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Marco Notari: Arrivederci

In collaborazione con Libellula Music, in esclusiva il tredicesimo racconto e l’illustrazione contenuti in Babele:noir di Marco Notari.

13) Arrivederci – storia e testo: M.Notari

“Nonna, nonna !”
“Vieni qui dalla nonna, tesoro ! Guai a chi ti guarda, guai a chi ti tocca !”
Il bambino abbraccia l’anziana signora da dietro le spesse lenti dei suoi occhiali, poi corre di nuovo via verso le altalene del parco. Si chiama Marco, e ha quattro anni. Sua sorella Valentine, sette mesi, riposa nel passeggino accanto alla nonna. La mamma dei due bambini si chiama Pauline, l’uomo che ha sposato in un matrimonio civile Jean-Claude. La nonna ha voluto che al primo bambino fosse dato un nome italiano, ricordo di una sua vita precedente, e ha convinto i genitori a lasciarle insegnare ai nipoti quella lingua. Così loro sanno, da quando sono piccolissimi, che con la nonna si parla solo in italiano.

Lucia si siede su una delle panchine del parco. E’ un parco di periferia come tanti, con le sue panchine di pietra su cui adolescenti inquieti hanno inciso il proprio amore immortale, un campo da bocce dove signori attempati si affannano lanciando di tanto in tanto stanche urla di gioia o delusione, un prato spelacchiato con qualche giostra arrugginita. Lucia guarda Marco che corre dietro a un pallone. A volte le capita ancora di pensare che se avesse avuto un figlio maschio da Cristiano sarebbe stato così. In ogni suo tratto somatico, in ogni suo gesto, riconosce insieme se stessa e l’uomo che senza saperlo ha generato con lei Pauline. Valentine al contrario è la copia sputata della madre, non ci sono dubbi.
Lucia non ha mai cambiato quartiere, vive ancora nel Noord, anche se al terzo piano e in un alloggio decisamente più confortevole rispetto a quello dove abitava da ragazza. Non è diventata una pittrice famosa, anche se ha continuato a coltivare la sua arte con passione ed ancora dipinge. Dopo Cristiano ha avuto tanti uomini, ad ognuno di loro ha regalato un quadro, da ogni relazione ha imparato qualcosa, ma nessuna è durata. Ad Amsterdam ha trovato amicizie sincere, un paese più aperto e civile di quello da cui proveniva, un buon lavoro come insegnante di lingue che ha portato avanti fino alla pensione.
Si fruga nelle tasca sinistra del cappotto e tira fuori una busta. Non è riuscita in nessun modo a risalire al luogo da cui è stata spedita. Sopra c’è solo un francobollo americano che le fa capire che proviene da qualche parte degli U.S.A.. Su chi sia il mittente ha pochi dubbi, dentro la busta c’è una foto di sua madre che lei aveva nascosto tanti anni fa dentro un libretto universitario. Se la gira fra le mani, e sente lo stesso vigore che sentiva allora, il giorno in cui decise di partire. E’ una donna forte, consapevole, serena.
Osserva la foto e ripensa a quegli anni, alla fuga con Cristiano, al suo maldestro tentativo di suicidio, al giorno in cui è nata Pauline, ed una lacrima silenziosa scende a rigarle il volto. Pensa a come la vita sia un cerchio, in cui si è destinati ad affannarsi ogni giorno per provare a riavvicinarsi a ciò che si era nell’attimo in cui si è nati, a catturare un grammo del proprio essere.
Da quel giorno in cui si è quasi uccisa Lucia ha messo in discussione tutte le cose che credeva di conoscere, analizzandole pazientemente da tutti i punti di vista possibili e lasciandosi in qualche modo contaminare da ognuno di essi. Dopo di che ha usato la scelta, come strumento di decisione che la aiutasse a capire meglio chi era. E adesso, seduta a sessantadue anni su questa panchina, ha la netta sensazione che razionalmente non le basterebbero altre dieci vite per arrivare a quel punto da cui è partita, per capire davvero chi è lei. Eppure guardando Valentine nel passeggino, magicamente, le sembra di sentire una piccola incrinatura nello spazio tempo dell’universo che le consente di scorgere, come attraverso una tenda trasparente di seta, se stessa.
Guarda la bambina e sorride.
“Forza Marco, si sta facendo buio, è ora di tornare a casa.”

© Diavu (Clicca sull’immagine per ingrandire)

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