Il freddo mi rende le mani dure. Cerco di inserire la chiave della macchina; devo accendere il motore e scaldarlo un po’. Oltre il vetro di fronte a me tutto è grigio: ogni cosa è indefinita e sfumata, le luci dei lampioni sono bagliori sfuocati che arrivano da un punto imprecisato sopra di me. Il Teatro degli Orrori hanno esagerato con la scenografia, scomodando chi al piano di sopra si occupa degli effetti meteorologici.
Non poteva essere tutto più azzeccato di così.
Il capannone in cui ha sede l’Estragon è perso nel grande piazzale che a Bologna accoglie due grandi tendoni da circo. Sono dentro ad un decadente horror in cui presto elefanti storpi e donne barbute, so che mi assaliranno.
Invece riesco a trovare il locale, e a calpestarmi sarà solo un carrarmato di rock.
Pierpaolo Capovilla è il primo ad apparire sul palco, avvolto da luci rosso fuoco che danno colore ad un essere maligno, con sorriso beffardo e una mimica ammaliante.
Gli altri componenti del gruppo lo seguono dopo un istante, ancora nell’ombra. Gionata Mirai imbraccia la chitarra, Francesco Valente si siede dietro la batteria e Giulio Ragno Faveri al basso.
C’è qualcosa di davvero suggestivo nell’aria. Uno spettacolo dai toni cupi e suoni che bruciano sulla pelle.
Chitarra, batteria, basso e voce: basta poco a creare uno spettacolo che ha l’intento di andare a scoprire i propri luoghi oscuri. Togliere il velo di falsa moralità e vergogna, guardarsi dentro e sputarsi addosso: lasciarsi calpestare per sentirsi vivi. Sentire la propria puzza per rendersi conto di non essere morti.
“E il cielo piange / mentre tu dormi senza respiro / sei cosi bello che mi ricordi un letto di neve / e il vento ride / e il freddo soffia, / sembra che voglia prendersi gioco del nostro viso / e vecchio cappotto / ed è per questo / non sono mai e poi mai più tornato indietro. / Indietro non si ritorna, eh eh eh eh! Questo è poco ma sicuro!”.
Il teatro degli orrori canta questo: parla di ognuno di noi e del buio che ci esce fuori e a volte ci assale, perchè “Oh non siamo tutti chi un po’ più o chi un po’ di meno: siamo tutti tutti tutti completamente pazzi” (Lei venne).
Velocissimi riff di chitarra lottano con un ritmo martellante (quasi noise) dettato da basso a batteria, per poi perdersi quasi sempre in divagazioni oscillanti, di riflessione (prog) come alla fine di uno scatto d’ira (punk).
Intorno al suono dei One Dimensional Man, questa nuova sanguigna esperienza riesce a comunicare in modo diretto grazie al cantato in italiano, poetico e non banale, che spiazza in un panorama musicale in cui il rock (particolarmente quello più duro) spesso va a braccetto con la lingua inglese.
La teatralità del gruppo ha anima e corpo nel cantante Pierpaolo Capovilla: una bestia in cattività che si dimena sul palco. Come una tigre del circo, egli si muove con fare regale e affascinante, scrutando il pubblico con sguardi pietrificanti rubati a Medusa. Il suono che si crea intorno a lui sembra a tratti trasformasi in una frusta che ferisce la sua pelle, facendogli inarcare la schiena e abbassare la testa sudata; disarmata la tigre si china, ma mai si arrende.
“Hai mai pensato che / non è finita qui? / possiamo fare molto peggio e scendere un po’ più giù” (Scende la notte).
La batteria squarcia la terra, mentre le vibrazioni del basso fanno ribollire il magma incandescente, fino alle eruzioni spinte dalla chitarra. La voce scappa dalla lava bollente che schizza in aria e scivola lungo il pendio. Sono corse senza fiato e ricolme di rabbia, fino a quando, osservando il paesaggio distrutto, si riesce a trovare il tempo per il silenzio.
La canzone di Tom avvolge ed emoziona con i suoi toni soffusi ed intimi. Il pubblico capisce che dal palco Il teatro degli Orrori si sta rivolgendo a loro con l’anima e il corpo, lo spirito e la carne: niente viene risparmiato. Il suono, nonostante la potenza intrinseca di ogni pezzo, è incredibilmente pulito sembrando davvero irreale. Una perfezione di intenti e risultati che tutta la gente apprezza ricambiandolo con scroscianti applausi. C’è chi salta, c’è chi si dimena, c’è chi si lascia cullare e schiaffeggiare in silenzio: il suono del Teatro degli Orrori conquista, entra, mentre i testi ricercati sviscerano parti di noi.
Pierpaolo ringrazia il pubblico per aver scelto di essere venuti al concerto. Chi è all’Estragon questa sera ha scelto la musica live alla televisione di casa, ha scelto emozioni vere.
“Noi siamo vivi! Noi siamo vivi! Noi siamo vivi!” urla al microfono. “SIAMO VIVI!” (Lost Gallery).
grande Emanuele… mitico questo report! checchè se ne dica, Il Teatro degli Orrori è stata la grande rivelazione del 2007… e spero presto anch’io di poterli vedere live!!
Io li ho incontrati a Giugno 2007, per caso, in un concerto tenuto in un posto magnifico sulle colline sopra a casa mia.
Tu sei andato li preparato.. io me li sono ritrovati sul palco senza aspettarmelo e furono veramente una frustata nella schiena.
Ho ritrovato nelle tue parole molte delle sensazioni che provai quella sera.
Lui Terminò il concerto con questa frase:
E Quando andate a casa questa sera date uno schiaffo ai vostri bambini, e ditegli che quello era lo schiaffo del Teatro Degli Orrori.
E poi una sorta di sorriso storto sulla sua bocca.
(bravo anche con le Foto!!! Sono proprio contenta di vedere che stai prendendo dimestichezza con la tua nuova amica)
Concordo con Gian: Il Teatro degli Orrori sono uno dei gruppi rivelazione del 2007! Complimenti e grazie ad Emanuele per il report e le foto meravigliose!