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Volti nascosti e maschera svelate di PJ Harvey

copertinapjStefano Solventi, originale e appassionata penna de Il Mucchio e sentire.ascoltare.com, dedica il saggio PJ Harvey Musica Maschere Vita (Odoya Edizioni) alla ribelle songwriter inglese che ha segnato in maniera esemplare il rock al femminile dell’ultimo ventennio. Uscito indenne dagli anni Ottanta e inoltratosi con diffidenza nei Novanta, Solventi incrocia la cantante del Dorset grazie all’ascolto dell’album Rid Of Me, esperienza che egli stesso descrive usando una singolare metafora: “fu come inciampare sugli scogli, andare a sbattere rovinosamente e con contorno di escoriazioni. Per poi rialzarsi e dire ancora”. L’intensità poetica e la forza emotiva di quelle canzoni svelavano un coraggio che il rock sembrava aver dimenticato in quegli anni.

Nonostante l’aspetto da eterna ragazzina, la Harvey riesce a sbirciare dall’interno il lato profondo e occulto delle cose: “Penso di essere interessata a esplorare tutti i modi di essere dell’umanità. L’essenza stessa di ciò che significa essere creatura umana sul pianeta Terra” (Pitchwork, novembre 2007).
Solventi traccia un percorso biografico, corredato da immagini in bianco e nero e dichiarazioni rilasciate dalla rockeuse alla stampa internazionale, esplorandone la discografia e le varie tappe artistiche e non solo: “sono più complessa di qualunque stereotipo, e ci sono parti di me destinate a rimanere completamente sconosciute…” (Rumore, maggio 2004). Esattamente come accade per la sua musica, la Harvey appare sfuggente e affascinante ma avvolta da un alone di mistero ancora indecifrato, se non altro non decifrabile in maniera univoca. L’autore del saggio scandaglia ogni controverso personaggio interpretato durante vent’anni di carriera dalla sofisticata cantante, ognuno irrimediabilmente oppresso dal terribile peso di un fardello da scontare.
PJ Harvey è cresciuta in una piccola fattoria nelle vicinanze di Corscombe, a sud ovest dell’Inghilterra. La sua adolescenza non sembra registrare particolari tormenti. Figlia di un artigiano e di una scultrice, già da bambina i genitori l’hanno introdotta al blues, al jazz e all’art-rock music, tutti generi che più tardi influenzeranno il suo stile musicale: “Penso che il modo in cui siamo quando cresciamo sia il risultato di quello che abbiamo conosciuto da piccoli” (Rolling Stone, 1995).
Inizia diciottenne la sua carriera di cantante e chitarrista come membro di un originale trio che include il batterista Rob Ellis e il bassista Steve Vaughan, chiamato proprio PJ Harvey Trio. Dopo aver inciso un paio di singoli, nel 1992 l’etichetta Too Pure pubblica Dry, un capolavoro di blues e post-punk fusi insieme. Il nome della cantante inizia a echeggiare tanto da arrivare all’orecchio di una major: la Island Record, che l’anno successivo decide di pubblicare negli USA proprio Rid Of Me. Nel 1995 arriva il successo mondiale con To Bring You My Love, una pietra miliare del rock alternativo che Polly Jane si gusta senza i vecchi compagni del trio. Il 1996 è l’anno del sodalizio artistico tra la Harvey ed il chitarrista John Parish, insieme realizzano Dance hall at Louse point, un album dalle sonorità stridenti, dove per la prima volta PJ Harvey si misura con musiche scritte da altri. Nel 1998 l’ambizioso album sperimentale Is This Desire? è accolto da pareri discordanti da parte della critica, la musica si arricchisce di seduzioni elettroniche che, probabilmente risultano eccessive rispetto alle chitarre degli esordi. Gli inquieti personaggi che lo popolano sono carichi di desiderio, passione, e una voglia di purificazione urgente ma lontana. A due anni di distanza e dopo un soggiorno a New York, esce Stories from the City, Stories from the Sea. L’album, probabilmente il più accessibile della carriera di PJ Harvey, ottiene un enorme successo di critica e di vendite, ne conta più di un milione in tutto il mondo. Le immagini della metropoli americana si ritrovano sia nei testi sia nella musica, nervosa e spigolosa come agli esordi: “spesso i testi che scrivo vengono intesi come autbiografici, ma non sono una persona triste come i personaggi delle mie canzoni…” (Spin, ottobre 2005). Inoltre segna un significativo cambio di umore per la musicista che canta come se avesse ritrovato la felicità nella vita. Ospite d’eccezione del disco Thom Yorke dei Radiohead, duettano insieme nello straziante e tenero brano This Mess We’re In. Nel 2004 esce Uh Huh Her, una specie di autocelebrazione, Polly Jane ne cura composizione, produzione, registrazione, missaggio e suona tutti gli strumenti, eccetto la batteria. La copertina ci mostra l’espressione minacciosa del primo piano del suo volto, i titoli dei testi richiamano immagini del passato, quei suoni ruvidi e sinuosi, ci espongono una nudità quasi intollerabile che colpisce al volto. Fragile e doloroso l’album del 2007 White chalk, una raccolta di memorie familiari le cui canzoni vivono di ombre ambigue, di voci riverberate; in loro c’è un dolore impossibile da dominare, davanti al quale quella voce così sicura di sé sparisce, si assottiglia, diventa delicata, alta e timorosa.
L’anno scorso la Harvey sceglie di tornare sulle scene insieme a John Parish, fidato collaboratore: “[Polly] è una delle mie più vecchie e care amiche. Mi fido di lei ciecamente” (Iarecord.com, giugno 2009). L’album A Woman A Man Walked By li vede entrambi impegnati in un processo creativo a quattro mani, in un’unione tra le musiche di Parish ai testi della Harvey, che modula la sua calda e cupa voce in frequenze dal forte impatto emotivo.
In tutte le opere di PJ Harvey la partecipazione emotiva è talmente intensa da lasciare letteralmente storditi, le parole arrivano con una forza tale da chiedersi se quello che ascoltiamo sia o meno autobiografico: “… sono cresciuta con il mare vicino. La terraferma rappresenta la parte cosciente, il mare quella subcosciente. Allo stesso modo scrivere canzoni richiede combinare immaginazione e realtà la fantasia e le cose che ti capitano realmente” (Rockol.it, ottobre 2000).
Il libro di Solventi riesce, forse per la prima volta a rendere giustizia alla complessa figura di questa ribelle sirena del rock e le restituisce quella statura artistica a molti ancora sconosciuta.
Libro consigliato ai fans appassionati e ai neofiti che si cimentano, per la prima volta, con la multiforme personalità di PJ Harvey.

Stefano Solventi – PJ Harvey Musiche, maschere, vita, collana Cult Music (Odoya, 2009; pp. 240)

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