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Favole di folk: intervista agli Slow Club

slowclub_inter01Soltanto sette mesi fa ci eravamo innamorati del folk bellissimo e minimale di questo giovanissimo duo inglese nato dalle ceneri dei Lonely Hearts. Yeah, So, il loro disco d’esordio, prodotto da Mike Timm e uscito lo scorso Luglio per Moshi Moshi, ci aveva mostrato già le peculiarità della loro musica, molto legata al folk americano più che a quello inglese e dalle melodie sempre molto belle. Un lavoro che poteva brillare davvero di luce propria nel mostrare la sua genuinità giovanile e un po’ bambinesca ma anche l’austerità antica, matura e sincera della tradizione. Dopo il successo del brano Christmas TV, utilizzato nella seconda stagione della serie televisiva Chuck della NBC, e la pubblicazione di un Christmas ep, approfittiamo della pausa dal tour per scambiare due chiacchiere con loro, per cercare di conoscere più a fondo quella musica che ha la facoltà di rapire un pezzetto di mondo per raccontarne la bellezza, come in una favola. (Trophy Room è in streaming autorizzato; si ringraziano Amanda Freeman and Moshi Moshi Records)

Entrambi provenite da una precedente esperienza con i The Lonely Hearts. Come e quando è nato il progetto Slow Club?
Abbiamo iniziato a suonare insieme quando si sciolsero i Loney Hearts, nel 2006 circa. Siamo partiti con questo side project suonando nei cafè in giro per Sheffield.

Nelle vostre canzoni, nonostante la vostra giovane età, c’è un forte legame con il folk e il country, molto più vicino alla tradizione americana piuttosto che a quella inglese. Penso a brani come Because We’re or It Doesn’t Have to be Beautiful. Che tipo di relazione sentite di avere con queste tradizioni?
Credo che il fatto che il folk americano sia molto più attraente ed influente per noi di quello inglese sia dovuto al suo contenuto/contesto sociale, e a quanto quelle  canzoni abbiano potuto cambiare la vita delle persone. Bob Dylan e Neil Young sono ancora oggi molto importanti per noi, ma Donovan è come se avesse perso questo vantaggio.

E oggi cosa vi piace ascoltare?
Di recente ho ascoltato molto i primi Velvet Underground, i Real Estate, una band del New Jersey, e l’ultimo album dei Tv on The Radio.

I was conscious, it was a dream mi ha davvero stupito nella sua bellezza spoglia. Un sound lo-fi che sembra quasi amatoriale, con una chitarra soffice e le voci che provengono da lontano. Com’è nata questa canzone e l’idea di registrarla in questo modo?
Non credo che le parole abbiano qualcosa a che fare con il modo in cui le abbiamo registrate. Le abbiamo trattate come se le stessimo suonando in una stanza. Ci piaceva ascoltare la stanza.

Voi provenite da Sheffield, dove la scena musicale, indie e non, è molto prolifica. Partendo da Joe Cocker per arrivare agli Arctic Monkeys e allo splendido Richard Hawley. Che tipo di rapporto avete con la vostra città, la sua scena musicale e gli altri artisti? Potete percepire questo fermento artistico?
A entrambi piace molto tornare lì quando possiamo, e ci manca molto quando non possiamo. Non usiamo l’essere di Sheffield come una sorta di “biglietto da visita” come alcune band hanno fatto in passato ma è davvero un bel posto per crescere e suonare della musica.

slowclub_inter02Quanto è stata importante la collaborazione con Mike Timm per la realizzazione del disco?
E’ stato davvero fantastico lavorare con Mike. Ci ha mostrato tantissime tecniche di registrazione e ci ha permesso di ottenere quello che volevemo. Abbiamo lavorato anche con David Glover nello stesso studio che ha prodotto per noi molti b sides e il nostro Christmas album.

Avete realizzato molti video per i vostri brani. Tutti molto semplici, minimali ma molto carini e orecchiabili. Come mai quest’amore per i video? Da dove viene?
Abbiamo fatto un video per ogni singolo. Di solito reclutiamo i nostri amici per farci aiutarci. Anche attualmente stiamo lavorando su un video con la regista Lucy Needs.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Scrivere sempre più canzoni, suonare sempre più in giro per il mondo.

Trophy Room – Preview

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