncool con un produttore mainstream… in mezzo ci sono calore, passione, colore, velocità, paradiso e inferno, sia sulla scena che nella vita.

Un uccellino mi dice che siete stati al MEI… raccontateci un po’.
Ahahahahhahahahah!!! Credo che il tutto possa riassumersi nell’intervista che l’ottima Federica Civica ci ha fatto per Ecotv (circuito sky)… i tre Betty, piuttosto alticci e su di giri, hanno vomitato sull’indierock way of life di fronte a legioni di indieguys e in quella che è la più grande aggregazione organizzata di indierockers!
Eravamo lì per vedere i Pitch, che suonavano a un reading (e che sono stati meravigliosi, per inciso…), e perché Ecotv ci aveva assegnato uno spazio nel suo stand.
Per il resto abbiamo vagato pocoperchè, se te la dobbiamo dire proprio tutta, quel poco che abbiamo visto ci è bastato per farci battere in precipitosa ritirata…

Una volta c’era la casa discografica ed era il “sogno” e la “strada” di molte band. Ora sembra che navighino in cattive acque e che la via per la visibilità sia diventata Internet. Io lo reputo ancora un canale con pochi filtri dove è difficile fare una cernita fra roba scadente e roba buona. Voi che ne pensate della rete come mezzo di diffusione della musica?
Vediamo in giro band vittime di grossi equivoci, che sognano ad occhi aperti che un’etichetta cambi radicalmente la loro vita e poi però non pretendono l’essenziale e cioè che la produzione sia vera, e magari pagano letteralmente registrazione e disco. Questa è autoproduzione. Chi mette solo il marchietto e non i soldi non produce.
Internet e canali come MySpace permettono alle band di far circolare la loro musica in tutto il mondo a costo zero e questo agevola non solo chi non ha grossi mezzi, ma alla lunga anche chi merita davvero, perchè non c’è massoneria intellettuale o reale che tenga di fronte alla potenza di un gusto libero su scala mondiale.
Noi Betty crediamo nel movimento dal basso e nell’investimento dall’alto. Di fatto è quello che è successo a noi: abbiamo cominciato a suonare, siamo piaciuti, all’inzio chiedevamo noi le serate, poi hanno cominciato a chiedercele, il gruppo è andato sempre meglio, abbiamo cominciato a girare l’Italia e infine un produttore ci ha notato, ha creduto davvero in noi e ci ha prodotto l’ep.

Ho letto che fate differenza fra “indie” ed “underground” (Sembra sciocco invece è sacrosanto. Se “indie” sta per “indipendente” mi verrebbe da chiedermi “da cosa”) . Mi spiegate qual è la differenza che vedete fra l’una e l’altro?
“Indie” originariamente significava “indipendente”, indicava tutto ciò che si collocava al di fuori del circuito mainstream ed effettivamente in molti casi era davvero sinonimo di libertà. col tempo “indie” è diventato invece un gusto specifico, un unico genere musicale ed un mondo fatto di tante cose diverse, ma con un denominatore comune di tastierine, chitarrine, vinili, scarpette a pois e noia… è per questo che preferiamo termini come “alternative” ed “undereground”.

Mi piace filosofizzare, lo avrete capito. Cosa spinge a fare musica? Cosa spinge a mettersi in gioco su un palco? Necessità, protagonismo, attitudine, salvezza, terapia, voglia di “arrivare”… cosa?
Credo che per ognuno sia diverso. Per noi è bisogno. Un crudo bisogno.

Questa è Marzulliana. Nel fare musica, buona musica, ad indicare la strada sono i sogni o gli incubi??
Dipende. Forse entrambi…

Sembrerebbe che, per usare un’espressione molto anni ’70, in giro ci sia molto fermento. E’ vero? E’ falso?… Dove va la musica in Italia?
La musica è ovunque, basta aprire bene gli occhi, ci sono gruppi stupendi in giro, ma non seguite l’ottuso dito di cemento armato di qualcuno deputato a indicarvi la via… mettevi a cercare e troverete. anche in questo la rete è wonderland.
In italia la musica “emersa” è, salvo eccezioni, oggettivamente oscena. Personalmente noi auspichiamo che la musica italiana esploda e poi risorga decentemente dalle sue ceneri.

Se non avreste fatto musica, cosa avreste fatto? (Che domandina!)
No, perchè? Mi sembra una domanda lecita, e la risposta che è stupida… perché è “boh”!

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2 commenti

  1. Grande colpo del fratello gentile!

  2. Come sempre fai la differenza…ok adesso so kosa devo andare a comprare…ciao

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