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Il rock che professa la bellezza della lentezza: Intervista ai Ka Mate Ka Ora

kmko_1Ogni giorno ci perdiamo, correndo nel labirinto del nulla. Rincorriamo il tempo dimenticando che nella sosta lo afferreremmo. Il tema della lentezza è il fulcro principale di Thick as the summer stars, disco d’esordio del gruppo pistoiese emergente Ka mate ka ora. Il loro sound è avvolgente e ammaliante come certi dischi dei Pink Floyd e dei Giardini di Mirò. Il produttore americano Kramer (R. Wyatt, Low) ha mixato e masterizzato il loro lavoro, impreziosito tra l’altro da interessanti collaborazioni come quelle con Samuel Katarro e Michelle Davis. Siamo davanti ad una band che ha un suo particolare sentire e riesce a trasmetterlo in una maniera unica. LostHighways ha realizzato quest’intervista come sempre, nell’obiettivo di approfondire e battere le intense strade musicali dell’underground italico.

Perché il primo verso della danza di sfida tipica del popolo Maori della Nuova Zelanda ha dato vita al nome del vostro progetto musicale?
La scelta del nome è stata abbastanza casuale, non avevamo intenzione di comunicare alcun messaggio specifico, ci siamo affidati al suono e Ka mate Ka ora suonava sufficientemente male. Tutto qui.

Nel booklet del vostro lavoro di debutto Thick as the summer stars vi definite una band slow-core shoegaze. Ma in voi sembrano confluire anche altre radici musicali quali il progressive floydiano e il post-rock dei Giardini di Mirò, è giusto?
La frase di cui parli, inserita all’interno del booklet del disco, aveva nelle nostre intenzioni un piccolo fine provocatorio. E’ un po’ come dire: ok, abbiamo le nostre influenze e riferimenti musicali ma ci sentiamo sufficientemente personali da non doverle nascondere. Ti dico poi che tra le nostre influenze hanno senz’altro un ruolo i Pink Floyd e certo post-rock.

Avete le linee di un progetto che sembra puramente strumentale, ma che poi vira verso gli inserti di voci di Samuel Katarro e Michelle Davis. Come sono nate queste collaborazioni?
In realtà, i brani cantati del disco sono stati concepiti in questo modo fin dall’inizio. Non siamo un gruppo strumentale, Stefano ha sempre cantato e in futuro lo farà ancora di più. Solamente Rain is coming faster era nato come strumentale e poi in fase di registrazione abbiamo deciso di aggiungere la voce di Michelle. Per il resto, Samuel Katarro canta due brani e fa i cori in quasi tutte le altre. L’idea di farle cantare proprio a lui è nata molto spontaneamente: Samuel è amico e concittadino, oltre ad essere un musicista di grande sensibilità. Per noi ha fatto un grande lavoro.

“Il tempo e lo spazio definiscono la ricchezza e la ricchezza è privilegio di pochi” da Shorts di V. Trevisan. Il tema della lentezza è il fulcro tematico del vostro disco. Questa società corre veloce e con la vostra musica sembra che voi abbiate creato quella stanza sonora che crea una pausa dall’infinita corsa del consumismo…
La frase di Trevisan esprime il concetto sacrosanto che oggi anche il tempo può essere comprato: solo chi è davvero ricco può permettersi di avere tempo da “sprecare”. L’idea che è alla base della nostra musica è legata al potenziale potere catartico della lentezza, della necessità di prendersi il tempo che serve. Solo in questo modo ci si può davvero riappropriare della consapevolezza di noi stessi e dei nostri reali bisogni. Perché una vita inconsapevole non vale la pena di essere vissuta.

Draw a straight line and follow it sfocia in una coda corale che trasfigura il mood malinconico iniziale in un vortice di grida di angoscia… come è nato questo brano?
Nasce dall’idea di comporre un brano di soli due accordi, che si muovesse con microscopiche variazioni, capaci di creare una gamma estesa di suggestioni. Non so se siamo riusciti nell’intento, ma tant’è.

kmko_2Nella produzione di un sound come il vostro quanto conta il senso dell’improvvisazione e quanto il disegno razionale della giustapposizione dei momenti melodici che possono caratterizzare il brano?
Nel nostro modo di comporre usiamo talvolta l’improvvisazione come possibile spunto iniziale. Appena sentiamo che qualcosa ci piace, ci fermiamo e ci lavoriamo sopra. Una sorta di improvvisazione controllata, per così dire. Abbiamo le idee abbastanza chiare su come vogliamo suonare.

Come è stata scelta la copertina del disco?
La copertina nasce da una foto fatta da Stefano a due statuine, ordinarie, non particolarmente belle, che tuttavia nella foto acquisiscono una certa austerità, un loro significato. Volevamo esprimere la capacità dell’arte di trasfigurare l’esistente.

Calm down – Preview

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